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giovedì 30 dicembre 2021

Il treno va

Prendevo parte e gli toglievo la p, come uno scultore senza martello e scalpello. 
In direzione del mattatoio, ascoltavo annunci governativi come un vitello.
E ripensavo a Beppe Grillo, a quando se ne fregava dei trasporti.




Ma sono magro, galleggio poco, il fiato nautico punto dato che quel poco da dieci vasche fottuto dalla mancanza di allenamento.

Dicono pure che mi seccheranno il conto corrente e sarei preoccupato se in esso avessi tanti sghèi.

Diventerò un non consumatore, un consumatore da poco. Alimentato a secco.

A stento - se avessi la forza - mi vendicherò, anche perché livelli simili di cattiveria e vigliaccheria sono per me inimmaginabili persino adesso che sono realtà.


Può succedere di tutto con questi al governo, di tutto. 
E succederà




sabato 23 maggio 2020

Terna

- Ciao, ho ritrovato delle lettere in cui si racconta che tu mi amavi.
- Ciao. Si racconta? Chi racconta?
- Tu. Tu scrivevi lettere in cui dicevi che mi amavi.
- Ah, vabbè. Acqua passata. Il tempo passa, le cose cambiano, le parole volano.
- No, le parole scritte restano. E raccontano un dato di fatto.
- Quale dato di fatto?
- Che tu mi amavi.
- Ho capito: ti amavo, sì, ma adesso non ti amo più.
- Ma l'amore non è mica un interruttore, on/off.
- Beh, no. C'è stato un momento in cui, pur amandoti, ho iniziato ad amare un altro e poi, non potendone amare due allo stesso tempo, sono scivolata dall'amore verso te, all'amore verso un altro.
- Scivolata, dici. E quale sarebbe stato il particolare momento che ti ha disposto al moto sul piano inclinato dal mio amore (posto in alto) all'amore verso un altro (posto in basso)?
- Bravo, hai detto bene. Il tuo amore verso me era troppo alto rispetto al mio verso te, mentre l'amore mio verso l'altro era più alto rispetto all'amore dell'altro verso me. Tu mi davi troppo amore, più di quanto io potessi renderti. Così ho veicolato questo sovrappiù verso un altro che mi amava meno di quanto io amassi lui.
- Significa forse che il piacere che io davo a te, lo defluivi per dare piacere altrui?
- In un certo senso.
- E che, forse mi avevi preso per una centrale elettrica?
- Beh, sì. In fondo mi dicevi sempre che mi offrivi «l'intelligenza degli elettricisti».
- Peccato che non tu abbia preso la scossa.

venerdì 22 marzo 2019

Ma il pudore

«Anche io ho un blog. Anche io scrivo ogni tanto quello che mi viene in mente. Però credo che siano cose interessanti solo per me. E quindi il mio blog è privato e non è accessibile. Ma il pudore, Lucas; il pudore dove è finito?»
Anonimo, Un commento.

Solo, tu con le parole:
e questa è veramente solitudine.
Gottfried Benn [epigrafe presa da un capitolo de Gli imperdonabili di Cristina Campo]

DESTINO DELLE SPIEGAZIONI

«Da qualche parte deve pur esserci un immondezzaio dove si sono accumulate le spiegazioni.
Una cosa soltanto inquieta in questo santificato panorama: ciò che potrà accadere il giorno in cui qualcuno arrivi a spiegare anche l'immondezzaio.»
Julio Cortázar, Un tal lucas.

Non amo dare spiegazioni su ciò che scrivo, a meno che quello che scrivo sia equivocato nella misura in cui mi si impone dare spiegazioni.
Premetto che, se ne tento una, non è perché mi senta offeso, o colpito, dalle succitate parole del commentatore anonimo. Anzi. Le prendo come un complimento, giacché riuscire a essere spudorato con il solo ausilio delle parole è uno degli obiettivi verso cui questo blog aspira. Casomai - e con questo mostro il fianco a una prossima, eventuale, frecciata - mi suonerebbe più fastidioso risultare patetico.

