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mercoledì 13 maggio 2015

Pensare a quella cosa

«Spesso affermiamo, soprattutto di fronte a noi stessi, e così ci autogiustifichiamo, di conoscere una cosa, di conoscerla a fondo, e che perciò l'argomento è chiuso, soltanto per non doverci più preoccupare di pensare a quella cosa (o persona), perché temiamo di doverci vergognare di questa preoccupazione, e così perdiamo ogni credibilità di fronte a noi stessi, egregio signore, poiché il peso – di cui dobbiamo considerare il pericolo mortale – che ci sobbarcheremmo col preoccuparci di quella cosa (o persona!), vista la poca stima che abbiamo di noi, ci fa paura.»
Thomas Bernhard, La partita a carte, Einaudi, Torino 1983 (traduzione di Magda Olivetti, pag. 30).

Ho pensato per una notte intera a cosa potesse essere questa ‘cosa’ (questa ‘persona’) e l'unica cosa (l'unica persona) che mi è venuta in mente (che, in altri termini, ho sognato) è stata una ragazza, che conobbi quando anch'io ero un ragazzo, e quella ragazza mi piaceva e di lei mi preoccupavo, mi preoccupavo così tanto che un giorno glielo dissi e lei mi disse che ero tutto scemo, «che cosa vuoi, conoscermi a fondo?» Beh, sì, l'avrei voluto, ma temevo di dovermi vergognare nel dirglielo apertamente e così restai in superficie a solleticare le sue labbra sottili come foglie di acacia, le stesse foglie che sfioravano le nostre sopracciglia in quella primavera in cui lei acconsentì di venire con me a passeggiare nel bosco. Aveva un giubbotto di jeans chiaro chiaro, e una cintura spessa nera che sosteneva pantaloni dello stesso materiale e colore. Solo lo spessore delle sue anche conobbero le mie mani che provavano, timide, a superare una certa resistenza a che andassero oltre. Fu in quel momento che lei ruppe l'incantesimo parlandomi del suo ragazzo che era in servizio militare e bla bla bla. L'unico modo che ebbi per interromperla fu uno starnuto: allergia alla superficie.

venerdì 14 febbraio 2014

Fuori dei manicomi


«La situazione in cui versa questo paese è la più spaventosa che si possa immaginare, la macchina del nostro stato è manovrata da incredibili idioti... molte cose, anzi tutto è ridicolo in questo paese, lo ammetto... naturalmente è patetico, una commedia... è che uno qui sa perfettamente che muore, che muore a poco a poco, che è malandato e deve morire... e a me vengono i brividi quando ci penso, caro Zoiss... ma nessuno sa cosa fare, nessuno riesce a fare qualcosa... quando, facendo questi terribili bilanci, uno non riesce a dormire, non riesce a prender sonno e dice a se stesso che la patria non è altro che una volgare e brutale idiozia... per la sua impudenza... i bambini […] giocano e vivono completamente ai margini degli eventi, mentre gli adulti diventano dei bruti, si spengono, in effetti non esistono più... Chi sul letto di morte riesce a scrivere una commedia o una vera pièce comica, a quello è riuscito tutto. Dentro ai manicomi c'è la pazzia riconosciuta da tutti, ha detto il suo signor tutore, fuori dei manicomi c'è la pazzia illegale... ma il tutto non è che follia.»

Thomas Bernhard, Ungenach, Frankfurt am Mein 1968, ed. italiana Einaudi, Torino 1993, traduzione di Eugenio Bernardi.


