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venerdì 20 gennaio 2017

Qualcosa ci sfugge

«Mi piace allora giocare il gioco della “fantascienza” immaginandomi come individuo di un'altra scala (non solo come essere umano rimpicciolito o ingrandito per visitare una simile terra incognita): ma non so fino a che punto avrò successo. In quanto organismi, abbiamo occhi per vedere il mondo della selezione e dell'adattamento espressi, per esempio, nella bella struttura di ali, gambe e cervelli. Ma nel mondo dei geni può prevalere la casualità e potremmo interpretare il mondo molto diversamente se il nostro punto di osservazione risiedesse in questo livello inferiore. Potremmo poi rilevare un mondo di elementi indipendenti, che vanno e vengono in base alla fortuna dell'estrazione, ma con isolotti qua e là dove la selezione rallenta il tempo ordinario e l'embriologia lega insieme le cose. Come potremmo mai comprendere allora l'ordine ancora differente di un mondo più grande di noi? Se ci è sfuggito lo strano mondo della neutralità genica perché siamo troppo grandi, che cosa sfugge al nostro sguardo perché siamo troppo piccoli? Forse che noi diventiamo frustrati, come geni che cercano di afferrare il mondo molto più grande del cambiamento nei corpi, quando, nel nostro essere corpi, cerchiamo di guardare il dominio dell'evoluzione tra specie nella vastità del dominio geologico? Che cosa ci sfugge quando proviamo a interpretare questo mondo attraverso la scala, inadatta, dei nostri piccoli corpi e della nostra minuscola esistenza?»

Stephen Jay Gould, La struttura della teoria dell'evoluzione, Codice edizioni, Torino 2003, pag. 843.

Qualcosa ci sfugge. Ma cosa. Tutto. Va bene, non proprio tutto. Diciamo: una gran parte del tutto. Che affanno esserne circondati. Forse è per questo che prestiamo poca attenzione al quasi tutto che ci circonda e ci sfugge. Meglio tenere ancorata la mente al nostro via vai più o meno frenetico, ai nostri affanni o sollazzi. Meglio non farsi domande sull'organizzazione generale del nostro vivere, a partire dalla riproduzione di noi stessi; meglio evitare indagini accurate su ciò che sta alla base della società umana. Quello che è, è, perché così deve essere, come la bufera.

domenica 30 maggio 2010

Magisteri dell'Aldifuori

Leggendo questo articolo di Francisco J. Ayala (nella benemerita ma imperfetta traduzione offerta da Google) capisco come l'illustre genetista riproponga l'idea gouldiana dei magisteri non sovrapponibili: i NoMa (qui ho trovato un ottimo post di hronin sull'argomento). Non sono tanto esperto in materia, ho letto solo alcuni libri sulla questione, e quasi tutti di quei dèmoni di Dawkins e Dennett. Ma, se ho ben imparato da loro la lezione (non intendo ora riportare i luoghi perché non ho tempo per un'esaustiva ricerca bibliografica), riproporre questa idea dei magisteri non sovrapponibili comporta uno stallo, una tregua armata, ma non risolve la questione fondamentale: e cioè quanto hanno di serio, di concreto, di fondato da dirci le religioni circa i temi cardine della vita umana (i valori, il senso della vita) che non siano mere illusioni o soluzioni aprioristiche? Niente di nuovo sul fronte occidentale. Può essere vero che, come dice Ayala

outside the world of nature, however, science has no authority, no statements to make, no business whatsoever taking one position or another.

Ma, mi chiedo, cosa c'è di meno al di fuori della natura delle religioni? Il fatto che esse parlino, grazie ai buoni uffici della tradizione del Libro (Bibbia, Corano, o altro), di un non ben identificato aldilà? Certo

molto tempo prima che esistesse la scienza, e anche la filosofia, esistevano le religioni. Sono servite a molti scopi [ed esse] hanno ispirato molte persone che hanno contribuito in modo immisurabile alle meraviglie del nostro mondo e hanno ispirato molte più persone e condurre un'esistenza che è stata, date le loro condizioni, più significativa e meno dolorosa di quanto avrebbe potuto essere altrimenti [...] Le religioni hanno portato il conforto dell'appartenenza comune e della fratellanza a molti che altrimenti avrebbero attraversato questa vita completamente soli, senza gloria né avventure. Nel migliore dei casi, le religioni hanno attirato l'attenzione sull'amore, l'hanno reso reale per persone che altrimenti non avrebbero potuto conoscerlo, hanno nobilitato gli atteggiamenti e rinvigorito lo stato d'animo degli abitanti di un mondo assediato dalle difficoltà. Le religioni hanno conseguito un altro risultato, senza per questo che ciò ne costituisse la raison d'être: hanno mantenuto Homo sapiens in una condizione di civiltà sufficiente, per un tempo sufficiente, affinché noi imparassimo come riflettere in maniera più sistematica e rigorosa sulla nostra posizione nell'universo¹.

Non dico con questo che voglio solo affidarmi alla scienza e al bieco scientismo per la ricerca dei valori e del senso della vita (considerato altresì che essi non possono essere dati scientifici). Ma se, come per ogni persona di buona volontà, essere felici e allontanare da sé e dagli altri il dolore del mondo, è il principale scopo della propria esistenza, allora per realizzarlo (ovvero per diminuire il dolore del mondo e rendere più felice questo transito terrestre a scapito della natura indifferente) è meglio affidarsi alla narrazione scientifica che a quella religiosa; questo perché la narrazione scientifica parte sempre dal presupposto che un giorno possa essere arricchita, modificata, smentita, falsificata, accresciuta; Mentre le narrazioni religiose non mettono mai in dubbio i loro fondamenti, i loro assoluti, anche quand'essi sono manifestamente sbagliati in quanto portatori di dolore e infelicità nel mondo. Le vie della religione sono preordinate e immodificabili, nessuna prevede particolari deviazioni dal testo scritto. Le religioni insomma vivono di dottrina, mentre la vera scienza e la vera filosofia vivono di ricerca, di cammino.

Per concludere, il discorso di Ayala è un tentativo di dare legittimità ai Magisteri dell'Aldifuori, i quali però, contrariamente alla scienza, continuano a invadere il campo avverso per far valere anche e soprattutto qui, dentro questo mondo, la loro autorità.

¹Daniel C. Dennett, L'idea pericolosa di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino (pag. 662-3)