Nella circostanza del precedente post oggetto di critica (una poesia in prosa o una prosa poetica?), che più o meno ripete temi, circostanze, impressioni da me già trattati altre volte (la stessa minestra riscaldata; ma a me piace la ribollita), brevemente, dato che non vi sono arcani, dirò: pur pescando da una tasca limitata di vissuti che non gli appartengono, l'io scrivente e l'io personaggio non coincidono. L'uno è la creazione dell'altro, il Lucas non è identico al Luca, anche se condividono alcuni tratti, alcuni addebiti. Da quando il personaggio è nato (il blog è nato), vanno in giro a braccetto e si raccontano reciprocamente tramite letture, pensieri, versi.
Se non avessero in vista la pubblicazione, essi non sarebbero, perché non riuscirebbero a convivere nel chiuso tinello di un blog "riservato" a sé stesso e pochi altri. Entrambi sono consapevoli dei rischi (rischi?) a cui si espongono, ma se lo fanno è perché reputano la pratica bloggeristica come una forma espressiva alla quale non riescono a sottrarsi. In Nessuno mi ama, Paolo Conte, a un certo punto, canta: «Facciamo un po' di letteratura con la miseria della mia bravura». E dato che non ho altro talento - ah, magari ne avessi uno simile a Marino - che questo (ammesso e non concesso che ce l'abbia), ecco perché mi ostino a esercitarmi e buttare fuori ciò che non era dentro ma da qualche parte, nascosto, non visto, in attesa di essere scoperto e pubblicato.

martedì 27 dicembre 2016

Una storiaccia italiana

Alcuni anni fa il Monte dei Paschi di Siena si faceva pubblicità utilizzando una canzone di Paolo Conte, Gli impermeabili.


Dato che, da un po' di tempo, piove poco bene sui paschi senesi, suggerirei d'investire gli ultimi spiccioli destinati alla promozione del marchio in un nuovo spot, che abbia, come colonna sonora, un'altra canzone di Paolo Conte, La ricostruzione del Mocambo.


Anche se il curatore (che di sicuro non è un buon diavolo) difficilmente offrirà un caffè. 

domenica 20 marzo 2016

Belen, ti sei accorta



Ho osservato attentamente il labbro superiore di Belen Rodriguez e, signori della giuria, posso dichiarare che mi fa effetto, perché mi dà l'idea che, da un momento all'altro possa non tanto esplodere, quanto decomporsi, ciondolare come una proboscide e rimanere giù sospeso e inerte finché una mano amica, che ne ha pena, lo riavvolga e cucia. 

Non ha importanza qui stabilire se sia un labbro naturale o siliconato, né sindacare se sia bello o brutto, sexy o ammosciante. Il punto è che, ad una scrupolosa osservazione, esso sembra avere al suo interno come una specie di bolla d'aria o d'acqua che lo rigonfi or qui or là, or su or giù, a seconda della movenza della bocca, della smorfia, della parola detta, del sorriso o del disappunto della proprietaria. Tal labbro, insomma, mi pare costituisca una variabile indipendente dalla bocca, che non le appartenga, che stia sospeso come una carta moschicida sulla quale rimangono intrappolate le occhiate, dimodoché queste non codifichino al cervello dell'osservatore il labiale della showgirl, possa nel caso ella aver detto una cazzata a mezzavoce. 
Infine, ultima similitudine, stasera da Fazio, a un certo punto ho avuto la netta impressione che quel labbro fosse una livella da muratori, quelle che servono per far venire i muri su belli dritti (ho detto i muri), e che dentro d'esso ci fosse precisa quella goccia d'acqua che, per mostrare la giustezza della costruzione, dovrebbe restare immobile, formare una linea orizzontale, perpendicolare all'asse sul quale poggia il piano. Ma niente: dentro quel labbro la goccia era sempre in tumulto, in agitazione, onda su onda, alla deriva, in balia di una sorte bizzarra e cattiva. 

mercoledì 15 luglio 2015

Made in Germany 2

La devo smettere di lasciare i racconti in sospeso come un coito, perché mi mette agitazione pensare di aver lasciato qualcosa a mezzo, quando poi a mezzo non è, è finito lì e basta, anche se poi sul momento penso di poter continuare, uno pensa sempre di poter farne due, tre o quattro e poi manco arriva alla prima.
È bene tenere basso il profilo se non si dispone o non si vuole mettere in mostra il proprio potenziale bellico. Meglio mostrarsi disarmati, alzare le mani, chiedere scusa, la stanchezza, la digestione, quel panino all'autogrill m'è rimasto sullo stomaco e adesso non sa se andare avanti o indietro.
Allora alzarsi, andare in bagno e lasciarla sdraiata sul letto, poco distante dal compagno di camera che forse sta dormendo o forse si era messo a osservare quello che stavano facendo due sconosciuti che, restando in silenzio, non facevano altro che parlare, ognuno con la sua lingua. 







mercoledì 11 marzo 2015

Da dam da dam o bu bum bu bum?

