Anche stasera porto il pensiero a spasso, però con il guinzaglio: pisciatina qui, pisciatina là, il mio è un pensiero marcatore. Infatti alcuni lo annusano e ci riorinano sopra: fanno bene, è meglio mescolarli i pensieri. Come gli odori degli umani, anche i pensieri, quando si mescolano a fin di bene, producono unità di intenti e memorie condivise. Ti ricordi quel giorno quando mi tolsi le scarpe ché mi stavano strette e provai sì sollievo, ma da esse uscì fuori un leggerissimo e inevitabile afrore di piedi compressi fortunatamente trattenuto dai pedalini pariscarpa? Fa niente, è naturale, dicesti, come tutti gli umori del nostro corpo lo sono, basta lavarsi, basta cospargersi le mani di lavanda e strofinarsi a secco, sentirai te poi che profumo.
Bene, adesso riporto il pensiero a cuccia, l'avevo avvisato che stasera il giro sarebbe stato breve, perché devo finire di leggere alcuni racconti di John Cheever che mi fanno pensare tanto:
«Se Francis avesse creduto alle divinità dell'amore, agli amorini armati di arco e frecce, ai capricciosi intrighi di Venere ed Eros, o anche alle pozioni magiche, ai filtri, ai decotti e ai quarti di luna, ciò avrebbe potuto spiegare la sua ipersensibilità e la sua febbrile euforia. Sugli amori autunnali della mezza età si è molto scritto, e Francis pensava di esserci proprio dentro, ma non vi era alcuna traccia di autunno in ciò che sentiva. Voleva trastullarsi in verdi foreste, grattarsi dove gli prudeva e bere allo stesso calice».
John Cheever, Ballata, Fandango, Roma 2000 (pag. 117, traduzione di Marco Papi).
Nessun commento:
Posta un commento