Il 24 aprile 2013, Enrico Letta salì al Quirinale per ricevere l'incarico di formare il governo a bordo di una Fiat Ulisse.
Il 14 aprile 2014, Enrico Letta è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del consiglio dei ministri a bordo di una Lancia Delta
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Esclusivo: Renzi esce di casa a Pontassieve, prende il treno regionale alla stazione, scende a Fi SMN (ricordi Pupo?), va a piedi al Palazzo Vecchio. Avviso per Aldo Grasso: Renzi non porta la maglietta della salute sotto la camicia come Landini. Ripeto: Renzi non porta la maglietta della salute sotto la camicia come Landini. Per la cronaca: oggi a Pontassieve c'era il sole, giuro. Raccolti anemoni e margherite.
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John Elkann: almeno il padre scriveva articoli per Nuovi Argomenti quando erano eterodiretti da Moravia, Sciascia e Siciliano. Alain: era meglio se quel giorno ti facevi una sega, ma sappi bene che non è colpa tua, ché non ricadano sui padri le colpe dei figli e viceversa, ognuno è responsabile della propria stronzaggine individuale.
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Berlusconi stima Renzi perché non è comunista: praticamente non disistima nessuno dentro il Partito Democratico, da sempre.
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Mi dispiace tanto per la Cancellieri che aveva tanto a cuore la salute dei carcerati in attesa di giudizio: nondimeno, sono convinto che Ella avrà avuto l'accortezza di lasciare il numero del suo cellulare a tutti i capi secondini d'Italia, sì da allertarla nel caso in cui, ché anche una parolina buona da ex ministro meglio che niente è.
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Toto ministri: il nuovo dicastero dedicato all'innovazione sarà dato a Mantellini, altrimenti lo defollowa - e Renzi preferisce che tu gli sputi in un occhio piuttosto che defollowarlo.

domenica 2 dicembre 2012

Vitalizi

Thomas Bernhard, L'imitatore di voci, Adelphi, Milano  1987
- Certo che questa non sarebbe male come prospettiva di vitalizio per i parlamentari della presente legislatura. 
- Per tutti i novecentoquarantacinque?
- Sì, è inevitabile: la Repubblica riconoscerà i suoi migliori rappresentanti ex post.

giovedì 5 luglio 2012

Addendi

via

a Formamentis,  a mezz'asta

«Noi proviamo continuamente a sgusciar via da noi stessi, ma questo tentativo fallisce regolarmente, e in questo tentativo seguitiamo a incaponirci perché non vogliamo ammettere che a noi stessi non scamperemo mai se non con la morte».
Thomas Bernhard, Il soccombente, Adelphi, Milano 1985 (pag. 101, traduzione di Renata Colorni).

Io, invece, sono un artista dello sgusciamento. Lo confesso impunemente: io riesco a scamparmi, sarà la mia consustanziale leggerezza, il mio disincanto, il mio distacco, il mio riuscire quasi sempre a tenere un piede sospeso prima di immergerli tutti e due dentro le delusioni della vita. Sono, per questo, anche per fortuna genetica, poco propenso alla depressione; certo, a volte ho le palle sgonfie, come dice un mio amico prete che ho visto stamani benedire la bara di una cara parente al momento della tumulazione. 
Già, ogni volta che la vita ci impone di guardare la morte, di vederla scendere dentro la tomba, ti rendi conto, guardando gli astanti, che prima o poi a tutti toccherà la stessa sorte ed inutile insistere, indietro non si torna, questa è la vita, è la morte, è la perenne constatazione che la coscienza, o tiene conto ogni tanto di queste cose, o è una coscienza zoppa, che fallisce la sua datità.
Io sono nato per sapere che devo morire e, in questo spazio tempo in cui m'è dato vivere cosciente, devo catturare più vissuti possibile per scrivermeli addosso, per ricordarli come una storia, la mia, che è quella ed è unica, così come lo è per tutti.
Non credo, forse a torto, che questa sia una specie di esaltazione dell'ego. L'ego esaltato salta addosso agli altri io come un parassita o un cannibale per nutrirsene - e io qui, invece, intendo un io che racconta se stesso tenendo conto del racconto degli altri io. 
Ma tutti questi vissuti a chi interessano? Tutti questi racconti, poi, a che servono? 
Servono a qualcosa le stelle? A formare costellazioni a cui noi abbiamo dato un nome perché assomigliano a qualcosa invece che a niente.
Credo nell'addizione: io + io = noi. E gli io, in quanto addendi, possono essere innumerevoli.

