Bukowski |
Ho praticamente smesso di scrivere
poesia perché m'affatica uscire da me stesso in versi, come se
dovessi portarmi sulla china dell'essere – e una volta in cima
rotolare giù, macigno di Sisifo.
Non posso più ripetere l'esercizio,
cercare la virtù nel vizio. Quindi resto a terra e accetto la
caduta nel tempo (disse un Cioran in guerra con le
disposizioni del Creatore).
La poesia sfiora le cose in apparenza,
ma invero i suoi raggi penetrano l'essenza delle cose (intanto sul
prato uno scarafaggio mi percorre con estrema competenza).
Sempre sul prato: seduto tra campanule,
fiordalisi e rari papaveri mi diletto a sfiorare petali in arpeggio:
ne esce fuori la tua voce, al telefono.
Se questo incanto non lo traduco in
versi è perché non voglio andare troppe volte a capo. Di più:
vorrei trasformarlo in una semiretta, una volta capito da quale punto
farla partire.
(Penso di averlo capito, anche se, in realtà, il punto sono due punti che si trasforma in uno).
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