«Continuano ad arrivare a Riga, in Lettonia, uomini e mezzi dell’esercito statunitense, impegnato con Lituania ed Estonia in esercitazioni militari Nato.»

martedì 4 marzo 2014

Come mi vuoi

Dammi un sandwich e un po' d'indecenza



Io sono magro, lo sono sempre stato, sempre, non è una novità per me. Inutile vengano a dirmi, «Come sei magro»: lo so.
Sono alto un metro e ottanta e, attualmente, peso sessantadue chili. Vorrei aumentare, non ci riesco, ma non per questo mi stresso. 
C'è stato un periodo che sono stato 68, ma, successivamente, nel giro di pochi anni, da 68 sono piombato a 54. Il vegetarianesimo, la macrobiotica (apporto proteico alimentare ridotto all'osso), e una vita non certo sedentaria (facevo il corriere espresso: 10/12 ore al dì), furono la causa.  
Con fatica, e il ritorno a una dieta onnivora, sono risalito. Da un paio d'anni, poi, ho preso ad andare in palestra, attrezzi, con regolarità. Più che altro come fatto mentale, per sentirmi in pace con la coscienza. Non prendo integratori, tipo quei papponi proteici che mi mettono in subbuglio l'intestino e in catastrofe il palato, o altra roba anche pesante, perché mi frega un cazzo, sto bene così.
Sono magro ma, dopo anni, rimetto i pantaloni corti, prendo il sole quando mi va e dove capita, e spogliarmi alla bisogna non è più un'ubbia, anzi: sono magro, ok, ma - scusate l'endorsement - non mi trovo malaccio, anzi (oh, yeah).

Come saprete, come capita, quando uno esce un po' dai parametri della normalità, sia alto, basso, secco, grasso, gobbo, rosso malpelo, biondissimo, moro, peloso, glabro, eccetera, c'è sempre qualche cretinetto o, diciamo, dispettoso, che te lo fa notare, come se i magri, i grassi, eccetera, non avessero specchi e quindi occhi (interiori e non) per sapere come essi sono. E nascono i complessi. Ok, anch'io me li sono fatti, ho perso un po' di mare per questo (anche perché non abito vicino al mare e dicevo che non mi piaceva il mare, che coglione), un po' di bagni, ma vabbè, nonostante tutto, ho ripreso con gli interessi il piacere di star bene con se stessi (rima baciata, ma non pratico autofellatio).

Tutto questo, in premessa, perché volevo dirvi che mi sono piaciuto, ieri, ai margini di una riunione collegiale, quando, a una collega che ogni volta che mi vede - per fortuna raramente - mi dice «Luca, quando l'ho lo metti su qualche chilo?», ho risposto:
«Quando ti fai rifare le tette, così dopo ti domando se te le posso toccare».

«How do you want me, what do you give me, 
where do you drag me?» 


giovedì 11 luglio 2013

Fare letteratura

È un periodo che non riesco più a fare letteratura, ammesso e non concesso che l'abbia mai fatta. Ecco, va meglio con l'ammettere e il non concedere. Tuttavia, fare letteratura ha ancora senso? La realtà è già di per sé stupefacente, inutile immettere altra finzione dentro la finzione del reale. Costruire un personaggio, farlo muovere in un contesto storico particolare, contemporaneo o meno, farlo appartenere a una classe o a un'altra, oppure farlo scendere o salire dall'una all'altra, farlo interloquire con questo o quello, dargli una voce, un paio d'occhi castani e nessun altro segno particolare, vederlo crescere nel tempo, magari prenderlo subito appena viene espulso fuori dal grembo materno, eccolo che piange, sentilo come strepita, ha già tutti i capelli pensa un po', pesa tre chili e cento, e subito s'attacca al seno come fosse una ventosa, che bravo bambino tanto carino che pare una bambina, che subisce il trauma dello svezzamento come una condanna a vita, mai più tanta beatitudine, e poi tutta una rincorsa, un gioco a rimpiattino coi propri bisogni e desideri, un andare avanti per inerzia sentendosi per tanti anni spinto in un altrove indefinito, senza un progetto di vita preciso, senza un modello forte e prevalente, ma con tanti intorno a tirarlo per la maglia a dirgli si fa così per vivere bene, ma un bene preciso forte definito ancora non è apparso all'orizzonte, non ha visto raggi verdi se non quelle poche volte che ha detto a una donna ti amo con sincerità. Ma dentro quel ti amo non c'è mai stato dentro tutto e quindi di nuovo libero di vagare senza la premura di trovare risposte definitive al grande enigma chiamato vita (Isaac B. Singer), solo individuando dove è meglio mettere i piedi per non pestare la merda che ti sporca l'anima.
E intorno al personaggio altri personaggi, donne, uomini, bambini, anziani saggi e cani che non mordono e si sentono più padroni dei padroni. Circostanze che lo circondano, esperienze che lo esperiscono, feste che fanno desiderare d'esser soli e solitudine che richiama a sé gli sguardi della gente. Eccolo lì, insomma, il protagonista, senza una trama precisa. Io, comunque, gli scrivo addosso apposta, per prenderlo in giro, per smuoverlo, provocarlo, mettergli a disposizione una vita parallela dove possa imparare a vivere o a fare finta e, allo stesso tempo, dove possa, della vita che passa, farne un po' di letteratura (con la miseria della “sua” bravura).

