domenica 26 luglio 2015

Asfalto e girasoli

È sera. Avessi una chitarra. No, preferirei non averla perché conciliare due movimenti diversi con le mani non è cosa per il mio cervello monocorde che pensa al massimo a due o tre cose al minimo, non più, il rischio cacofonia è grosso è io non posso correrlo, preferisco il silenzio, come quello bello di oggi a camminare a passo lento, tra granturco e girasoli, con l'ebook in mano, per leggere il Manifesto contro il lavoro (ne consiglio spassionatamente la lettura ).

Stavo bene, sole addosso preso a girarrosto, e nessuna parvenza di perfezione. Poco mondo. Brutti fili sospesi della luce. Belle però le tre rondini sospese a spiumarsi. Che vuoi fare, Mantellini, che vuoi fare. Più che sottopelle, il brutto è soprapalle. È un po' che in Francia fanno le cose meglio e poi qualcosa arriva anche da noi (le rotonde). Non arriva la linea discontinua che, nelle strade francesi, è presente anche nei tornanti alpini e pirenaici. Da noi mettono la doppia linea continua anche in un tratto di strada dritto due chilometri. Sull'asfalto poi mettiamo un po' di ghiaia sopra. Lo dissi già, non voglio ripetermi: l'asfalto in Italia deve avere dei costi proibitivi, tanto che quando raramente m'imbatto in una ditta che rifà un tratto di manto stradale, non posso fare a meno di aprire i finestrini per respirare l'intenso odore di catrame caldo, per un effetto madeleine. Ricordarsi i bei tempi della spesa pubblica a gogò. Adesso è tempo di revisione della spesa. Annunciate razionalizzazioni alla Sanità: la riapertura dei manicomi.

________
Piccola perla domenicale da Repubblica, estratta dall'intervista di Gnoli a Quirino Principe.


2 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

A proposito del Manifesto contro il lavoro e le innumerevoli amenità che contiene, vorrei se permetti elencartene qualcuna:

Che cosa vuol dire “la società dominata dal lavoro”? È una classica premessa del pensiero anarchico piccolo borghese. La società attuale è dominata dal lavoro nella sua forma capitalistica!

“Chi non lavora non mangia! Questo cinico principio è tutt’oggi in vigore, e anzi oggi più che mai proprio perchè sta diventando del tutto obsoleto. E‘ assurdo: mai la società era stata, fino a questo punto, una società del lavoro come in quest’epoca in cui il lavoro è stato reso superfluo”.

Il lavoro nella sua forma di appropriazione capitalistica è entrato in crisi, ma il lavoro in sé non è un “assurdo”. Per mangiare, mettiamola così, è necessario produrre. Possiamo contestare certamente un dato modo di produzione ma non il fatto che una data quantità di lavoro sia necessaria a garantirci l’esistenza.

È dunque il lavoro quale espressione della dinamica capitalistica (valore d’uso- valore di scambio) a rivelare nello sviluppo delle forze produttive la sua contraddizione fondamentale, ma non il “lavoro” in quanto tale. Anzi, il lavoro, liberato dallo sfruttamento, diventerà non solo mezzo di vita ma il primo bisogno di vita, condizione per lo sviluppo onnilaterale dell’uomo. Una società – come scrive Marx – in cui “i produttori associati regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, portandolo sotto il loro comune controllo invece di essere da esso dominati come forza cieca”.

Solo verso la fine il Manifesto cerca di aggiustare il tiro, ma ormai il danno è fatto. Anche la citazione di Marx dei Manoscritti del 1844, è fuori luogo. Il ragionamento di Marx è in relazione al rapporto dell'operaio con la produzione. Dell’operaio, dunque del lavoro in quanto merce, non del lavoro in sé, quale qualità dell’attività umana. Infatti Marx scrive:

“Il suo lavoro quindi non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. Non è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei. La sua estraneità si rivela chiaramente nel fatto che non appena vien meno la coazione fisica o qualsiasi altra coazione, il lavoro viene fuggito come la peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si aliena, è un lavoro di sacrificio di se stessi, di mortificazione”.

È chiaro di quale genere di lavoro sta parlando Marx? E difatti Marx scrive: “In linea di principio, un facchino differisce da un filosofo meno che un mastino da un levriero. È la divisione del lavoro che ha creato l’abisso tra l’uno e l’altro”.

Sempre stimolanti i tuoi post.

Luca Massaro ha detto...

Come sai, le tue precisazioni sulla materia sono ritenute indispensabili e quindi auspicate e benvenute.
Non ho finito ancor di leggere il Manifesto contro il lavoro (da vagabondo quale sono), e tuttavia, forse m'è sembrato di cogliere un tono ironico proprio nella citazione che tu riporti. Io non credo, insomma, che tali studiosi marxisti si distanzino da quanto tu hai bene precisato, giacché la loro critica del lavoro è rivolta proprio al lavoro umano consumato (o tenuto a "riposo" in "riserva) esclusivamente secondo i dettami della logica capitalistica.

Quel che mi sembra di aver capito - ripeto: a una lettura parziale - è che, da parte della scuola della cosiddetta "Critica del valore", c'è il tentativo di liberare il lavoro dal vincolo produttivo di stampo capitalista che "tiene" prigioniero il lavoro perché unica fonte di plusvalore.