Guido Ceronetti, Cara incertezza, Adelphi, Milano 1997 (pag. 73)
Tali parole mi hanno dettato questi versi, spero degni di tale disperazione civile.
Vorrei tanto in disparte salire quel monte.
«Qual monte – mi dice una voce feroce –
non vedi non puoi non devi nemmeno
pensarlo, figuriamoci farlo adesso
che non è più inverno che il clivo
più dolce appare al cammino».
Io semplicemente chiedevo un minimo
d'ombra che celasse questa vista
d'Italia malata, di teste che vuote
vociferano insensatezza.
Volevo farmi eremita, sfollare nei prati
d'alpeggio, ché al peggio non credo più
possa esserci fine, soprattutto qui
nella penisola da pena abbattuta
dalla voragine civile, dai sorrisi beoti
degli italioti che sparsi seguono
l'ebetudine del potere.
Se un giorno potessi vedere trionfare
l'intelligenza la benevolenza un barlume
di vera cittadinanza, allora potrei
riscendere a valle, riconquistare la piazza
l'amabile conversare negli affollati caffè.
Potrei, se questa puttana la finisse,
una volta per tutte, di ferirmi.
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