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domenica 11 settembre 2011

La posizione del liberale (senza corda).


Non so bene, ma a me è sembrato morboso da parte dei giornalisti mostrare la foto e della donna morta e dell'uomo vivo che hanno partecipato a un gioco erotico finito male.
Certo, data la situazione - situazione ghiotta - si capisce come i giornali cerchino di dare più dettagli possibile, visto che si dà per scontato che il lettore sia attratto, morbosamente attratto, da certe notizie.
Infatti, chissà quanti nuovi adepti la tecnica dello Sci a Bari annovererà. Secondo me, già domani, le varie ferramenta e brico center vedranno aumentare vertiginosamente la vendita di cordame vario, alla stessa maniera delle pale vendute quando nevica. Anch'io, in fondo, oggi ho preso il filo interdentale e me lo sono passato a filo non dico dove. Senza nodo però.
Perdonatemi, cerco di sdrammatizzare. Il punto è che una donna è morta e una è in fin di vita e un uomo è accusato di omicidio colposo, ma - stante questo e anche se verrà condannato definitivamente - non è giusto additarlo come un mostro pervertito pubblicando in ogni dove la sua foto.
Vediamo perché
«In J.S. Mill, La libertà, l'harm principle [non fare male a nessuno, e per il resto sei libero di scegliere come impostare la tua vita] è un vincolo all'azione del governo contro i cittadini: il potere politico non può costringere il cittadino a non partecipare ai cosiddetti “crimini senza vittime”; vale a dire che ciascuno può gestire la propria vita anche facendosi del male, gozzovigliando, bevendo e fumando, praticando sport estremi, tutto, purché le sue azioni non coinvolgano altri individui non consenzienti. Se l'individuo fa del male a se stesso, non può essere contemporaneamente carnefice e vittima, e di conseguenza o il suo “crimine” è senza vittima, oppure, nel caso non ci fosse il carnefice, non sarebbe un crimine. Il governo non può imporre una visione di vita buona. Per estensione, si può intendere l'applicazione di questo principio a tutta l 'etica  individuale: e dunque, finché non fai del male a nessun altro, non ti si può imporre una visione morale»*.
Ragioniamo. L'uomo è stato arrestato per omicidio preterintenzionale (grazie AlterEgo - vedi commenti) ha fatto del male colposamente, nel senso che, pare; ma quanta preterintenzione** c'è visto che le donne erano consenzienti nel farsi legare in vista del godimento estremo? Secondo me la colpevolezza dell'individuo è paragonabile a quella di colui che convince due altre persone a una cordata alpina e, durante la scalata, quest'ultime rimangono coinvolte in un incidente e una muore e una resta in fin di vita. Ecco, se questo fosse accaduto l'alpinista indenne sarebbe finito in carcere come l'ingegnere informatico? Tra l'arrampicata e lo sci a Bari c'è solo una differenza: il sesso, e il sesso nasconde sempre qualcosa di pestifero. Ma perché?

*Alex Grossini, Etica e nuova genetica. Una posizione liberale, Bruno Mondadori, Milano 2011.

A proposito: comprate questo libro di un amico filosofo ed ex blogger che spero presto tolga quella ex.
Un libro chiaro, dallo stile agile, che illustra cosa vuol dire e come essere liberali veramente - e non solo sulle questioni attinenti la genetica. Dato che molti - politici soprattutto - con la parola liberale ci si sciacquano la bocca spesso e volentieri, ecco per loro un ottimo collutorio, per schiarirsi la voce e rendersi conto se usare o meno tale parola con pertinenza.















