Sono dal meccanico. Cambio gomme e pastiglie dei freni. Parliamo un po' di politica, locale e nazionale. Mi dice: «Io so fare questo mestiere, credo abbastanza bene, e solo questo: non pretendo di saperne fare un altro. E invece questi cazzo di politici, una volta terminato il loro mandato, passano da una poltrona a un'altra così, come se niente fosse, come se tutto gli fosse garantito. No, non so se andrò a votare la prossima volta».
Lo lascio al suo lavoro, prendo il portatile, attacco chiavetta, leggo gli amici Scorfano e Olympe, mi rincuoro che il mondo, anche l'Italia, è costituito da persone intelligenti, forti, nelle quali avere sconfinata fiducia.
Dalla veneziana entra un sole a spicchi, mentre sento crescere in me una specie di rabbia sorda, legata, forse, a un sentimento d'impotenza. Non riusciremo neanche questa volta a cambiare l'Italia, figuriamoci il mondo. Ma più che la delusione è il timore che mi prende; temo cadere nella trappola del risentimento. Sarò in grado di respingerlo, sempre, anche nei momenti in cui capiterà di sentirmi a terra, riverso in cerca di un aiuto che sembrerà non arrivare?
Non so più pregare da tempo, e guardo spesso il cielo per vedere il Grande Assente. Nonostante questo balbetto parole incerte, qualche mottetto montaliano che ancora la memoria trattiene, a volte canto. «Io sto bene, proprio ora, proprio qui». Starnutisco.
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