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sabato 28 dicembre 2019

Un pregiudizio salomonico

Avevo un pregiudizio. Poi ho tolto il pre e - come Salomone - ho deciso di tagliare il bambino. Per fortuna per il bambino, la mamma buona s'è fatta avanti e m'ha pregato di risparmiarlo e di darlo per intero alla mamma cattiva, la quale (cattiva) avrebbe preferito il bambino diviso in due piuttosto che riconoscere che non era suo, ché l'aveva rubato di notte dal letto in cui dormiva con la madre vera (la madre buona), mettendole accanto il figlio morto soffocato da lei involontariamente durante il sonno, giacché entrambe si trovavano nella stessa camera di un centro di prima accoglienza per rifugiati.
Di fronte alla diversa reazione delle due donne comparse in giudizio, io, saggio come Salomone ai tempi di Salomone, decido, contrariamente a lui, non di tagliare il figlio vivo, ma di fare la volontà della madre buona, di dare cioè il bambino alla cattiva, che abbia a tenerselo, a nutrirlo, allevarlo, mandarlo all'asilo, a scuola, a vivere la sua adolescenza e poi l'età adulta, eccetera, finché avrà figli e lei nipoti, che lei, in quanto nonna, alleverà, porterà a scuola finché non diventeranno grandi, e lei poi invecchierà, zoppicherà e il figlio, che aveva voluto così tanto da rubarlo alla madre buona, anziché accudirla, le manderà una badante cattiva.
E invece la madre buona, ch'era rimasta senza figli, invecchierà soffrendo sì un po' di solitudine, epperò senza neanche tante rotture di coglioni di figli e nipoti, e coi soldi messi da parte si pagherà un posto in una residenza sanitaria assistita decente, con del personale di servizio apparentemente cordiale che la farà sentire un ospite rispettato e benvoluto.

Perché ai tempi del capitalismo maturo come un diospero che sta per cadere sulla testa di un neokeynesiano in attesa dell'aumento della spesa pubblica, la saggezza si dimostra soprattutto con la previdenza, come dice anche il direttore generale dell'Inps.

lunedì 19 novembre 2012

Potrebbe essere l'inizio di un racconto



E va bene, ogni promessa è un debito, ma penso di aver accumulato abbastanza credito da rischiare di sciuparlo a iosa senza per questo andare in rosso. E poi, in verità, non ti avevo mai promesso che io non avrei scritto nulla, pubblicamente, della nostra storia.
Mi sembrava naturale non farlo quando questa era una storia che riguardava soltanto me e te, una cosa che ci aveva coinvolto e tenuto insieme per circa un anno intero, con qualche frammento di silenzio e separatezza.
Mai, però, avrei immaginato un buco nero simile, un simile salto nel vuoto nella nostra relazione. E nonostante la voragine sia ancora qui davanti a ricordarmi che tu non ci sei più e più non tornerai, per un anno intero io ho rispettato il tuo silenzio illudendomi che esso fosse solo il sipario tra un atto e l'altro, e che tu, prima o poi, in questo anno trascorso, saresti tornata sulla scena.
Questa storia più non ci appartiene, dunque, neanche a me – e se tento adesso di raccontarla è solo per far uscire i resti di una falsa rappresentazione.
Un anno intero fatto di pura assenza di te, di vuoto assoluto tra me e te. Ho atteso tu tornassi anche solo per un formale saluto di addio tra due persone diventate ai loro occhi sconosciute. Ho detto agli occhi, non al cuore che ancora pretende la risposta a una domanda: tu sei mai esistita o eri il frutto di una mia patologica illusione?

giovedì 16 agosto 2012

Esprit du conte


Ho trovato un quaderno elegante sul quale, dal 1993 al 1995, scrissi cose che oggi potrebbero assomigliare a dei post.
La cosa particolare da segnalare è che, al quel tempo, pensavo che un giorno, prima o poi, avrei scritto un libro di racconti o un romanzo. E siccome non mi veniva mai in mente una storia precisa, provavo a inventare delle trame.
Ad esempio:

