Ma giustamente gli altri comunisti
hanno sospettato di me. Ero comunista
troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi.
Giustamente non m'hanno riconosciuto.
La disciplina mia non potevano vederla.
Il mio centralismo pareva anarchia.
La mia autocritica negava la loro.
Non si può essere comunista speciale.
Pensarlo vuol dire non esserlo.
Così giustamente non m'hanno riconosciuto
i miei compagni. Servo del capitale
io, come loro. Più, anzi: perché lo dimenticavo.
E lavoravano essi, mentre io il mio piacere cercavo.
Anche per questo sempre ero comunista.
Troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi
di questo mondo sempre volevo la fine.
Ma la mia fine anche. E anche questo, più questo,
li allontanava da me. Non li aiutava la mia speranza.
Il mio centralismo pareva anarchia.
Com'è chi per sé vuole più verità
per essere agli altri più vero e perché gli altri
siano lui stesso, così sono vissuto e muoio.
Sempre dunque sono stato comunista.
Di questo mondo sempre volevo la fine.
Vivo, ho vissuto abbastanza per vedere
da scienza orrenda percossi i compagni che m'hanno piagato.
Ma dite: lo sapevate che ero dei vostri, voi, no?
Per questo mi odiavate? Oh, la mia verità è necessaria,
dissolta in tempo e aria, cuori più attenti a educare.
1958
Franco Fortini, Una volta per sempre (Poesia 1938-1973), Einaudi, Torino 1978
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