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giovedì 26 luglio 2018

Le funzioni sociali non muoiono

Non hanno aspettato la morte imminente, l'hanno prolungata per interesse, venale interesse di bottega, di fabbrica, di finanziaria (diciamo meglio), non certo per confortare i dipendenti dicendo loro che il direttore, tanto buono e caro e salvatore, non sarebbe ritornato a dare loro la carezza della buonanotte a fine turno - quale che sia il turno, alla fiat e altrove, si ha sempre voglia di dormire.
Non hanno aspettato, l'hanno dichiarato quasi morto prima, quando i mercati erano chiusi, pericolo ribassi degli investimenti, perché è gente che s'intigna coi titoli dei Manifesti e con le offese irrispettose di chi fa presente che tutta questa salvazione (salivazione) veramente non è stata granché (Grande Punto) percepita, dal basso (forse in alto, certamente), bravo per loro che l'hanno pagato (dai quali è stato pagato),capirai, ha fatto il suo lavoro egregiamente, e io becco e bastonato dovrei pure dire requiescat in pace, amen? 
Ma il caro estinto avrebbe approvato, avrebbe fatto lo stesso se - per esempio - fosse morto Lapo - anzi: forse se fosse morto Lapo il tono sarebbe stato meno drammatico.
A ognuno la sua funzione sociale. Lui, la sua, l'aveva guadagnata sul campo, da figlio di maresciallo qual era. Gli altri, coloro che lo pagavano, l'hanno invece ereditata, molto più facile questo sistema, andrebbe esteso a tutta la popolazione, con l'esproprio.
E sia, salutiamolo, dato che in questi anni è stato per certi versi un soggetto della storia minima d'Italia e della vita microscopica di noi italiani. Sinceramente, avrei preferito fosse campato ancora per vedere quanta parte di Detroit sarebbe rimasta ancora a Torino. Condoglianze ai tuoi cari.

lunedì 23 luglio 2018

Sovranismi

- Fiat-Chrysler Automotive è una multinazionale che ha il suo quartier generale a Detroit, la sua ragione sociale ad Amsterdam e paga parte delle sue tasse in Gran Bretagna.
- Bravo Sergio.
- Grazie.
- Per realizzare questo capolavoro chi hai preso esempio?
- Dall'Italia.
- In che senso?
- L'Italia è una nazione che ha il suo quartier generale a Washington, la sua ragione sociale in Vaticano e paga parte delle sue tasse a Bruxelles.
- Grande Sergio. Ma con quale Sergio sto parlando?

sabato 27 agosto 2016

Il lecca FCA

(ANSA) - ROMA, 27 AGO - "Non possiamo demandare al funzionamento dei mercati la creazione di una società equa" perché "non hanno coscienza, non hanno morale, non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è''. Lo ha detto l'ad della Fca Sergio Marchionne ai vincitori di un premio Luiss sulla finanza aggiungendo che ''l'efficienza non è e non può essere l'unico elemento che regola la vita. C'è un limite oltre il quale il profitto diventa avidità e chi opera nel libero mercato ha il dover di fare i conti con la propria coscienza''.

Stamani, di buon ora, saranno state forse le sette, mi è squillato il telefono: era Sergio. 
«Massaro devo ringraziarla per il post di ieri: mi ha aperto un mondo. Finalmente ho capito che non ero io ad agire, ma il capitale, quello stronzo. Va fermato, prima che sia troppo tardi»

Tutto assonnato gli ho risposto, 
«Grazie al cazzo, Sergio. Adesso che i capitali della società che dirigi sono assicurati all'estero, non puoi venire a fare il gesuita in Italia. Vai a farlo a Londra o ad Amsterdam o a Detroit...»

Ha riattaccato.

Comunque, per quel che vale, segniamocela tale dichiarazione, potrà forse tornare buona appena un venticello di crisi del settore provocherà cassa integrazione e licenziamenti nelle fabbriche FCA ancor presenti in Italia.

A parte, ma mica poi tanto: mi domando come alla Luiss (università privata promossa dalla Confindustria ndb) riescano a conciliare parole come quelle odierne di Marchionne e quelle rilasciate da un altro manager nostrano, Francesco Starace: si prega di ascoltarlo attentamente, quattro minuti, dal 42'00" al 46'00" circa.



martedì 10 novembre 2015

Il clima giusto del Capitale

Da un punto di vista capitalistico, bisogna dare a Sergio quel ch'è di Sergio. Ora poi che FCA ha il vento nel bagagliaio,
«Disaggregando la produzione manifatturiera, la fabbricazione di mezzi di trasporto balza nel mese del 6,2% e del 23,2% su base annua». [Phastidio]
occorre riconoscere che Marchionne ci capisce, sa come muoversi, come spostare asset e organizzare la produzione. 

Tuttavia, in riferimento a un suo commento strappato domenica scorsa all'inviato di Repubblica circa la vicenda Volkswagen,
«Quello dell'auto è un mestiere estremamente difficile. E' anche un mondo in cui le cose cambiano rapidamente. Quanti, fino a poco tempo fa, mi dicevano che il modello da seguire era quello della Germania?. Quanti spiegavano che gli alti salari, i sindacati nel cda creavano il clima giusto per costruire le auto più sicure del mondo?»
non saprei dire se è più disonesto (e da testadicazzo) mettere sullo stesso piano alti salari, sindacati nel cda con la costruzione/fabbricazione di auto sicure, o applicare un trucchetto informatico per far risultare le emissioni dei motori diesel meno inquinanti agli standard statunitensi.