29 giugno 1994
Idea per un racconto.
Personaggi: un uomo e una donna.
La donna è estremamente bella, ma visibile solo dal protagonista.
Convivono insieme, ma tutti ritengono che egli abiti da solo nel suo appartamento. Anche i suoi familiari, che abitano lontano, non credono vera la sua relazione, dato che nonostante numerosi loro inviti alla “coppia”, egli si è sempre presentato da solo.
Solo una vecchia zia gli crede, ma ha l'alzheimer.
Insomma, il protagonista non può dimostrare ad alcuno che egli ha la fortuna di vivere insieme a una donna bellissima, disponibilissima e gentilissima, che si prende costantemente cura di lui, che lo ama e lo stima.
Ben presto egli incorre in una forte crisi depressiva che lo costringe all'analisi presso il gabinetto di salute mentale della locale azienda sanitaria. Ivi incontra una dottoressa che...
Ma donde viene la protagonista invisibile? Dalla televisione, o meglio: dal televisore. Una sera, mentre lui guardava un film, durante una pausa pubblicitaria e, in particolare, durante una reclame, si vede la nostra protagonista che sponsorizza un prodotto famoso; nel mentre, ella esce dal televisore come se saltasse da una finestra per andare incontro al nostro uomo.
Chi è quest'uomo? Cosa fa nella vita?
È un impiegato statale, lavora alla prefettura. Si è trasferito in un capoluogo di provincia lontano dalla sua regione d'origine dopo aver vinto, appunto, un concorso pubblico.
La sera, prima di addormentarsi, ha l'abitudine di guardarsi un film, quale che sia, di quelli che i palinsesti propongono.
Ambiente: un capoluogo di provincia.
Alcuni elementi di contorno: una collega dall'alito ripugnante che gli fa il filo. Il calpestio fastidioso dei coinquilini del piano di sopra. Un concerto da camera all'aperto e un improvviso acquazzone durante il quale, per l'unica volta, si vede la sagoma della protagonista rivestita della giacca di lui che la copre per non bagnarsi. Sogni vari. Una palestra, la corsa del mattino. Un'ortolana procace che lui tenta di convincere ad andare in vacanza con lui. Un lago, un cane, un'ape piaggio che gli spruzza tutte le mattine addosso lo scarico nauseabondo di olio e benzina bruciati insieme (quanto fanno schifo ancora le api piaggio, le motoseghe – tutti i motori a due tempi insomma).
Trovare un buon incipit, via.