lunedì 28 maggio 2012

Lo sport è la vera antipolitica

«È sempre stata attribuita allo sport, in ogni epoca e soprattutto da ogni governo, un'importanza grandissima, per la buona ragione che lo sport intrattiene e obnubila e rimbecillisce le masse, e in primo luogo le dittature sanno bene perché sono sempre e in ogni caso favorevoli allo sport. Chi è per lo sport ha le masse al suo fianco, chi è per la cultura ha le masse contro, diceva mio nonno, e per questo tutti i governi sono sempre per lo sport e contro la cultura»
Thomas Bernhard, L'origine, Adelphi, Milano 1982 (traduzione di Umberto Gandini).

Non parlo mai di sport, forse l'avrò fatto una volta qui dicendo che apprezzo, come sportivo e come uomo, Fernando Alonso della Ferrari, poi più nulla. Ammiro tuttavia chi fa sport, soprattutto a livello dilettantistico, per il proprio piacere personale, fisico e mentale. Delle competizioni quindi non ho mai scritto né, credo, scriverò, nemmeno degli scandali e di altre facezie, come quelle che colpiscono il mondo del calcio italiano in questi momenti. Non lo faccio quindi neanche ora, figuriamoci, non ho nulla da dire al proposito, solo una cosa, un parallelo, che trovo suggestivo. Potrò mai un giorno disinteressarmi così della politica, italiana e internazionale? E ora passo al noi: potremo mai, in quanto umani, permetterci questo lusso - che tanti già si permettono, peraltro - come se la politica non ci riguardasse molto, molto più dello sport (e del calcio)? 

sabato 4 febbraio 2012

Se avessi soltanto un briciolo di pudore


«Quindi non sono rinsavito. Non rinsavirò mai, è questo che mi tormenta. E se per di più apro il pacco davanti a testimoni, come ora sto facendo, se spacchetto queste frasi rozze e brutali, e molto spesso addirittura sentimentali e banali, con una noncuranza che com'è ovvio è maggiore di quella che uso per qualsiasi altra frase, ciò significa che non ho pudore, che non ho un briciolo di pudore. Se avessi anche soltanto un briciolo di pudore, non potrei scrivere affatto, scrive soltanto chi è spudorato, solo chi è spudorato è in grado di impacchettare le frasi e di spacchettarle e di scriverle di getto, l'autenticità appartiene soltanto a chi è massimamente spudorato.»

Thomas Bernhard, Il freddo, Adelphi, Milano 1991, traduzione Anna Ruchat (pag. 53).

