lunedì 15 giugno 2009

La salvezza è in noi



«Nella state del 1943 gli italiani erano giunti in fondo alla via che essi avevano scelto ventun'anni prima. Su quella via, breve e diritta, erano balenati dinnanzi ai loro occhi imperi, fortune e grandigie; ma poiché quella via significava la rinuncia degli italiani alla dura lotta, al diuturno sforzo, al rischio continuo in favore della chimera della sicurezza, della pace, della tranquillità, della prosperità assicurata e promessa da altri, quella via doveva necessariamnte fatalmente condurre sull'orlo dell'abisso. Chiunque fosse stato il salvatore, il messia, qualunque fosse stato il verbo, il vangelo, quella era la meta alla quale si doveva arrivare. A quella stessa meta si giungerebbe di nuovo, fra dieci, fra vent'anni, [fra cinquant'anni], se nuovamente gli italiani, ansiosi di trarsi indietro dall'abisso al quale oggi sono affacciati, si affidassero ad un uomo, ad un partito, ad un mito, ad una forza venuta dal di fuori: russa, inglese, americana. Dobbiamo, sì, recitare il mea culpa; ma dobbiamo anche orgogliosamente affermare: La salvezza è in noi e soltanto in noi!»

Luigi Einaudi, Il buongoverno, Laterza, Bari 1955.

Questo passo di uno dei più degni padri della nostra storia repubblicana, un vero liberale, rivela tra le righe una delle ragioni sociologiche più profonde per le quali l'Italia non sarà mai un paese autenticamente liberale. Perché essere liberali nel profondo significa assumere interamente la propria responsabilità personale di fronte alla collettività, significa diventare, ciascuno, re di se stesso - compito questo che l'idea stessa di repubblica sottindente. Essere parte di una repubblica comporta impegno, partecipazione, esercizio responsabile della libertà. Ma la via più breve, più facile è sempre quella maggiormente gradita da noi italiani. Sì, perché essere sudditi è molto più facile che essere cittadini.

1 commento:

amatamari© ha detto...

Chissà se anche un credente è un suddito: in questo caso ad esser cittadini sarebbero gli atei (o i buddhisti hinayana)