Forse Marchionne sottintende che a Pomigliano si è creato un clima giusto per costruire auto arcisicure a emissioni zero?

giovedì 23 luglio 2015

Araldica

Amore, com'è ferito
il secolo, e come siamo soli
- tu, io - nel grigiore
che non ha nome. Finito
è il tempo dell'usignolo
e del leone. Il blasone
è infranto. Il liocorno
ormai non ha lasciato
sul suolo: l'Ombra, è in cuore.

(1968)

Giorgio Caproni, Il muro della terra, Garzanti, Milano 1975

____________
La Ferrari sarà quotata in borsa a Wall Street. O meglio: il 10% della quota azionaria di Ferrari posseduta da FCA sarà messa in vendita con un'offerta pubblica di acquisto. Hanno bisogno di soldi cash ammericani in casa FCA. L'araldo ha detto addirittura che Ferrari vale non meno di 10 milardi di euro. Quindi, dall'operazione, egli si aspetta d'incassare all'incirca un miliardo di euro.
Spero che un buon 5% lo compri Jeff Bezos, non si mai che un domani si possa trovare un dodici cilindri a V di Maranello in vendita su Amazon.

domenica 19 aprile 2015

Per un nuova politica retributiva

«Da qui al 2018 Fca garantirà in Italia 15 miliardi di investimenti, un’occupazione per tutti i dipendenti del gruppo e soprattutto più di 600 milioni in premi aziendali. Questi ultimi arriveranno ai dipendenti italiani grazie a «un nuovo sistema retributivo» che è «un significativo passo in avanti nel coinvolgimento delle persone per raggiungere i risultati previsti dal piano industriale», come ha spiegato ieri Sergio Marchionne ai sindacati.»

Ci si dimentica troppo spesso, in Italia e altrove, che i lavoratori, tutti i lavoratori, compresi i lavoratori dipendenti della FCA, lavorano perché sono costretti a vendere la loro forza lavoro per - in estrema sintesi - vivere. Se per vivere potessero fare a meno di vendere la loro forza lavoro e potessero, viceversa, dispiegare il lavoro secondo le loro reali inclinazioni, al coinvolgimento che richiede Marchionne replicherebbero con un coinvolgiteloinculo.

«L’amministratore delegato di Fca [...] ha sfoderato una «nuova politica retributiva». È un sistema formato da due elementi che si aggiungono al salario base. Uno è legato all’efficienza dei singoli stabilimenti: se centreranno le performance, le tute blu avranno in busta paga un incremento medio del 5%. Se invece faranno ancora meglio delle aspettative il salario lieviterà del 7,2%. L’altra parte variabile è collegata ai risultati economici di Fca in Europa e Medioriente: se tutto andrà come ha previsto Marchionne nel piano industriale 2015-2018, gli stipendi lieviteranno del 12% sull’intero quadriennio, mentre saliranno del 20% in caso di “over performance”. Nel caso in cui la missione fallisse, ci sarebbe comunque un’erogazione minima di 330 euro l’anno. Tradotto in denaro, se tutto filasse liscio nei quattro anni l’addetto specializzato riceverà un premio complessivo che oscillerà tra i 7.000 euro (6.500 per l’operaio generico) e i 10.700 euro. Così, dice Marchionne, «se gli obiettivi saranno quelli attesi, e sono sicuro che lo saranno, tutti i nostri lavoratori in Italia avranno vantaggi economici di assoluto rilievo che derivano direttamente dal loro lavoro». Anche perché, sottolinea l’ad, «il miglioramento dell’efficienza e il raggiungimento degli obiettivi finanziari dipendono da loro».»

Dopo anni di sacrifici dei lavoratori (chiusure di stabilimenti, ristrutturazioni, licenziamenti, casse integrazioni: effetti collaterali del crollo delle vendite della merce prodotta dal Gruppo Fiat), a fronte di una “ripresa” di quote di mercato, il top(o) dirigente Marchionne sfodera «una nuova politica retributiva» che prevede quanto sopra riportato. 
Ora, io spero vivamente che i lavoratori italiani «avranno vantaggi economici di assoluto rilievo»; tuttavia, anziché intonare lodi sperticate nei confronti di questa dubbia prospettiva, sì come fanno i notisti economici italici, mi sembra più opportuno bisbigliare i seguenti interrogativi:

  1. Che cosa determina l'efficienza dei singoli stabilimenti? I famosi turni di x ore senza pausa alcuna, ore straordinarie quasi obbligatorie, sabato e domenica compresi, le ferie quando cazzo vuole il padrun, penalizzazioni per eventuali giorni di mutua usufruiti durante l'anno solare?
  2. Cazzo c'entrano i lavoratori se i risultati economici di Fca in Europa e Medioriente saranno al di sotto delle attese? Ovvero,
  3. In altri termini - e questo vale non solo per i lavoratori della Fca, bensì vale per tutta quella parte di umanità costretta a vendere la propria forza lavoro per campare - per quanto ancora il vivere tout court dev'essere in  balia del subdolo meccanismo della domanda e dell'offerta, ossia vincolato alla valorizzazione del capitale posseduto da una relativamente piccola nicchia di pezzi di merda?
Poste queste domande, lascio volentieri spazio una paginetta de Il Capitale, Libro I, Cap. 3, Paragrafo 2, a) “La metamorfosi delle merci”, con la pleonastica avvertenza di sostituire l'esempio del tessitore con quello del produttore di autoveicoli.