**Il Codice Penale all'art. 43, comma 2 definisce la preterintenzione così: "il delitto: […] è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente" (Wikipedia). 
Appunto, l'agente, in questo caso, voleva veramente un danno? No, il danno lo volevano consenzientemente le due donne in vista del godimento. O sbaglio?


mercoledì 8 giugno 2011

Il dovere di dare il massimo per evitare la sconfitta del padrone

Non so bene, ma ho l'impressione che questo post di Alex (filosofo morale) c'entri molto con tutta la truppa dei liberi servi del padron Silvio. 
Vediamo velocemente. Se si rimette indietro tutto il nastro della storia dell'ascesa al potere di Berlusconi, e poi si manda in onda il film premendo il tasto forward, e se - allo stesso tempo - uno ha una minima dotazione di onestà intellettuale, si potrà accorgere che in tutte le fasi in cui il padrone ha commesso un patente imbroglio, subito i liberi servi sono corsi in campo a dire che no, non era fallo di mano, che il giocatore (il loro padrone ndr) è perseguitato dalle regole del gioco e quindi dagli arbitri, fottuti arbitri cornuti di sinistra che vogliono farlo fuori solo per giocare da soli e finalmente vincere. Ma ora che, per una volta, il pubblico pagante (gli spettatori-elettori insomma) ha mosso, con il voto, una manifesta critica nei confronti del padrone, ecco che i servi intervengono per dire che la formazione era inadatta, sbagliata la strategia, e che il padrone (allenatore e giocatore insieme), dovrebbe ritornare a giocare come una volta.
Ma c'è un problema: come nel calcio, fottuta metafora, anche in politica a un certo punto le mutande vanno appese al chiodo.

venerdì 2 aprile 2010

Venerdì santo

Prima di tutto segnalo (mi pare d'obbligo) questo notevole post liberale di quell'amoralex sbrigativo.

Di poi (salto di palo in frasca), siccome oggi m'è tornato in mente l'aforisma 125 della Gaia Scienza nietzschiana, inelegantemente mi autocito. E aggiungo questo passaggio di René Girard, tratto da un saggio¹ ove il pensatore francese commenta, appunto, il suddetto aforisma.

«Il punto è che gli dèi non devono esistere realmente per essere uccisi e, di fatto, se non vengono prima uccisi, essi non esisteranno mai. Contrariamente agli esseri ordinari, che possono esistere solo se non vengono assassinati, gli dèi cominciano a esistere come dèi, perlomeno agli occhi degli uomini, soltanto dopo essere stati uccisi» [...]
«Le conseguenze dell'assassinio di Dio sono dunque religiose, squisitamente religiose. Proprio l'azione che sembra porre termine al processo religioso è in effetti l'origine di quel processo, la usa ricapitolazione completa, il processo religioso per antonomasia».

Ma allora dov'è la peculiarità cristiana? Primo: nella sua continuità con tutti i processi generativi del sacro. Secondo: nella sua capitale diversità; “mi hanno ucciso senza ragione”; Gesù muore senza alcuna colpevolezza; il suo presunto essere ribelle è smentito dalla stessa delusione che, il giorno prima, i suoi discepoli (in primo luogo, Giuda) avvertono quando capiscono che egli non è un banale rivoluzionario in lotta per il potere, vedasi l'Unzione a Betania e Il tradimento di Giuda*:

Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!». Ma Gesù, accortosene, disse loro: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei».

Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.

Gesù non è “venuto” per ribaltare il sistema di potere con un altro sistema. La sua rivoluzione consiste nel rivelare i meccanismi che sottendono ogni formazione del sacro, ogni creazione “divina” prodotta da mani umane insanguinate.

«Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!“»².