Ci pensava anche Lucas, prima, davanti allo specchio mentre si faceva la barba e poi mentre faceva le sua solita scarsa serie di flessioni alla Michelle Obama (arriva anche lui a 25, ma poi le moltiplica per quattro, riprendendo fiato). Lucas pensava a quanto anch'egli si senta spudorato, perché quello che pensa subito lo impacchetta per vederlo scritto, e lo pubblica – considerata la facilità oggi di pubblicare –, giacché se fosse solo per affidare quanto scrive alle pagine di un quaderno non scriverebbe; almeno: non scriverebbe più, lo ha già fatto, non è servito a niente se non a vedere la sua grafia trasformarsi nel tempo e assumere quella degli psicolabili che scrivono a onda, su e giù senza capirci un cazzo poi di quello che c'è scritto, onde cerebrali di un auto-encefalogramma tipico dei viaggiatori da tavolino. Non c'è niente da fare: Lucas cerca un pubblico, poco o tanto, uno o cento, anche solo me che sono suo complice. Vedersi qui pubblicato nello stesso istante in cui ritiene di avere detto tutto di quella cosa lì. Non potrebbe, Lucas, scrivere nell'attesa di essere pubblicato da altri. Di ogni parola sente l'urgenza – e qui sta la sua spudoratezza. Egli impacchetta frasi scritte di getto affinché qualcuno le spacchetti e verifichi se sono autentiche frasi che lo rappresentano. C'è sempre questo io noioso di mezzo che necessità di autostima, di vanagloria, di un certificato di esistenza. Lucas va spesso all'anagrafe, infatti, per richiedere certificati di nascita che attestino che quello che vive è proprio lui e non un altro, nato quel giorno di quel mese di un certo anno. Dentro un cassetto egli colleziona lo stesso numero di certificati di quanti sono i suoi anni. Siccome ha iniziato tardi la collezione, la signora dell'anagrafe – non comprendendo tutta quella serie di richiesta di certificati in un così breve periodo di tempo – tutte le volte che lo vede si mette a ridere dalla disperazione. Gentile, ha avuto un bel daffare nello spiegargli che con le autocertificazioni tutti questi fogli non servono. Ma lui non si fida di se stesso, vuole carta bollata e un timbro sul foglio. Lucas teme le autocertificazioni: potrebbe, con esse, essere tentato di assumere un'altra identità, inventarsi un nome o, addirittura, copiare l'identità di un altro che non ha mai avuto problemi esistenziali, che si alza al mattino e pensa a quale sia il modo migliore per fregare gli altri. Lucas invece no. Lucas al mattino si alza e pensa a quale sia il modo migliore per liberarsi del pudore. «Scrivere», risponde.

mercoledì 19 ottobre 2011

Il ricordo interrotto

«Il ricordo si interrompe là dove il mio pensiero comincia improvvisamente a occuparsi di me».
Thomas Bernhard, Ungenach, Einaudi, Torino 1993 (traduzione di Eugenio Bernardi).

Per questo è così difficile ricordare, così faticoso risalire alle sorgenti del proprio io perduto là negli anni dell'infanzia, rapito dai sogni incerti della giovinezza, obliterato dalle delusioni della maturità. Il ricordo impedito dal quotidiano bisogno di vivere, dalle esigenze del corpo che non sa, che non capisce che, vivendo, sta producendo ricordi che poi, un giorno, potrebbero anche essergli utili per vivere. 
Non conosco nessuno che abbia fatto questo esperimento: annotarsi dettagliatamente tutto quello che accade, minuto dopo minuto, in un giorno della sua vita. Persino i giorni migliori, quelli facili da ricordare - o peggiori, e per ragioni inverse ricordati - sono sempre mancanti di dati, di particolari, per esempio quante volte hai pisciato in quel determinato giorno e in quali gabinetti, o anche semplicemente il sapore esatto del cibo più gradito della giornata.
Me lo ricordo com'erano quei bicchieri di Sassicaia, l'unica volta che l'ho bevuto? Me lo ricordo il sapore della prima volta che ho messo la lingua là dove un giorno uscii (di un'altra donna, certo, non mi chiamo Edipo)? Me li ricordo, me li ricordo, ma non mi sono eterni, e se scavo nella mente li ritrovo contraffatti, perché li moltiplico o li divido, li seziono o li ricucio a seconda dell'umore di quel giorno in cui qualcosa li riporta alla superficie della mente.
Spero che in futuro la scienza e la tecnologia offrano agli umani uno strumento per decifrare tutte le impronte di vita che hanno calpestato la corteccia cerebrale, per poi poter leggere su schermo tali dati e verificare se ci riconosciamo. Poiché è questa la ragione principale per cui non facciamo che gettare ricordi nell'indifferenziato: per la paura di ricordarsi chi eravamo veramente - e non vogliamo certo correre il rischio di trovarci senza alibi; in fondo, siamo noi, allo stesso tempo, imputati e giudici, avvocati dell'accusa e della difesa. E se il processo che, continuamente, ci facciamo ha tempi molto lunghi, indeterminati, che al cospetto, quelli della giustizia italiana, sono rapidi come il frecciarossa, è perché non abbiamo nessuna fretta di trovare il colpevole, dato che molte volte, se lo troviamo, corriamo il rischio di essere più severi dei giudici del Texas.

