Visualizzazione post con etichetta facezie filosofiche e politiche. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta facezie filosofiche e politiche. Mostra tutti i post

martedì 15 dicembre 2015

Muti come pesci

Ha un blocco del sapere, come se non volesse saperne di più, come se ne sapesse già abbastanza. Atto di suprema presunzione, ingiustificato, infantile: lo ammette senza mezzi termini, anche perché di quel che c'è da sapere sa pochissimo, e tutto in maniera assai superficiale, approssimata, al limite della sufficienza. O forse, più semplicemente, il suo rifiuto è per difendersi dalla miriade di informazioni contraddittorie proveniente da ogni angolo del mondo.
Voltare lo sguardo, tapparsi le orecchie gli sembrano gli unici atti di resistenza possibile. Quello che accade, succede senza assistervi da spettatore. E questo gli basta per addormentarsi tranquillo, con la coscienza a posto.
E se il mondo si disfarrà, sarà l'unico titolato a dire: «Io non ve l'avevo detto, anche se lo sapevo».

venerdì 30 dicembre 2011

La fatica del sole

Riflessioni ai margini della fine di un anniversario
Denaro ritrovato nel Titanic

Stamattina il sole ha fatto più fatica di me a levarsi, distendendo stancamente i suoi raggi all'orizzonte (come braccia che si stirano), lo sbadiglio di un debole vento.
In questo limbo di giorni che non sanno di una sega, dove la politica aspetta i saldi come piccoli consumatori in fuga, non capisci se tutto quello che ti circonda abbia una valenza, oppure no.
L'inverno sospende la vita vegetale, la fa “andare il letargo”. Noi, invece, che non possiamo mai fermarci per imitare i gesti lenti delle piante, siamo condannati al movimento, alla mutazione in atto provocata dall'urgenza – e non sappiamo mai esattamente quali pesci prendere. Solo col senno di poi diventiamo sicuri e spavaldi e ci consoliamo di aver avuto ragione.
Noi umani che siamo emersi dalla natura come un algoritmo, siamo quello che siamo perché abbiamo sviluppato (o meglio: i nostri antenati svilupparono) il sesto senso della previsione. “Fare questo provoca quello”, e se quello è cosa buona e utile abbiamo cercato di ripetere il gesto, di affinarne la tecnica. E dato che siamo stati gli animali più “capaci” a insistere molto su questo senso della previsione in funzione della sopravvivenza, ecco il risultato: dominatori di un pianeta sperduto appartenente all'universo sterminato.
E quindi? Osservare il punto della linea del tempo ove siamo giunti e constatare che il senso della previsione degli accadimenti ha perso, di fatto, il posto di rilievo che occupava. L'umanità, insomma – fatte le dovute eccezioni di persone illuminate, ma inascoltate – se ne sbatte del futuro e vive immersa nell'orgia (chi detiene il potere) o nella pena (chi subisce il potere).
È indubbio, tuttavia – a parte la crisi attuale che sembra sconfessarlo –, che il mondo contemporaneo mostra, mediamente, un tasso di progresso, di benessere, di carità applicata, di cura e partecipazione nettamente superiori alle precedenti epoche storiche. Niente da discutere su questo, e – sia chiaro – non rimpiango alcuna arcadia. Discuto, invece e volentieri, dello sguardo rivolto verso quell'orizzonte illuminato da questo sole stanco. Uno sguardo d'uomo che diventa sempre più triste, sconsolato – come di colui che non osa chiedersi: ma è proprio così gradevole e gratificante il mondo in cui viviamo?
Chi risponde sì – com'era scritto anche in alcune domande del recente sondaggione Istat – passi pure al blog successivo.
Chi risponde no – e che credo che, purtroppo, qualcuno ci sia – ha idea di come contribuire, con la propria immaginazione prima, con la propria volontà poi, ad andare oltre gettando lo sguardo al di là dell'orizzonte? Voglio dire, per “limitarsi” all'Italia: fra centocinquant'anni chi celebreremo? Ancora e solo Garibaldi, Mazzini e Cavour, oppure verrà fuori qualche altro eroe valoroso o sapiente politico che dia impulso al miglioramento di questa nostra democrazia malata?