La grandezza di Gesù Cristo (umana? divina?) consiste proprio nel togliere ogni giustificazione espiatoria all'essere umano in cerca di vittime per scaricare altrove la violenza che gli appartiene. Con Gesù Cristo la violenza cessa di essere trascendente e diventa tutta immanente. Il sacro ridiscende tutto sulla terra come pioggia. Fondare una religione sul nome di colui che le ha sputtanate tutte col proprio corpo, col proprio sangue, con le proprie lacrime, con l'abbandono totale nel quale si ritrovò, mi sembra davvero un'aberrazione. Il cattolicesimo, più si rinsalda nel sacro, più “tradisce” la sua origine. Dio non si rappresenta sulla terra se non nella sua morte. La Crocifissione rappresenta la morte del sacro. Un sacrificio estremo per farla finita con tutti i sacrifici. Per questo, forse, paradossalmente, sacrificio definitivo. Gli attori della scena sono tutti umani, e necessariamente. Il Figlio dell'Uomo che si fa crocifiggere consapevole della propria innocenza per mostrare interamente come la violenza non abbia alcuna giustificazione e come essa, ripetiamolo, appartiene tutta quanta alle mani umane. Sulla croce sono quelle le mani inchiodate. E la Resurrezione? Per me la Resurrezione è solo il fatto che, nonostante tutto, ancor oggi si continua a parlare, a ricordare questo evento che si è universalizzato. La Chiesa ha il solo merito di essere stata una tramite di tale trasmissione di sapere. Ma è un sapere che non riesce a dominare fino in fondo. E perché io lo domino? Per carità, io sono un minimo fortunato lettore incappato in certe teorie antropologiche che mi rendono chiaro certi passaggi evangelici e che me li fanno apprezzare per ragioni umane, troppo umane. Certo, il meme della resurrezione della carne è ben inserito nella mia mente. Tale consapevolezza memetica mi fa dire che forse tutto ciò è solo “credenza” inutile, ingiustificabile. Ecco: a ma non importa se Cristo sia risorto o meno. A me importa che la sua storia abbia fatto cadere dal cielo gli dèi. A me fa incazzare che una Chiesa che si fonda sul suo nome ce li voglia rimettere per mantenere il suo fottuto potere mondano. Dio è qui e ora o non è. L'aldilà è un non-luogo a procedere.

P.S.
Scusate la lunghezza

¹René Girard, “Dioniso e il Crocifisso”, da Il caso Nietzsche, Marietti, Genova 2002
²Friedrich Nietzsche, La gaia scienza

sabato 27 marzo 2010

Domanda amorale

«139. Presunta superiorità. Voi dite che la morale della compassione è una morale superiore a quella dello stoicismo? Dimostratelo! Prendete però la nota che “superiore” e “inferiore”, nella morale, non si possono a loro volta valutare sulla base di un metro morale: poiché non esiste nessuna morale assoluta. Prendetele dunque altrove le unità di misura e - siate cauti!».

Friedrich Nietzsche, Aurora, Adelphi, Milano 1964

Caro Alex, dove prendere dunque tali «unità di misura»? Sii cauto, mi raccomando.

mercoledì 3 marzo 2010

I filosofi e il potere

In un suo prezioso post, Tommy David parla di come i filosofi, oltre a porre domande, spesso provino anche (a volte con successo) a dare risposte (mi scuso per la, forse, non pertinente sintesi). Come tutti gli scritti meditati, anch'esso offre spunti, suggestioni. A me è venuta in mente questa. Che i filosofi, nonostante le loro risposte (o sentenze), sono, in fondo, lontani dalla prassi politica (Cacciari, che ora è a fine mandato di sindaco è un'eccezione; Buttiglione... lasciamo perdere). Quanto meno, essi sono lontani dall'influenzare concretamente l'agire politico e, di conseguenza, dal guidare le sorti del mondo. I filosofi, insomma, non sono in nessun posto chiave dei luoghi di potere. La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, i vari Commissari dell'Unione Europea, in Giappone, in India, in America, a Silicon Valley, a Dubai, a Mosca, a Gerusalemme, tra i dirigenti del Partito Comunista Cinese... nessun filosofo all'orizzonte. E poi: c'è per caso qualche filosofo, analitico o continentale, che abbia un potere paragonabile a quello di qualche predicatore cristiano, islamico, ebraico, buddista o a qualche governatore centrale? No, purtroppo. Oggi, Aristotele, sarebbe disoccupato (come Descartes, Voltaire, ecc.), o tuttalpiù scriverebbe inutili best-seller o, peggio ancora, terrebbe corsi universitari¹, o risponderebbe in teleconferenza da Brescia alle domande della bella Lilli Gruber; oppure, nella migliore delle ipotesi, aprirebbe un blog².