giovedì 9 settembre 2010

Un giardino pieno di lavanda

Stamani sono stato dall'analista. Come sempre, quando esco mi sento sollevato e dubbioso. Certo mi fa bene parlare di me, scavare a fondo, passare il filo interdentale tra i miei ricordi; ma al contempo, ogni volta che torno nel mondo mi chiedo se faccio bene a scrostare la ruggine del passato nella perenne insicurezza di far tornare a lucido il proprio io. Mah. E poi ottanta più ottanta più ottanta fanno duecentoquaranta euro che dalle mie mani son transitate in quelle del dottore... un altro motivo di leggerezza.
Oggi però quando sono uscito dallo studio, oltre che leggero e dubbioso, mi sono sentito anche turbato. Il dottore mi ha chiesto di indagare sul vero perché la mia ex ragazza (della quale ero veramente innamorato, gli ho detto) mi lasciò. Son passati dieci anni (o undici?) ormai e da allora non ci siam più visti né sentiti. Non so più né dove abiti, né cosa faccia. So che si sposò di lì a poco la fine della nostra storia, che ebbe una figlia e che si trasferì in una cittadina di un'altra regione. Tempo fa, quando mi iscrissi a facebook ho persino cercato, per curiosità, se anche lei vi fosse: ma col suo nome e cognome ce ne sono a decine di iscritte e la maggior parte tutte senza foto e quelle che ce l'hanno non sono lei.
Per carità, dopo due anni terribili di solitudine e amarezza mi sono ripreso anch'io: ho conosciuto la mia attuale compagna e con lei sono andato a vivere, da innamorati. Stiamo ancora insieme, l'amore è un po' più flebile, come spesso capita, ma ci vogliamo ancora bene. Alla mia ex non ho più pensato se non nella seduta di oggi, dall'analista. Non so perché gliene abbia parlato, m'è venuto così, ricordando certi momenti felici della mia giovinezza, soprattutto il mio primo vero e proprio ritorno nell'utero, nella casa dalla quale probabilmente uscii poco contento, appena nato. Beh, sì: fu questa la prima impressione chiara e distinta quando misi il mio pene dentro di lei dissi: casa, sono a casa, da qui non esco più. E infatti. Dopo un'ora di andirivieni, dottore, la mia ex ragazza piangeva e io con lei di gioia e forse anche di stanchezza ma io no, io non venni, ero lì dentro come un bambino dentro la pancia della madre che sguazzava senza nessuna voglia di uscire fuori. La madre era lei in quel momento? Boh, dottore, mi spieghi un po'. Siete stati bene insieme nei due anni? Benissimo, incredibilmente. E perché secondo lei la sua ex la lasciò? Beh, credo che s'innamorò di un altro ma non me l'ha mai detto, me l'ha sempre nascosto; anzi fino all'ultimo abbiamo fatto l'amore con partecipazione e gioia. Nell'unica occasione che ebbi quando lei mi disse che non voleva più stare con me, le domandai le ragioni e lei stette in silenzio, sempre. Le chiesi anche cosa c'era che in me non andava più e lei mi disse, lo ricordo bene, niente. E io mi tirai in disparte ricco di questo niente, come una speranza, per paura di soffrire ulteriormente, forse.
Beh, adesso cerchi di scoprire le ragioni. Sarà difficile, non so proprio dove trovarla dottore.

Oggi pomeriggio, mentre stavo rimettendo a posto un po' il ripostiglio in cerca di un fascicolo sui Latitudinari, ho trovato il mio vecchio cellulare nokia. L'ho messo subito in carica e, dopo un po', l'ho acceso e sono andato subito a vederne la rubrica interna. Ho scorso i nomi dei miei contatti, vecchi compagni d'università, colleghi, professori, amici, tante persone con cui ora non ho più contatti. Scorro ancora, eccola, è il suo numero. Il cuore batte. Prendo nota e con il mio attuale telefonino chiamo.
- Pronto Claudia?
- Sì, chi parla?
- Ciao, sono Carlo. Scusami se ti disturbo.
- Beh, disturbo no, ma cosa vuoi?
- Niente di particolare. Vorrei sapere una cosa veloce veloce. Puoi parlare, restare un secondo al telefono?
- Sì ma veloce che devo andare a prendere mia figlia al corso di chitarra.
- Sì, sì un attimo solo. Per ragioni... mie personali... sai sto andando dall'analista perché vorrei conoscermi meglio, sapere chi sono, insomma tutte queste storie, insomma...
- Fai in fretta.
- Sì, lo so, dieci anni. È che ho ritrovato per caso il mio vecchio cellulare dove c'era il tuo numero...
- Sbrigati.
- Sì, insomma, l'analista ti dicevo, io vorrei sapere... insomma: perché mi hai lasciato?
- Ascolta, ho fretta. Il passato è passato. Punto, fine. Io ho la mia vita, tu la tua. Non facciamo tante storie.
- Sì, lo so hai ragione, ma ti prego, per motivi, di salute mia, te non c'entri, dimmi ti prego la verità, dimmi perché mi lasciasti, ti prego, è l'analista che lo vuole sapere.
- Ma perché vuoi farti del male? Ché sei diventato un masochista?
- No, non è per me ripeto, cioè, si, no insomma, ormai non ti sogno nemmeno più, non mi disturbi nemmeno più la notte, non ti penso, è solo per sapere...
- Ti lasciai perché l'ultimo mese che siamo stati insieme avevi sempre l'alito cattivo e puzzavi di sudore.
- E non me lo potevi dire allora?
- Beh, ti amavo. Cercavo di dirtelo... delicatamente... ti ricordi? Ti chiedevo di non fumare, di lavarti spesso i denti prima di baciarmi, ti compravo Fahreneit di Christian Dior a litri eccetera?
- E non funzionava?
- No, non funzionava. E io non ne potevo più. Dovetti cambiare aria, cambiare bocca da baciare, cazzo da succhiare.
- Sempre fine sei eh? Ma perché, cazzo appunto, non me lo dicesti chiaro chiaro tondo tondo?
- Perché ti amavo e non volevo ferirti. E poi, una delle ultime nostre sere per me in apnea, incontrai colui che poi ho sposato. Un pompiere in servizio di leva che mi trovò esausta e boccheggiante su una panchina davanti casa dopo che mi avevi riportato dai miei. Oh, è tardi. Bisogna che scappi. Scusami e, addio.
- Sì, addio.