«M-D. Prima metamorfosi della merce, ossia vendita. Il salto del valore della merce dal corpo della merce nel corpo dell'oro è il "salto mortale" della merce, come l'ho definito in altro luogo. Certo, se non riesce, non è alla merce che va male, ma al possessore della merce. La divisione sociale del lavoro rende il suo lavoro tanto unilaterale quanto ha reso molteplici i suoi bisogni. E proprio per questo il suo prodotto gli serve solo come valore di scambio. Ma esso riceve solo nel denaro la forma generale di equivalente socialmente valida; e il denaro si trova nelle tasche altrui. Per tirarlo fuori di lì, la merce deve essere anzitutto valore d’uso, per il possessore di denaro, e quindi il lavoro speso in essa dev'essere speso in forma socialmente utile, cioè far buona prova come articolazione della divisione sociale del lavoro. Ma la divisione del lavoro è un organismo spontaneo di produzione, le cui fila si sono tessute e continuano a tessersi alle spalle dei produttori di merci. Può darsi che la merce sia prodotto di un nuovo modo di lavoro che pretenda di soddisfare un bisogno sopravvenuto di recente, o che debba provocare per la prima volta, di sua iniziativa, un bisogno. Un particolare atto lavorativo che ancor ieri era una funzione fra le molte funzioni di un medesimo produttore di merci, oggi forse si strappa via da questo nesso, si fa indipendente, e proprio per questo manda al mercato il proprio prodotto parziale come merce autonoma. Le circostanze possono essere mature o immature per tale processo di scissione. Il prodotto soddisfa oggi un bisogno sociale. Domani forse sarà cacciato dal suo posto, del tutto o parzialmente, da una specie simile di prodotto. Anche se il lavoro, come quello del nostro tessitore di lino, è membro patentato della divisione sociale del lavoro, con ciò non è ancora garantito affatto il valore d’uso proprio dei suoi venti metri di tela. Se il bisogno sociale di tela, che ha la sua misura come tutto il resto, è soddisfatto già da tessitori rivali, il prodotto del nostro amico diventa sovrabbondante, superfluo e con ciò inutile. A caval donato non si guarda in bocca, ma il tessitore non si reca al mercato per fare regali. Ma poniamo che il valore d’uso del suo prodotto faccia buona prova, e che quindi dalla merce si tragga denaro. Ora si domanda: quanto denaro? Certo, la risposta è anticipata nel prezzo della merce, esponente della sua grandezza di valore. Prescindiamo da eventuali errori soggettivi di calcolo del possessore di merce, che vengono subito corretti oggettivamente sul mercato; ed abbia il possessore di merce speso nel suo prodotto soltanto la media socialmente necessaria di tempo di lavoro. Quindi il prezzo della merce è soltanto nome di denaro della quantità di lavoro sociale oggettivata in essa. Ma le nostre antiche e patentate condizioni di produzione della tessitura sono entrate in fermento, senza permesso e all'insaputa del nostro tessitore. Quel che ieri era, senza possibilità di dubbio, tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione d'un metro di tela, oggi ha cessato di esser tale, come il possessore di denaro dimostra zelantemente con le quotazioni dei prezzi di vari rivali del nostro amico. Per sua disgrazia ci sono molti tessitori al mondo. Poniamo infine che ogni pezza di tela disponibile sul mercato contenga soltanto tempo di lavoro socialmente necessario. Tuttavia, la somma complessiva di queste pezze può contenere tempo di lavoro speso in modo superfluo. Se lo stomaco del mercato non è in grado di assorbire la quantità complessiva di tela al prezzo normale di 2 € al metro, ciò prova che è stata spesa in forma di tessitura una parte troppo grande del tempo complessivo sociale di lavoro. L'effetto è lo stesso che se ogni singolo tessitore avesse impiegato nel suo prodotto individuale più del tempo di lavoro socialmente necessario. Qui vale il detto: "Presi insieme, insieme impiccati". Tutta la tela sul mercato vale soltanto come un solo articolo di commercio, ogni pezza vale soltanto come parte aliquota di esso. E di fatto il valore di ogni metro di tela individuale è insomma soltanto la materializzazione della stessa quantità socialmente determinata di lavoro umano dello stesso genere.
Ecco: la merce ama il denaro, ma the course of true love never does run smooth (Le vie del vero amor non son mai piane). Altrettanto casuale e spontanea della articolazione qualitativa, è l'articolazione quantitativa dell'organismo sociale di produzione, il quale rappresenta le sue membra disjecta nel sistema della divisione del lavoro. I nostri possessori di merci scoprono quindi che quella stessa divisione del lavoro che li aveva resi produttori privati indipendenti, rende poi indipendente anche proprio da loro il processo sociale di produzione e i loro rapporti entro questo processo, e che l'indipendenza delle persone l'una dall'altra s'integra in un sistema di dipendenza onnilaterale e imposta dalle cose.
La divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce e così rende necessaria la trasformazione di esso in denaro: e allo stesso tempo rende casuale che tale transustanziazione riesca o meno.»