martedì 28 giugno 2011

Chi comanda chi

«Ancora mi risuonava nell'orecchio la frase con cui mi aveva invitato a entrare senza indugi nella trattoria Occhio di Dio, accennando a un'iniziazione in una questione più o meno filosofica che per lui era importante come nessun'altra, frase pronunciata dopo che, dal lato opposto della strada mi aveva fatto cenno di avvicinarmi alzando in aria la stampella destra, e io, come mi venne da pensare anche stavolta, avevo eseguito automaticamente l'ordine di raggiungerlo sull'altro lato della strada e poi di andare con lui all'Occhio di Dio, nei tanti anni in cui ci siamo frequentati mi ero ogni volta riproposto di non obbedire ai suoi ordini, qualunque fossero, ma poi ogni volta avevo eseguito i suoi ordini e immediatamente, non avevo altra scelta, i suoi ordini andavano eseguiti e basta, io ero incapace di sottrarmi al suo potere di impartire ordini».

Thomas Bernhard, I mangia a poco, Adelphi, Milano 2000 (pag. 69, traduzione di Eugenio Bernardi)

sabato 21 maggio 2011

Passando attraverso la sozzura

«Per la maggior parte del tempo abbiamo a che fare con la sozzura umana [...] e dobbiamo passarci attraverso, e una volta passati attraverso una sozzura dobbiamo passare attraverso la prossima e così via, sempre più veloci, sempre più radicali, perché abbiamo capito che esiste solo questa sozzura umana e che dobbiamo passarci attraverso. Possiamo raggiungere la nostra meta solo passando attraverso la sozzura umana, sozzura umana intesa come volgare sozzura mentale, che mira soltanto a distruggerci. Chi dice qualcosa di diverso commette il crimine dell'ipocrisia».

Thomas Bernhard, Correzione, Einaudi, Torino 1995, pag. 158 (traduzione di Giovanna Agabio).

venerdì 28 maggio 2010

Commessi viaggiatori

[A Gians e a Malvino, con ritardo]

«La religione è il tentativo maldestro di render docili gli uomini come massa dominata dal caos e poi: quando la Chiesa si esprime, si esprime sempre attraverso il linguaggio dei suoi rappresentanti, quando ascoltiamo un cardinale ci sembra sempre di sentir parlare un commesso viaggiatore e così via».

Thomas Bernhard, La fornace, Einaudi, Torino 1984 (pag. 137)


sabato 10 aprile 2010

Il ridicolo tra noi



«Ma quasi sempre gli esseri umani sono ridicoli, e quasi sempre le opere d'arte sono ridicole, diceva Reger, e lei¹ può risparmiarsi la fatica di ridicolizzarli e ridurli a caricature. Quasi tutti gli esseri umani sono comunque incapaci di ridurre le cose a caricature, essi osservano tutto fino in fondo con la loro aria terribilmente seria, diceva, e non sono neppure sfiorati dall'idea di una caricatura, diceva. Vanno a un'udienza papale, diceva, e prendono sul serio il Papa e l'udienza, vita natural durante; è ridicolo, la storia dei papi è piena zeppa di caricature, diceva. Certo che San Pietro è grande, diceva, ma non si può dire che non sia ridicola. Provi a entrare in San Pietro e a sbarazzarsi completamente delle centinaia e delle migliaia e dei milioni di menzogne storiche del cattolicesimo, e vedrà che senza dover aspettare a lungo tutta San Pietro si trasformerà per lei in una cosa ridicola. Provi a recarsi a un'udienza privata e ad aspettare il Papa, e vedrà che ancora prima che arrivi, il Papa le sembrerà ridicolo, e in effetti è proprio ridicolo quando si presenta nel candore kitsch del suo abito di pura seta. Ovunque in Vaticano lei volga lo sguardo, tutto è ridicolo; purché lei si sia sbarazzato delle menzogne storiche del cattolicesimo e della piccineria universale del cattolicesimo, diceva Reger. Vede, il Papa cattolico se ne sta seduto come un burattino giramondo, imbellettato e impantofolato sotto la sua campana di vetro antiproiettile, circondato da burattini di rango superiore e inferiore imbellettati e impantofolati e il tutto è ridicolo, disgustosamente ridicolo».