E ora, cosa gli racconto all'analista? Che puzzavo? Sì ma prima devo chiedere a Lidia se ha mai notato la cosa. Parrebbe di no, son sei anni che stiamo insieme. Anche i miei amici più intimi, i miei colleghi non hanno mai fatto cenno di alcunché. Non ho mai visto nessuno tenersi a distanza al mio passaggio o durante una mia conversazione. Chissà di cosa puzzavo mai e perché.
Forse ci sono, ho trovato. A forza di stare dentro di lei e di starci bene, mi ero come rivestito di una leggera immaginaria patina di liquido amniotico che, quand'ero fuori di lei, cominciava a corrompersi e a deperire. Ero come un pulcino ancora invischiato nella sua fica-uovo e non sapevo e non volevo uscire fuori dal guscio ma restare lì, a metà strada, tra la casa e la vita fuori di casa.
Ecco, dottore, ecco perché mi lasciò: voleva farmi uscir fuori di lei, voleva farmi nascere, diventare uomo, e si sa, una volta usciti, normalmente, la prima cosa che si fa è piangere. E io piansi, oh se piansi. E cominciai a scrivere versi, a scrivere storie, a cercare una casa con delle finestre, una luce, e un giardino pieno di lavanda.

P.S.
Trattasi di una storia “credibile”, beninteso. Ogni riferimento a fatti o persone è.... fate voi. Ah, dimenticavo: molta ispirazione me l'ha data questo post di Wildestwoman.


martedì 2 giugno 2009

Addio sotto la pioggia

a un carissimo amico

Poteva piovere oggi per rendere più conveniente, più credibile questo nostro addio. Poteva piovere e infatti è piovuto, così tutto è parso più facile: riempire le valigie a casaccio, prendere giusto due o tre cose per sopravvivere nei primi giorni. Lo so: chi decide è sempre colui che mette in moto l'inevitabile meccanismo della separazione. Ma la macchina l'abbiamo costruita in due sia pure inconsapevolmente. Solo ci rifiutavamo di crederlo, di vederlo, di sentire i primi rumori della sua messa in moto. Sono salito, il motore era acceso, e tutto sembra ora filare liscio, non devo nemmeno fermarmi per fare il pieno tanto carburante era stato inserito. Così percorro migliaia di chilometri lontano dal tuo amore, dal nostro amore. Amore che trasporto lontano per scaricarlo oltre confine, oltre la nostra possibile immaginazione. Oh come vorrei poterlo nascondere, farmelo rubare, non poter più rammentare ch'è stato la causa di questa terribile sofferenza. Perché io soffro, sono accasciato dal dolore al solo pensiero di saperti lì sola a disperarti. E cerco di giustificarmi dicendomi che tutto questo serve per il bene di noi. Che ingenuo, che incredibile coglione a non vedere che nessun bene uscirà fuori da questo delirio, da questa presa di coscienza, da questo atto supremo di libertà. Sarebbe stato meglio, molto meglio continuare a ingannare il mio destino facendo finta che nulla fosse accaduto fra noi, che tutto era un quieto vivere bastante, una ragione sufficiente per vivere tranquillo, sereno, sorridente, soddisfatto appunto della mia, della nostra sorte. E invece no. Invece ho creduto in questa notte, ho creduto a ciò che essa mi ha detto, mi ha prospettato, mi ha fatto vedere: ho visto un muro davanti a me crescere a dismisura. Ho visto una prigione che si proiettava sulle nostre vite così ho dovuto evadere dal nostro amore presente e da quella scarsa parvenza che sarebbe stato nel nostro futuro. Ho voluto scappare da te, da me, da noi dalla nostra storia costruita vivendo al cinque per cento. Nelle mie vene stanotte ho sentito che la vita è qualcos'altro, è un tuffo al quale dobbiamo sottrarci, pena diventare prigionieri e carcerieri di se stessi. Ti lascio dunque, vado via, anche se vorrei non partire non ferirti non farti piangere non accrescere il dolore del mondo. La porta è quella lo so. Riportami indietro, ho paura ad essere libero. Non farmi partire, spengi quel fottuto motore, abbracciami. Cominciamo ad odiarci, forse sarà più facile partire domani.


Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. È l'ora. Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi, murati!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

- Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest'orrida
e fedele cadenza di carioca? -

Eugenio Montale, Le occasioni *

venerdì 10 ottobre 2008

L'amore ai tempi della Carfagna

--> Ascolta: non posso continuare a scriverti, a pensarti. Sento, ripeto, di far del male a chi voglio bene. Non sono solo. Non posso permettermi di pensare solo a me stesso. Non voglio farmi comandare da un desiderio irrealizzabile. In breve: quando mi scrivi mi diventa duro. Se ci incontrassimo faremmo l'amore e dopo sì che diventerebbe tutto più complicato. Non è più tempo per me di romanticismi, di passioni suscitate, di paroline dolci e confortanti. No, io ho bisogno di sesso tranquillo con una donna che abbia lo stesso bisogno, la stessa esigenza, gli stessi limiti, le stesse imposizioni... e finita lì. Non voglio ferirti. Voglio solo imparare ad esser capace a dire di no.

Questo, carissimo, è stato il messaggio conclusivo (un lunghissimo sms) di una storia nata e finita in tre giorni intensi di amore (?) virtuale. Tutto è capitato per caso. Un sms arrivato a me per sbaglio con su scritto (all'incirca) che Lei non riusciva a dimenticare un certo lui. Io che per celia ho risposto che avrei voluto esser quel lui. Lei che ha risposto e via discorrendo è nato un dialogo fitto, intenso, soffocante, tra l'Etruria e la Padania a parlar d'amore e altri sofismi. Mi ha persino telefonato, due volte, Lei, addirittura venerdì sera per un'ora intera. Reciprocamente, non abbiamo saputo chi siamo l'uno per l'altra, se non l'età (coetanei), la condizione familiare (anche lei sposata con figli) e poco più. So solo che Lei sarebbe addirittura stata disposta a prendere il treno e io andare alla stazione anche solo per mezz'ora e, per fortuna, tutto questo non si è realizzato. Sono bastati un giorno e una notte interi di pioggia per farmi capire in che razza di ginepraio mi stavo ficcando. Stamani ho avuto la forza e la decisione di scrivere quello che ho scritto. Lei ha risposto "OK". Mi sono sgravato.

Sarà quel che sarà, ma ho una gran voglia di trombare un'altra donna senza però nessuna complicazione, come dicevo. Sarà il testosterone, sarà che l'urologo mi ha detto di fare sesso pressoché quotidianamente, sarà che mi sono stufato di farmi le seghe o davanti a uno schermo o pensando a chissà quale situazione, sarà che con la moglie trombiamo tre volte a trimestre e un c'è niente daffare. Uf. Scusa. Basta così. Andrò a puttane (difficile, con sto cazzo di decreto).