Ecco, per concludere, penso sia legittimo affermare che la nuova politica retributiva di Marchionne nasconde il solito andante automotive: come mai, come mai sempre in culo agli operai?

martedì 13 gennaio 2015

Una spremuta di plusvalore

Sarebbe ingeneroso affermare di non essere contenti delle millecinquecento assunzioni previste dalla FCA per lo stabilimento di Melfi.
Parimenti, sarebbe da pusillanimi non rilevare il cinismo classista che sottende la frase con la quale Marchionne motiva le assunzioni:
''Stiamo assumendo perchè [*] ne abbiamo bisogno''.
Che è speculare a dire:
"Stiamo licenziando perché ne abbiamo bisogno".
Ovvero: quando il capitale avrà sfruttato il valore d'uso a sufficienza e non servirai più, conoscerai il tuo destino di merce, carissima forza lavoro

_______
[*] È naturale che all'Ansia usino accenti gravi.

mercoledì 5 novembre 2014

Bombe di orina

Volevo indignarmi per Marchionne e le sue opzioni dello stocazzo ma poi ho visto l'ora, è tardi, fuori piove, se almeno potessi pisciargli in faccia, ecco, allora sì, potrebbe essere apotropaico (sempre che non gli garbi al canadsvizzer, più dello champagne).

Dunque niente, indignazione sopita, i problemi sono altri, l'enfer c'est les autres, la questione non è mai individuale, individuale è solo la responsabilità penale, quindi se prima gli pisciassero addosso l'usciere, il capoprogettista, l'addetto all'assemblaggio, quello alla verniciatura e quindi il responsabile alla qualità, tutti di seguito, da infradiciarlo tutto di orina come la pioggia oggi ha infradiciato milioni di persone nel loro percorso casa lavoro casa, ecco, i giudici della corte d'appello non potrebbero far altro che assolvere i pisciatori.

In fondo, un bagno d'orina potrebbe anche avere i suoi benefici; dicono faccia bene contro i capelli grassi, che disinfetti le ferite; c'è persino chi la beve a scopo terapeutico. Ciò nonostante, l'umanità non so quanti litri di orina al giorno spreca, molta poi sciacquonata via con decalitri di acqua potabile. Un vero peccato. Ci vorrebbe uno come Marchionne per ottimizzarla, farne un brand e poi quotarla alla borsa di Wall Street.

sabato 27 settembre 2014

La coscienza che ronza

«Eppure c'è qualcosa, qualcosa c'è, dentro di me, che morde, morde. Non la coscienza – che non ho; non quella di prete Gigi almeno: ché io tengo coscienza onesta di lavoratore, che onestamente – sudando – se del caso ruba. Beh, chiamiamolo pur coscienza, il moscone che di dentro ronza e mai si posa, il moscone in volo da stamane, da sul greto del fiume, in volo sullo sterco dei sentimenti miei. E fin che la mosca ronza, la faccia non mi si smolla, no. La faccia non si smolla perché la mosca ronza, e ronzando ronza così: “Forse che... la è finita, forse, la giornata?” Ah, la lavativa, la mosca del poi; ah, la coscienza... la coscienza politica! Finiti per sempre i bei tempi beati, quando che se in mano ciài una micca, quel che ti resta da fare è mangiartela; finiti, i tempi corti della tattica: e cominciati, per me, i tempi lunghi, e stressanti, della strategia».

Giulio Del Tredici, Tarbatagai, Einaudi, Torino 1978, pag. 23

La strategia è: dargli ragione, farli andare fino in fondo, più o meno veloci, verso lo sfacelo, finché tutto sarà bruciato, tutto. Cenere come unico fertilizzante, nel caso ancora qualcosa avrà voglia e forza di germogliare. Ché ostinarsi a correggere, a suggerire, a protestare, a riformare. Non c'è da riformare niente, l'impasto è andato a male; ciò nonostante, a farci credere, gli impastatori, che qualcosa uscirà fuori dal loro lavorio riformatorio, un alcunché su cui la loro coscienza politica si posa: lo sterco dei loro sentimenti. 

mercoledì 24 settembre 2014

Ci vorrebbe l'ammorbidente

L'Articolo 18 
«sta creando disagi sociali e disuguaglianze: questa non è giustizia».
È mezz'ora che sono davanti a questa frase pronunciata da Sergio Marchionne e non so, non so davvero da che parti rifarmi. Ho pensato persino di mettermi nei panni di un tagliagola islamico che affila la lama del suo coltellaccio su una manica strappata di un golfino cachemire, ma è un esercizio mentale balzano, anche perché qui non c'è niente da vendicare, non c'è da aspettarsi paradisi a decapitare le gole dei pezzi di merda. Inoltre, chi vuoi educare, è vano cercare di colpirne uno per educarne cento, dato che lo stesso pensiero sopra espresso oramai domina le menti di quasi tutti i proletari del mondo disuniti.
Dunque no, ragioniamo, mi sono detto, affrontiamo la questione con strumenti dialettici, ogni enigma ha una sua risoluzione, Marchionne è una sfinge e la sua non è un'affermazione, bensì una domanda. Come risolverlo, allora, l'enigma? Ammazzandogli il padre e trombandogli la madre?