P.S.
Quanto scritto è stato in parte ispirato da un post odierno di Minerva Jones.

sabato 20 agosto 2011

Comme disent les indiens

Ieri, passando dai Jardin des Tuileries, ho incontrato Nelson e gli ho chiesto se, dopo tanto navigare, non avesse avuto bisogno di un po' di riposo da terra ferma, da distese di alberi, palazzi, cani che sorseggiano acqua d'Evian.

- No, non ho questo bisogno. Preferisco la lontananza. E ti dirò: più che le navi, vorrei ci fossero astronavi adatte a chi sa navigare solo col pensiero. Questo mondo è troppo pieno di umani che non sanno di esserlo, o che pensano che esserlo sia sufficiente per potere tutto. Tu non puoi niente, soprattutto se il cervello è occupato a sopravvivere con un sovraccarico di facezie. Usa i sensi, tutti. Annusati, senti se il sudore è acido o sa di buono, come il mirto o la lavanda. E libera le ascelle verso il cielo. Descrivi il tuo non fare, confondilo col disfacimento che accade a causa di. Ma soprattutto: respira profondamente due o tre volte al giorno per ricordarti che sei aria.

Grazie. Sono giorni che dormo male per il caldo e altre noie. Incontrati stamani a colazione è stato bello, caro Nelson. Ho bisogno che qualcuno viva bene per me cose che non posso, dato che io ho il volere basso, come la pressione.

Foto di Nelson Faria

mercoledì 17 agosto 2011

My luxury bound

Gentili Larry Page e Sergey Brin, 
a parte la cazzata di aver comprato Motorola* di cui io in fondo ho poco da dire visto che gli smartphone ancora non li uso (e nemmeno i tablet), voglio dirvi che io, nella guerra tra i colossi dell'informatica (voi di Google, Apple e Microsoft) faccio il tifo per voi, per varie ragioni che sarebbe tedioso dire qui.
Certo, voglio molto più bene a quelli di Linux, ma anche voi sinora siete stati abbastanza gratuiti da offrire libertà di pensiero e movimento dello stesso mediante gli strumenti di cui siete inventori e tenutari.
E oggi, devo confessarlo, quando ho visto questo annuncio mi sono un po' emozionato: lo so, non siete voi di Google in persona ad inviarmelo, è evidente: è il sistema che, si vede in automatico, rivela un insolito flusso di lettori da queste parti dove si cerca di fare un po' di letteratura con la miseria della mia (!) bravura; un flusso sufficiente a farvi credere che io possa essere un buon mediatore per veicolare dei vostri "consigli per gli acquisti".
Sia chiaro: io, a priori, non sono contrario alla pubblicità. Anzi, a certe condizioni, potrei anche accettare la vostra proposta. Ve le dico, così se per caso ci state, mi telefonate e si fa l'affare: cento euro a botta, cioè 100€ a pubblicità al giorno, IVA compresa. In fondo per voi sono una bazzecola, dato che avete scucito 12,5 miliardi di dollari per acquistare i diritti di proprietà intellettuale della Motorola.
Allora ok, aspetto di firmare il contratto. Come dite? Ah, sì... lo pago da solo poi il contributo di solidarietà.

*Letta su FriendFeed:  
Larry Page: — I need a new phone, can someone buy me Motorola? 
Employee: — Done. 
Larry Page: — Great, which model? 
Employee: — Model..?

domenica 7 agosto 2011

Agosto a Sodoma

Càpitano pochi pensieri degni di luce
in questo giorno d'agosto, dal cielo depresso
da nubi che incerte viaggiano piano
e vorresti fermare per dar loro un nome.

