martedì 6 ottobre 2020

Caro Pessoa

Caro Pessoa, cosa aspetti a presentarmi Bernardo Soares affinché mi offra un caffè nel bar della Rua dos Douradores dove egli è solito lasciarsi andare ai suoi "vaneggiamenti"? Sono inquieto e bisogno avrei del suo disincanto per accordarmi alle note del concerto suonato non sotto le stelle - ci sono le nuvole, piove - ma solo nella mente che vaga, appunto, alla ricerca di senso (ma dura poco), per convergere in fretta sulle piccole gratificazioni quotidiane, tipo scrivere, dormire, sognare forse, sognare sì, gli stessi «sogni turgidi» di tutti, sogni in cui si girano film sui desideri che non possiamo soddisfare, come tornare indietro nel tempo, al tempo cui sarebbe stato possibile prendere un biglietto per i mari del Sud, anziché uno scontrino alla cassa per bere un caffè in Rua dos Douradores.
«Si ritorna stanchi da un sogno come da un lavoro reale. Non si è mai vissuto tanto come quando si è pensato molto».¹
È per questo che la sera, anziché pensare, preferisco giocare a un solitario, ordinando carte stupidamente in fila, come se vivere fosse mettere in fila carte per raggiungere uno scopo. A volte lo risolvo, a volte no. A volte spengo il computer, come ora.

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¹ F. Pessoa, Il libro dell'inquietudine, Feltrinelli, 1986 (pag. 97)


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