No, no, non ci siamo. Devo stare calmo, non siamo mica a Tebe, la tragedia non è la nostra narrazione, la farsa piuttosto; infatti, la nostra è un'epoca storica in cui il potere è riservato o agli stronzi o agli insulsi, democraticamente eletti, beninteso, foss'anche attraverso delle semplici primarie di partito.

Il problema, eccolo, è che non c'è nessun partito che, sentendo una dichiarazione del genere, insorga come un sol uomo e, sfruttando la notevole maggioranza parlamentare alla Camera (ottenuta con una legge elettorale anticostituzionale) e quella esigua al Senato (con qualche fronda grillina da supporto), faccia una legge per venire incontro alla giustizia che dissolva disagi sociali e disuguaglianze: una legge quadro che imponga in tutta Italia la settimana lavorativa a 30 ore senza modificare, o modificare in senso maggiorativo, la retribuzione; una legge, infine, che estenda a tutti i lavoratori le tutele dell'Articolo 18.

Ecco fatto. Anzi no: per ringraziare il CEO del Gruppo Fiat dello sprone a fare le riforme, inviargli nella sede di Detroit, un pregiato flacone da un litro e mezzo di Coccolino.

domenica 7 settembre 2014

sabato 25 gennaio 2014

I lavoratori fantasma

«Il valore di scambio appare in tal modo come determinazione naturale sociale dei valori d'uso, come determinazione che spetta a questo in quanto cose, e a causa della quale nel processo di scambio essi si sostituiscono a vicenda secondo determinati rapporti quantitativi, costituiscono equivalenti, allo stesso modo che le sostanze chimiche semplici si combinano secondo determinati rapporti quantitativi, costituendo equivalenti chimici. È soltanto l'abitudine della vita quotidiana che fa apparire come cosa banale, come cosa ovvia che un rapporto di produzione sociale assuma la forma di un oggetto, cosicché il rapporto fra le persone nel loro lavoro si presenti piuttosto come un rapporto reciproco fra cose e fra cose e persone. Nella merce questa mistificazione è ancor molto semplice. Tutti più o meno capiscono vagamente che il rapporto delle merci quali valori di scambio è piuttosto un rapporto fra le persone e la loro reciproca attività produttiva. Nei rapporti di produzione di più alto livello questa parvenza di semplicità si dilegua. Tutte le illusioni del sistema monetario derivano dal fatto che dall'aspetto del denaro non si capisce che esso rappresenta un rapporto di produzione sociale, se pure nella forma di una cosa naturale di determinate qualità. Presso gli economisti moderni i quali sdegnano sghignazzando le illusioni del sistema monetario, fa capolino questa medesima illusione, non appena essi maneggino categorie economiche superiori, ad esempio il capitale. Essa irrompe nella confessione di ingenuo stupore quando ora appare come rapporto sociale ciò che essi goffamente ritenevano di fissare come cosa, e ora li stuzzica di nuovo come cosa ciò che avevano appena finito di fissare come rapporto sociale.»
Karl Marx, Per la critica dell'economia politica, cap. I, La merce


Da un po' di tempo, diciamo dai tempi in cui il capitalismo ha preso le redini della produzione, il lavoratore produce, per conto di chi acquista la sua forza-lavoro, merci atte a essere scambiate, non usate da lui medesimo; purtroppo, se la merce prodotta non incontra i favori del mercato o, altresì, se la stessa merce viene ottenuta da altri lavoratori in altri luoghi con minori costi , il lavoratore – che di necessità, per garantirsi i mezzi per sopravvivere, aveva messo in vendita la sua forza-lavoro – viene ristrutturato, cassaintegrato e infine, con ogni probabilità, licenziato. E nel caso si incazzasse e rivendicasse il diritto di riprendere parte della merce che ha prodotto, si accorge che il valore che essa contiene, sia esso di scambio o di uso, non restituisce in pieno la fatica del suo lavoro, soprattutto se è una Bravo turbodiesel che appena ci metti il culo sopra si svaluta diecimila euro  e Marchionne, porcodeltuoiddio, ti saluto.

lunedì 13 gennaio 2014

Acido desossiribonucleico

Cambio sequenziale? Albero a camme? Twin Spark? Ammortizzatore idropneumatico? Sedici valvole?
Da qualche tempo, in molti Amministratori Delegati di società manifatturiere (e non solo, anche di società del terziario avanzato), per questioni attinenti la linea produttiva di varie merci, è diventato uso invalso dichiarare che è nel DNA dell'azienda progettare e costruire un determinato prodotto le cui caratteristiche sono conformi, appunto, al DNA aziendale.
Ora, se questo viene a dirlo, per es., l'A.D. della Rovagnati, che è necessario che i prosciutti cotti e altri salumi vari, abbiano proprio il DNA dei suini e non - chessò - degli equini, la cosa è in un certo senso comprensibile e accettabile.
Ma che siano degli sbrodoloni dalla favella imbastardita da anglismi penosi di vario genere, beh, io che - ahimè! - non posso fregiarmi di aver un orecchio musicale, ma un minimo di orecchio linguistico sì, ecco che le volte che sento pronunciare  
"Alfa Romeo è nata con un suo dna", ha detto Marchionne. "Per tornare a portare l'Alfa sui mercati globali e dargli quella credibilità che aveva quando aveva successo è necessario tornare a quel dna, che include la non comunanza dei motori... tornare a modelli e architetture che sono prettamente Alfa" [Reuters]
il mio DNA subisce una mutazione tale che, prima o poi, dovrò andare a farmi controllare dal professor Charles Xavier.