Thomas Bernhard, Antichi maestri, Adelphi, Milano 1992 (pag. 79-80)

¹Reger, il protagonista del libro, parla all'io narrante dello scrittore. Reger è un vecchio signore, esperto di arte (un critico?) che passa seduto intere giornate nella Sala Bordone della Pinacoteca di Vienna, guardando il celebre Ritratto di uomo dalla barba bianca di Tintoretto.

sabato 6 febbraio 2010

Presenza di spirito

«Notevole presenza di spirito ha dimostrato a Rutzenmoos un uomo che, come scrive il Linzer Tagblatt, ha salvato un bambino di tre anni da un toro inferocito. L'uomo, un operaio del cementificio Hatschek che da decenni dà lavoro a migliaia di lavoratori e continua a offrire in tutta la regione esempi visibili di sensibilità sociale costruendo asili e ospedali e concedendo sovvenzioni per ospizi e manicomi, avrebbe allontanato il toro dal bambino servendosi di una giacchetta di lana di un rosso brillante. Il bambino aveva potuto mettersi in salvo mentre il toro si era avventato contro l'uomo e l'aveva ridotto in condizioni così pietose che il giorno dopo questi era morto nella clinica traumatologica di Vocklabruck fondata dal cementificio Hatschek. Il Linzer Tagblatt sottolinea la felice circostanza che l'operaio di Rutzenmoos, nel momento in cui il toro si era lanciato contro il bambino, portasse la giacchetta di lana rossa che la moglie gli aveva fatto per Natale e che proprio con l'aiuto di questa giacchetta rossa avesse distratto l'attenzione del toro dal bambino e l'avesse attratta su di sé. Al funerale dell'operaio avevano assistito centinaia di suoi colleghi e logicamente, come sempre in casi analoghi, anche la direzione del cementificio Hatschek al completo. Per non parlare del resto della popolazione, che va sempre volentieri a funerali del genere perché essi sostituiscono il teatro con le sue continue premières, che da queste parti non esiste. Il Linzer Tagblatt pubblica oggi la fotografia del bambino di Rutzenmoos e la fotografia dell'uomo che l'ha salvato, lui pure di Rutzenmoos, la fotografia della moglie del salvatore del bambino e la fotografia della giacchetta di lana rossa fatta dalla moglie al marito per Natale, nonché la fotografia del luogo dell'accaduto e la fotografia del toro che l'operaio di di Rutzenmoos aveva distratto dal bambino di Rutzenmoos e aveva attratto verso di sé, verso l'operio di Rutzenmoos. Quanto al quel toro malvagio, esso, come scrive il Linzer Tagblatt, è stato macellato».