I colori che fuori definiscono cose
sono sbiaditi, stanchi, in stand-by.
Vado là col telecomando per regolarli
con l'illusione di averne potere.

Il plasma vero della vita che scorre
è indipendente dal nostro volere.
Uno spettacolo osceno, ne convengo
dove tutto procede per il meglio.

Perché tutto il meglio è già qui
anche se non è vero, anche se fa male
solo pensarlo ma è l'unico modo
per addentare il presente, per sodomizzarlo.

Nel torpore che precede il risveglio
un culo enorme mi è venuto incontro:
era grande come la terra, era la Terra
che mi stava davanti come una Maya Desnuda.

Ma avete presente anche voi molto bene
che non abbiamo contezza di esser sospesi
nel buio universo mentre là fuori una striscia
di luce riflessa ci dice che è giorno.

Ecco: provate anche voi con me adesso
ad abbracciare questo culo immenso
per scoprire che da soli è impossibile
che occorre un soccorso una condivisione.

L'unico modo per possedere la Terra
è liberarla da chi crede di poterlo fare da solo
o da chi crede ci siano padroni terreni o ultraterreni
vogliosi di fede e sottomissione.

La smetto. Il mio culo è svanito
come una bolla è esploso in silenzio.
La Terra continua a essere un quadro
e io non riesco a entrarci dentro.

martedì 19 luglio 2011

mercoledì 6 luglio 2011

Diversamente bischero

Non so perché, ma a me quelli della Siae (soprattutto gli ispettori che venivano dentro i cinema a vedere se avevi il biglietto e ce n'era uno terribilmente antipatico che faceva controlli persino dentro i cinema porno di periferia, quelli che quando ci andavi avevi circa 15-16 anni, ed eri in gruppo e ridevi e non ti potevi nemmeno far le seghe e diventare un pervertito) sono sempre stati antipatici. Bella forza! Sono un blogger e non ho niente da rivendicare, non ho niente da guadagnare, e spero solo (ma mica tanto) che le mie parole viaggino come nuvole e che piovano sulla faccia di coloro che hanno sete di pensieri minimi.
Però che Paolo Conte sia un firmatario di tale appello, io che ho comprato sempre tutti i suoi dischi e che se ogni tanto ho messo qualche canzone qui per diffonderne la voce, ecco questo mi rincresce e vorrei che lui lo sapesse, anche perché - e sono sincero - Paolo Conte è per me colui che avrei voluto essere nella impossibilità fattuale di diventarlo, dato che non so suonare niente, non sono un avvocato e che la mia faccia, contrariamente alla sua, è spigolosa. Mi sono fatto crescere i baffi, però. E qualche volta bofonchio dentro un kazoo. Per cui, caro Conte, tolga quella firma, la prego. Ché quell'ispettore, se Lei l'avesse conosciuto, sarebbe diventato un altro simbolo di una sua canzone.

giovedì 3 febbraio 2011

Colleghi tramonti

Abbiamo avuto la stessa idea, credo più o meno contemporaneamente. D'accordo, la mia cara WW l'ha avuta prima. Io mi ero attardato a farmi un pediluvio (ho qui un bel talco da miliardario). Meglio sentirsi fradici di magia che di piscio. E chi sostiene Berlusconi non lo ha ancora capito.

P.S.
Là dietro, sotto il sole che tramonta, c'è Firenze. E il suo attuale sindaco, piscione anch'esso (e le più volte la fa fuori dal vaso).

martedì 14 dicembre 2010

Boogie

Lui è vivo, io sono morto, dipende. Avrei voluto lui morto e io non so come, dato che non so bene cosa sono, dato che mi perdo pensandolo, ma non tanto pensando lui, ma la sua corte, vastissima, di fedeli che lo ammansiscono, accudiscono, curano, proteggono, controllano, profumano... Un profumo di imbalsamazione.
È forte, lo ammetto, ma la sua forza puzza di morte più che l'impotenza di uno ch'era vivo, la cui unica azione quotidiana era darsi un paio di schiaffi, al mattino, davanti allo specchio, subito dopo il caffè.
Il vivo-morto che esulta e incassa fiducia dai sunnominati, stasera boccheggia. Un nuovo cassiere sostituisce il primo; questo qui ha gli occhi da lupo e mastica caramelle alascane: deve avere l'alito pesante, e deve dare baci leggeri, per ringraziare, ripromettere, confermare.
Ma le azioni volano a Piazza Affari, era logico, è ora di incassare i dividendi.