P.S.
Diventassi Wolverine, saprei io chi graffiare.

Update
@ Ricco&Spietato devo una n, cogli interessi.

sabato 11 gennaio 2014

La strada è un'altra. Anche l'auto.

Ieri è stata la giornata dell'intervista a Marchionne. Per questo l'ho letta oggi, gratis.
Marchionne parla sia della vicenda che ha portato Fiat all'acquisizione di Chrysler, sia delle prospettive della nuova società che avrà un nuovo nome (chissà quale).
Marchionne fa anche delle promesse, sulle quali mi sembra ovvio mantenere la riserva. Vedremo, insomma, cosa sortirà dai «capannoni-fantasma, mimetizzati in giro per l'Italia», quali formidabili modelli di Alfa Romeo (da vendere poi non al mass market, bensì allo shit market inteso come mercato di nicchia).

Da notare due risposte interessanti.
Non vi sentite padroni di Chrysler, dunque?

"Qualcosa di più, di meglio. Abbiamo creato una cosa nuova. E da oggi il ragazzo americano che lavora in Chrysler quando vede una Ferrari per strada può dire: è nostra. 
Premesso che il ragazzo (operaio) americano prende la metà dello stipendio dell'uomo (operaio) americano, per converso, può il ragazzo italiano, che lavora per es. a Pomigliano, quando vede una Jeep Grand Cherokee da € 59.600, dire alla fidanzata che “è nostra”?
Quando è arrivato in Fiat si producevano un milione di auto in Italia, due milioni dieci anni prima, oggi appena 370 mila su un totale di 1,5 milioni di auto vostre. Come si può aver fiducia nel futuro dell'auto italiana in queste condizioni?

"Se ritorniamo al punto in cui Fiat doveva investire in controtendenza in questi anni di mercato calante, io non ci sto, perché se posso scegliere preferisco evitare la bancarotta. Peugeot ha investito, e oggi si vede che i soldi sono usciti, ma il mercato non c'è. In più bisogna tener conto che le auto invecchiano, e un modello lanciato (e non comprato) durante la crisi sarà vecchio a crisi finita, quando i consumi possono ripartire. No, la strada è un'altra".
La risposta di Marchionne mi fa capire perché io, dopo il 127 verde novecento a benzina, comprato usato nel '91 a un milione e mezzo di lire da un pensionato romagnolo (aveva 50mila km e dentro era come nuovo), non ho più pensato a comprare una Fiat senza per questo sentirmi mai un esterofilo. Tutte le auto invecchiano, ok, ma le Fiat non conoscono più questo problema da vent'anni, oramai. La cosa peggiore, tuttavia, è che, con tali parole, Marchionne dà del beota a chi ha creduto opportuno comprare Fiat da quando lui è alla guida. Inoltre, dichiara senza alcuna remora, che Fiat in questi anni non ha investito un euro in ricerca e sviluppo di nuovi modelli, ivi comprese nuove motorizzazioni ecologiche: ibride, elettriche, o a orina di ovini. Ché forse nei capannoni-fantasma, stiano elaborando l'utilizzo di tale carburante naturale chiamato pioggia dorata degli Agnelli?

martedì 19 marzo 2013

Il correlativo oggettivo è

2
«una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un'emozione particolare» [via]

Thomas Stearns Eliot, The Sacred Wood: Essays on Poetry and Criticism, Londra, Methuen, 1920

mercoledì 10 ottobre 2012

Fiorenza mia, ben puoi esser contenta


Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!».
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
l'antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch'a mezzo novembre
non giugne quel che tu d'ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.

Dante, Purgatorio, VI, 127-151

Se invece di fare il liceo in Canada, l'avesse fatto a Chieti, Marchionne non sarebbe incorso in una simile cazzata.
Come farà ora il Brandini? Passerà alla Toyota?.
Piccola notazione: la Volkswagen, a Firenze, controlla direttamente lei il concessionario. Vuoi vedere che?