Thomas Bernhard, L'imitatore di voci, Adelphi, Milano 1987

martedì 17 novembre 2009

Passare accanto alle cose

«Ovunque si vada non si fa che passare accanto alle cose, - disse il pittore, - e poi si lasciano dietro alle spalle, mentre invece ogni cosa, ogni oggetto, tutto ciò che si è rapidamente appreso costituisce l'intera preistoria. Più s'invecchia e tanto meno ci si sofferma sui rapporti che si son già conosciuti, studiati, sviscerati una volta. Tavolo, mucca, cielo, ruscello, pietra e albero, tutto questo è stato già analizzato. Tutto ormai viene solo maneggiato. Gli oggetti, l'intera armonia delle invenzioni, completamente incompresa... non ci s'interessa più di ramificazioni, approfondimenti, sfumature. Ormai ci si preoccupa soltanto di collegare le cose in grandi linee. Tutt'a un tratto si dà un'occhiata all'architettura del mondo e si scopre cos'è: un'ornamentazione universale dello spazio e null'altro. Dai minimi rapporti e dalle riproduzioni più grandi - tanto, si scopre che si è sempre stati perduti. Con l'età il pensiero si riduce al meccanismo di tortura del toccare il tasto. Non c'è nessun merito. Io dico: albero e vedo enormi foreste. Dico fiume e vedo tutti i fiumi. Dico: casa e vedo i mari delle case delle città. Così dico neve ed ecco gli oceani. Un pensiero in fin dei conti mette in moto tutto. La grande arte sta nel pensare in grande e in piccolo, nel pensare sempre simultaneamente in tutti i rapporti...»

Thomas Bernhard, Gelo, Einaudi, Torino 1986 (pag. 19).

mercoledì 11 novembre 2009

A colpi d'ascia 2*

Eschaton giustamente si esercita e ci educa: non bisogna essere sprovvisti di retorica fosse caso esser ospiti a Porta a Porta o intervistati, di volata, da una troupe televisiva.

*2 perché il primo colpo era qui.

sabato 18 aprile 2009

C'è chi dice è una Strega

L'è tutto un concorso. C'è chi concorre e chi non concorrerà. 
«È orribile constatare quanta falsità circonda i premi letterari, e venire a conoscenza delle storie che ne parlano [...] Da quindici anni non accetto più né premi, né altre cose del genere. L'unico problema è che, nella maggior parte dei casi, chi conferisce i premi è molto astuto e prima di decidere interpella lo scrittore; quindi si crea nuovamente una situazione spiacevole, perché se la persona interpellata rifiuta, loro cercano qualcun altro. Le onorificenze sono comunque una scemenza; hanno un senso soltanto se non si ha una lira o se si è giovani, oppure se si è vecchi, ma non si ha un soldo. Se uno ha di che vivere, come nel mio caso, allora non ha bisogno di accettare alcun premio. L'onorificenza non serve a nulla, è soltanto una stupidaggine. La gente che distribuisce i premi è spaventosa.»
Conversazioni di Thomas Bernhard, Guanda, Parma 1989 (pag. 85-88)

Per questa ragione, credo che Daniele Del Giudice abbia fatto male a ritirarsi prima di (eventualmente) vincere il premio: avrebbe potuto rifiutarsi di ritirarlo se lo avesse vinto davvero e compiere, in quel caso, un gesto da gran signore.

giovedì 5 marzo 2009

Tutto è aria

*

Prima che si ritirasse in camera sua, «non per dormire, ma solo per piangere tra me e me nel silenzio dell'orrore, per singhiozzare dentro di me», come diceva lui, disse: «Come s'è disgregata ogni cosa, come s'è dissolta, come si sono dissolti tutti i punti d'appoggio, come s'è volatilizzata ogni solidità, come non esiste più nulla, proprio più nulla, vede, come non è venuto fuori nulla dalla religione e dall'a-religiosità e da tutte quelle lungaggini e ridicolaggini che sono tutte le concezioni della divinità, proprio nulla, vede, come la fede e la mancanza di fede non esistono più, come la scienza, come la scienza al giorno d'oggi, come la pietra dello scandalo, il millenario ante-giudizio universale ha estromesso tutto, l'ha messo alla porta, lo ha soffiato fuori nell'aria, come tutto ora è diventato aria... Ascolti: tutto non è altro che aria, tutti i concetti solo aria, tutti i punti d'appoggio solo aria...» E disse: «Aria congelata, tutto nient'altro che aria congelata...»


Thomas Bernhard, Gelo, Einaudi, Torino 1986, pag. 130

*Edvard Munch, Autoritratto - Uomo che passeggia di notte