giovedì 20 settembre 2012

Gli amministratori delegati passano, i proprietari restano

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Dice Marchionne che, in questi giorni, troppi s'improvvisano esperti in campo automobilistico: è vero, ma chi più di lui è un improvvisatore?
Dice Marchionne che il mercato europeo è saturo e che è diventato un mercato "sostitutivo". Vale a dire: la gente compra la macchina quando la deve sostituire, in pochissimi la comprano non avendola avuta prima. Grazie al cazzo, ci voleva Marchionne per sapere questo. Minimo sono trent'anni in Europa che il mercato automobilistico è un mercato sostitutivo. E te ne accorgi ora golfino di cachemirino in tinta? 
Il problema è che vent'anni fa la Fiat, in Italia e in Europa, aveva una considerevole posizione di mercato (lo dimostrano tutte le graduatorie pubblicate in questi giorni sui quotidiani), mentre adesso non ce l'ha più. Hai voglia a mandare un responsabile marketing in quel cesso di trasmissione di miss Italia*: quante auto vendute in più?
Cosa è successo, soprattutto in Italia? Gli italiani si sono divertiti a fare i dispetti alla Fiat e alle migliaia di suoi dipendenti, Marchionne compreso?
Già, perché il punto è sempre questo: Marchionne è un amministratore delegato, a tempo, come lo sono stati altri prima di lui, anche Romiti, che fa tanto il ganzino in televisione, come se l'avessi avallata io la Stilo e la diversificazione degli investimenti in altri settori industriali e non.
Gli amministratori delegati passano, i proprietari restano.
Ecco uno dei bachi peggiori del capitalismo: la successione dinastica del capitale e la legittimità di questo.
La Fiat, come strombazzavano giustamente i suoi spot di qualche anno o mese fa, è una Fabbrica Italiana, nel vero e proprio senso della parola.
Se si considerano gli stabilimenti e tutto l'indotto auto insomma (concessionari, officine meccaniche, ricambi, strade, carburanti, carrozzieri, gommisti, elettrauti, eccetera), la Fiat, in quanto fabbrica, riguarda l'Italia da più di un secolo.
In tutto questo coinvolgimento, non solo industriale, ma altresì economico e culturale di un'intera nazione, nella variazione dei prodotti e delle strategie, nell'apertura e nella chiusura degli stabilimenti, nelle assunzioni e nei licenziamenti, nella fatica e nella gioia di realizzare un bell'oggetto, nei turni dolorosi di notte e nei momenti di lustro alla mostra del cinema o al Tour de France, c'è solo un dato permanente, costante: il diritto dinastico degli Agnelli a possedere in perpetuo qualcosa che non è più mera, nuda proprietà, ma è diventato sforzo, partecipazione, lavoro,  contributo collettivo, non solo delle maestranze ma, appunto, di tutti i cittadini italiani.
Superato un certo limite, i capitalisti fuoriescono dal consorzio umano per diventare qualcosa di altro, qualcosa che non sanno nemmeno loro cosa, qualcosa che ancora si ha la fottuta illusione di poter tutti raggiungere. Ma non è così, nonostante gli abbagli dello startuppismo democratico, che illudono le nuove generazioni di diventare tutti dei piccoli imprenditori che si affrancano dalla schiavitù del lavoro.
Ecco, la parola giusta, quella che manca nel vocabolario da alcuni anni: il lavoro, su cui si fonda la nostra povera patria, è - quando c'è e non c'è disoccupazione - una fatica che schiavizza molti per nobilitare pochi che non lavorano, perché tanto hanno chi lavora per loro, anche chi prende dell'imbecille, o fa le figure di merda al posto loro, come il nostro Sergino nazionale.

P.S.
Ma le quote di capitale Fiat che aveva Gheddafi a chi sono passate di mano?

*Visto a Blob sere fa. A proposito: stasera un Blob eccezionale, complimenti.

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