giovedì 20 settembre 2012

Gli amministratori delegati passano, i proprietari restano

*
Dice Marchionne che, in questi giorni, troppi s'improvvisano esperti in campo automobilistico: è vero, ma chi più di lui è un improvvisatore?
Dice Marchionne che il mercato europeo è saturo e che è diventato un mercato "sostitutivo". Vale a dire: la gente compra la macchina quando la deve sostituire, in pochissimi la comprano non avendola avuta prima. Grazie al cazzo, ci voleva Marchionne per sapere questo. Minimo sono trent'anni in Europa che il mercato automobilistico è un mercato sostitutivo. E te ne accorgi ora golfino di cachemirino in tinta? 
Il problema è che vent'anni fa la Fiat, in Italia e in Europa, aveva una considerevole posizione di mercato (lo dimostrano tutte le graduatorie pubblicate in questi giorni sui quotidiani), mentre adesso non ce l'ha più. Hai voglia a mandare un responsabile marketing in quel cesso di trasmissione di miss Italia*: quante auto vendute in più?
Cosa è successo, soprattutto in Italia? Gli italiani si sono divertiti a fare i dispetti alla Fiat e alle migliaia di suoi dipendenti, Marchionne compreso?
Già, perché il punto è sempre questo: Marchionne è un amministratore delegato, a tempo, come lo sono stati altri prima di lui, anche Romiti, che fa tanto il ganzino in televisione, come se l'avessi avallata io la Stilo e la diversificazione degli investimenti in altri settori industriali e non.
Gli amministratori delegati passano, i proprietari restano.
Ecco uno dei bachi peggiori del capitalismo: la successione dinastica del capitale e la legittimità di questo.
La Fiat, come strombazzavano giustamente i suoi spot di qualche anno o mese fa, è una Fabbrica Italiana, nel vero e proprio senso della parola.
Se si considerano gli stabilimenti e tutto l'indotto auto insomma (concessionari, officine meccaniche, ricambi, strade, carburanti, carrozzieri, gommisti, elettrauti, eccetera), la Fiat, in quanto fabbrica, riguarda l'Italia da più di un secolo.
In tutto questo coinvolgimento, non solo industriale, ma altresì economico e culturale di un'intera nazione, nella variazione dei prodotti e delle strategie, nell'apertura e nella chiusura degli stabilimenti, nelle assunzioni e nei licenziamenti, nella fatica e nella gioia di realizzare un bell'oggetto, nei turni dolorosi di notte e nei momenti di lustro alla mostra del cinema o al Tour de France, c'è solo un dato permanente, costante: il diritto dinastico degli Agnelli a possedere in perpetuo qualcosa che non è più mera, nuda proprietà, ma è diventato sforzo, partecipazione, lavoro,  contributo collettivo, non solo delle maestranze ma, appunto, di tutti i cittadini italiani.
Superato un certo limite, i capitalisti fuoriescono dal consorzio umano per diventare qualcosa di altro, qualcosa che non sanno nemmeno loro cosa, qualcosa che ancora si ha la fottuta illusione di poter tutti raggiungere. Ma non è così, nonostante gli abbagli dello startuppismo democratico, che illudono le nuove generazioni di diventare tutti dei piccoli imprenditori che si affrancano dalla schiavitù del lavoro.
Ecco, la parola giusta, quella che manca nel vocabolario da alcuni anni: il lavoro, su cui si fonda la nostra povera patria, è - quando c'è e non c'è disoccupazione - una fatica che schiavizza molti per nobilitare pochi che non lavorano, perché tanto hanno chi lavora per loro, anche chi prende dell'imbecille, o fa le figure di merda al posto loro, come il nostro Sergino nazionale.

P.S.
Ma le quote di capitale Fiat che aveva Gheddafi a chi sono passate di mano?

*Visto a Blob sere fa. A proposito: stasera un Blob eccezionale, complimenti.

venerdì 14 settembre 2012

Il capitalista furbetto

Chissà perché Della Valle ha così aspramente criticato i vertici della Fiat, ossia Marchionne e il signor Elkann (John, credo, dato che Lapo porta le Tod's al naso). Non che non abbia ragione; di più: Della Valle ha ragionissima a dire che l'Italia è un
"Paese che alla Fiat ha dato tanto, tantissimo, sicuramente troppo. Pertanto non cerchino [Marchionne ed Elkann] nessun capro espiatorio, perché sarà solo loro la responsabilità di quello che faranno e di tutte le conseguenze che ne deriveranno. È bene comunque che questi “furbetti cosmopoliti” sappiano che gli imprenditori italiani seri, che vivono veramente di concorrenza e competitività, che rispettano i propri lavoratori e sono orgogliosi di essere italiani, non vogliono in nessun modo essere accomunati a persone come loro"
Uh, uh, qui l'offesa si fa pesante. Mi sa che in Fiat nessuno più calzerà le scarpe di Della Valle - né tantomeno Della Valle comprerà auto Fiat.
Comunque, questa sortita mi sembra nasconda qualcosa, anche se non so bene cosa, quali interessi, ma è chiaro che ci siano delle motivazioni che vanno aldilà del mero dato industriale. Cazzo gliene può fregare a Della Valle se la Fiat cerca di poppare ancora soldi allo Stato? A lui, personalmente, cosa gliene viene? A naso, direi che c'entri qualcosa circa il nuovo assetto azionario del Corriere della Sera (escludo in modo categorico qualcosa d'inerente il mondo del calcio).
Tuttavia, dall'estratto riportato della sopra scritta dichiarazione, la cosa che più mi ha suggestionato è che Diego Della Valle si è (forse non a torto) autoincensato di essere un imprenditore “serio” che vive “veramente di concorrenza e di competitività” e che “rispetta i propri lavoratori”, e che è orgoglioso di essere italiano. 
Bravo. Grazie. (Petrolini, Nerone).
E ci credo che i bravi capitalisti rispettano i lavoratori, giacché i lavoratori sono per i capitalisti garanzia d'essere.
«Il capitale presuppone dunque il lavoro salariato, il lavoro salariato presuppone il capitale. Essi si condizionano a vicenda; essi si generano a vicenda».
Un lavoratore della Tod's produce soltanto calzature?
«No, egli produce capitale. Egli produce valori che serviranno nuovamente a comandare il suo lavoro, per creare a mezzo di essi nuovi valori. 
Il capitale può accrescersi soltanto se si scambia con forza-lavoro, soltanto se produce lavoro salariato. La forza-lavoro del salariato si può scambiare con capitale soltanto a condizione di accrescere il capitale, di rafforzare il potere di cui è schiava».*
 *Karl Marx, Lavoro salariato e capitale, Editori Riuniti, Roma 1957, traduzione di Palmiro Togliatti.