¹Se fosse fortunato andrebbe, altresì, a tenere lezioni in qualche liceo.
²Quando Lilli mima le virgolette con le mani alzate mi fa impazzire: se fossi suo ospite gli appiccicherei un bacio fulmineo sulle sue splendide labbra.

lunedì 11 gennaio 2010

Due filosofi elle apostrofo

Ci sono due filosofi (1, 2) che oggi danno il meglio di sé nel mettere in pratica cosa voglia dire ragionare.

lunedì 28 dicembre 2009

Avventurandosi da soli nell'incognito



Aggiunta sulla credenza


«Una credenza non è una religione, soprattutto non nel senso che siamo abituati a dare a questa parola nell'orbita del cristianesimo. Si è, tuttavia, portati a chiedersi se la formazione di una credenza comune, e il suo ascendente sulle coscienze, non siano fenomeni analoghi a quello per cui una comunità si forma i suoi dèi. Il sibogno sembra essere il medesimo: ai limiti del pensabile (e dell'immaginabile) urtarsi a qualcosa che resista al pensiero, che non si possa non pensare e non sentire, in comune, del mondo. Segno del sacro non è forse il limite che l'individuo di fatto rispetta nel suo comportamento, oppure che viola sapendo di violarlo, avventurandosi così da solo nell'incognito? Rimane che il dissolversi delle credenze ragionevoli e umane - la “morte di Dio” - mentre è causa di scoramento e di aggravata solitudine per l'individuo, suscita nella società i falsi dèi, e che i falsi dèi costringono a interrogarsi su quali siano i veri e come si riconoscano».

Nicola Chiaromonte, Credere e non credere, Il Mulino, Bologna 1993 (pag. 124)

Segnalazione filosofica

Sono onorato di aver “ispirato” tale superba meditazione filosofica.

P.S.
Se potete, provate a rispondere alla domanda finale di Alex, ch'io non ci sono riuscito, ohimè...

venerdì 20 novembre 2009

Una morale per tutti



Presto, dunque sono.

P.S.
La soluzione ai problemi del mondo non è data «da nessun individuo in particolare, ma deve emergere dalla vita di tutti, esser vissuta prima che formulata; e potrebbe anche darsi che [stia] emergendo senza che noi ce ne avvediamo¹».

¹Nicola Chiaromonte, Credere e non credere, Il Mulino, Bologna 1993

lunedì 24 agosto 2009

Mangiare la verità

ad Alex, L'amorale

«A prima vista, pareva che mio fratello Joshua avesse ragione. La natura non dimostrava alcuna religione. Non parlava né predicava. In apparenza, non la preoccupava il fatto che gli scannatori del Mercato di Yanash uccidessero ogni giorno centinaia o migliaia di pennuti. Né l'agitava il fatto che i russi facessero dei pogrom contro gli ebrei, o che turchi e bulgari si massacrassero a vicenda, portando attorno bambinetti infilzati sulle baionette. Insomma, come aveva fatto la natura a diventare ciò che era? Dove aveva trovato il potere di governare le stelle più lontane e i vermi della fogna? Cos'erano quelle leggi eterne secondo le quali operava? Cos'era la luce? Cos'era l'elettricità? Cosa succedeva nel profondo della terra? Perché mai il sole era tanto caldo e luminoso? E cos'era ciò che nella mia testa doveva stare continuamente a pensare? A volte mia madre portava a casa dal mercato un po' di cervella: costava meno della carne. La cucinava e io la mangiavo. Si poteva cucinare e mangiare anche il mio cervello? Sì, certo, ma finché non lo cucinavano, continuava a pensare e a voler sapere la verità»

Isaac Bashevis Singer, Ricerca e perdizione, Longanesi, Milano 1982 (pag. 12-13)