– Scusi, che
ore sono?
– La primavera
e un quarto.
– Ma mi sta
prendendo in giro?
– No, ho
l'orologio fermo a quel pomeriggio, a quel valico che divide due
vallate che offrono prospettive diverse e che Piero ebbe in
gloria in certi suoi mattini di meditazione. Ho l'orologio fermo
anche se non lo porto, abbia pazienza; ma io mi ricordo quell'attimo
preciso in cui mi si fermò il tempo, in cui il tempo si
rivelò in tutta la sua pienezza e la vita acquistò il suo pieno
significato...
– Sì,
buonanotte.
– No,
«buongiorno alle nostre due anime»*. No, non se ne vada,
abbia pazienza, ascolti, lei che
tanto si preoccupa di che ore sono dovrebbe interessarle dove si
trova il tempo, e io glielo posso dire, giacché ne ho avuto contezza
or non è molto.
– D'accordo,
aspetterò. Il treno è in ritardo, come sempre. Però l'avverto: non
ho spiccioli, si accontenti della mia benevolenza.
Il
tempo sta in una mano che ti ascolta, che ti raccoglie e trattiene.
Una mano che parla e trasforma gli occhi in cristalli che riflettono
il tuo essere. E i nostri occhi erano nei nostri occhi quel
pomeriggio di quella primavera e un quarto. Avemmo insieme la
netta impressione che, in quel momento, si stesse facendo la storia,
la nostra. Perché è questo il tempo più importante: quello che non
si subisce, quello che ci si coltiva addosso, quello in cui si
sentono le nostre radici trovare un terreno comune. E quelle mani
intrecciate, fissate nella nostra memoria, rappresentano questo. Sono
lì, sotto quella veranda di un bar ristorante semideserto, con
decine di tavoli vuoti e noi, ad ascoltare parole che ci attraversavano
l'anima, la scuotevano, definendo quello che siamo. Tutto il tempo
vissuto si precipitava addosso a noi e non ne sentivamo il peso, ma
la risoluzione. Ed improvvisa ci colse la sensazione di essere al
posto giusto e nel momento giusto, pienamente responsabili di dirci
per un attimo – attimo di tempo
– felici.
– Hanno
annunciato il treno, la devo salutare. Le confesso che non ho capito
molto cosa sia il tempo. Mi è rimasta solo la vaga sensazione che
sia qualcosa che vada vissuto.
– Sì,
può essere. Buon viaggio. Ecco. Il tempo va vissuto in viaggio,
qualcosa così, se così si può dire.
*
John Donne, Il buongiorno, traduzione
di Cristina Campo.
2 commenti:
Questa tua pagina è un piccolo capolavoro sommesso, che salverò fra i tuoi migliori in apposita e gelosa cartella.
Come posso fare i complimenti a simili complimenti? Non posso, appunto, e ti ringrazio con un sorriso largo come la faccia della luna :-D
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