lunedì 9 luglio 2012

Chist'è o paese do sole


Dico una cazzata, tanto una più, una meno.
Secondo me, Marchionne è un agente segreto della Cia.
Crisi o non crisi, infatti, sta facendo peggio di Romiti e sta facendo contenti gli americani.
Di più: sta facendo diventare la Fiat americana: tanti operai licenzia in Italia, quanti ne assume in America. (Quelli del Wall Street Journal non fanno mica inchieste giornalistiche a caso: vogliono vedere se davvero Fiat Group in Italia ristruttura per premiarne, o meno, le azioni al mercato borsistico americano).
Di questo passo, succederà come con l'Olivetti che, per un verso o per un altro, non esiste praticamente più (chi è che compra Olidata?); e invece esisteva ed era grande, globale ben prima e più di Apple, Microsoft, Google ecc.
E la Mondadori? La più grande industria culturale europea che, tra qualche anno, quando Berlusconi non avrà più i suoi privilegi politici, sarà comprata da Amazon.
In breve: la morte della grande industria italiana. Cosa resta? Qualche fabbrica d'armi, e altri miseri gioiellini da vendere alla spicciolata.

domenica 10 giugno 2012

Venezia. Una lacuna. Da colmare. Con delle bombole. Di gas.

«La polemica domestica, sull'influsso che i poteri forti avrebbero sulla vita nazionale, ci offre l'occasione per parlare della classe dirigente, soprattutto privata, di questo Paese. [...] Del cosiddetto establishment, il mondo dell'industria, della finanza, della classe dirigente privata, ci occupiamo poco. Una lacuna. Da colmare. Ma la realtà, amara, è ben diversa dalla mistica della tecnostruttura esclusiva, un po' opaca, più incline a rinchiudersi in alberghi di lusso che ad accettare la sovranità popolare. È grave invece che nel nostro Paese abbia perso di significato - non del tutto per fortuna - il concetto di una classe dirigente responsabile, preoccupata anche dell'interesse generale, in grado di esprimere un indirizzo, un'idea di società, come quella che nel Dopoguerra rese possibile il miracolo economico. Insomma fiera di dirigere, non sfacciata nell'esigere. Dedita per prima a dare il buon esempio
Non so se De Bortoli si riferisse anche a questi signori (tranne quello a sinistra David W. Heleniak vice chairman di Morgan Stanley, gli altri due sono: al centro Ignazio Visco, governatore Bankitalia e, a destra, Sergino Marchionne, a.d. Fiat) parlando, in modo critico, della classe dirigente italiana. Forse no. Senz'altro no.

Certo è che se Marchionne si preoccupa dell'interesse generale con idee come il plant sharing mi sembrerebbe legittimo annoverarlo alla categoria dei dirigenti che non capiscono un cazzo.
«Sarebbe possibile, in sostanza, che a Mirafiori una o più linee venissero affittate alla Mazda o a qualche altro costruttore, e che altrettanto accadesse a Cassino o Pomigliano. O addirittura, ipotesi più ardita, che venisse affittato uno stabilimento come quello di Termini Imerese, una volta fallito il tentativo di Di Risio»
Avete capito bene: siccome Fiat non vende abbastanza automobili, dando la colpa di questo alla contrazione del mercato (mentre i produttori tedeschi non se ne lamentano e non chiedono incentivi, chissà perché), Marchionne proporrebbe di dismettere la produzione di auto italiane per far produrre auto straniere - fatto salvo che i produttori stranieri dovrebbero pagargli l'affitto, anche degli schiavi, s'intende.
Sono i momenti in cui vorrei che lo Stato facesse valere, con forza, l'articolo 42 della Costituzione, in un certo suo passaggio, questo:
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
L'indennizzo la Fiat l'ha già avuto nel corso degli anni con tutti i soldi pubblici di cui essa ha beneficiato. Quindi, un bell'esproprio, e lo Stato riproduce automobili come la Renault in Francia. Dite che non si può fare? Dite che ci manderebbero i marines?

Comunque, Marchionne a parte, l'articolo di De Bortoli merita una lettura attenta e una risposta approfondita che non dubito commentatori più raffinati di me tarderanno a dare. Anche perché quando sento parlare di classe dirigente a me girano le palle, perché le classi ci sono, eccome, ma dirigenti nel senso di guide, nel senso di coloro che, chissà per quali doti, avrebbero un connaturato diritto all'esercizio del principio di autorità - questo senso di classi dirigenti mi fa rivoltare lo stomaco. Esistono sì, nel mondo, molti imbecilli da controllare e criminali da contrastare. Ma io credo che ogni cittadino, se è cittadino, sia in grado di governare se stesso senza il bisogno di avere padri madri zii e fratelli e dirigenti che lo guidano come se non sapesse camminare da solo.

P.S.
Se il titolo risulta criptico ve lo spiego nei commenti.