lunedì 28 novembre 2011

Scalare il monte Pascal



821-252 Car il ne faut pas se méconnaître, nous sommes  automate autant qu'esprit. Et de là vient que l'instrument par lequel la persuasion se fait n'est pas la seule démonstration. Combien y a(-t-)il peu de choses démontrées? Les preuves ne convainquent que l'esprit, la coutume fait nos preuves les plus fortes et les plus crues. Elle incline l'automate qui entraîne l'esprit sans qu'il y pense. Qui a démontré qu'il sera demain jour et que nous mourrons, et qu'y a(-t-)il de plus cru? C'est donc la coutume qui nous en persuade. C'est elle qui fait tant de chrétiens, c'est elle qui fait les Turcs, les païens, les métiers, les soldats, etc. Il y a la foi reçue dans le baptême de plus aux chrétiens qu'aux païens. Enfin il faut avoir recours à elle quand une fois l'esprit a vu où est la vérité afin de nous abreuver et nous teindre de cette  créance qui nous échappe à toute heure, car d'en avoir toujours les preuves présentes c'est trop d'affaire. Il  faut acquérir une créance plus facile qui est celle de l'habitude qui sans violence, sans art, sans argument nous fait croire les choses et incline toutes nos puissances à cette croyance, en sorte que notre âme y tombe naturellement. Quand on ne croit que par la force de la conviction et que l'automate est incliné à croire le contraire ce n'est pas assez. Il faut donc faire croire nos deux pièces, l'esprit par les raisons qu'il suffit d'avoir vues une fois en sa vie et l'automate par la coutume, et en ne lui permettant pas de s'incliner au contraire. Inclina cor meum deus

Perché non possiamo negare di essere al tempo stesso automi e intelletto. Da ciò viene che il mezzo della persuasione non è la sola dimostrazione. Ci sono ben poche cose dimostrate! Le prove convincono solo l'intelletto, è l'abitudine che rende le nostre prove più forti e più credute. Essa orienta l'automa, che trascina l'intelletto senza che questo ci pensi. Quale dimostrazione c'è che domani farà giorno e che noi moriremo, ma c'è qualcosa a cui crediamo di più? È dunque l'abitudine che ce ne persuade. È lei a fare tanti cristiani, turchi, pagani, professioni, soldati, ecc. È a lei infine che dobbiamo ricorrere una volta che l'intelletto ha visto dov'è la verità, per abbeverarci e impregnarci di questa credenza che ad ogni istante ci sfugge; sarebbe  davvero troppo faticoso averne sempre davanti le prove. Bisogna acquisire una credenza più facile, che è quella dell'abitudine, che senza violenza, senza artifici, senza argomentazioni, ci fa credere le cose e inclina ogni nostro impulso verso questa fede, così che la nostra anima vi si abbandona spontaneamente. Se si crede solo per la forza della convinzione, mentre l'automa spinge in direzione contraria, non è sufficiente. Dobbiamo dunque far credere le nostre due parti, l'intelletto con le ragioni che gli basta aver visto una volta nella sua vita, e l'automa con l'abitudine, non permettendogli di andare in direzione contraria. «Inclina cor meum deus»

Pascal fa sempre bene la sera, costringe il pensiero all'azione, tiene su le palpebre che sarebbero pronte a cercare rifugio nell'oblio di brutte immagini televisive.
Vedi questo pensiero a tutta prima faticoso, indubbiamente faticoso. Scaliamolo, a mani nude, cerchiamone la vetta. 
Provo a dire cosa vedo da quassù? Questo: noi occidentali siamo abituati al mondo in cui viviamo. Lo diamo per scontato, e tutti gli accadimenti che subiamo li crediamo accidenti, abitudini. Siamo abituati alle crisi economiche su vasta scala e al fatto che, quando c'è una crisi economica, dobbiamo fare dei sacrifici. Ma il sacrificio ha smesso da un bel po' di tempo di essere sacro. Il sacro è precipitato tutto a terra, pioggia acida che corrode le nostre menti, cosi malate di abitudine.
Sbaglierò, ma questo di Pascal mi sembra un pensiero reazionario: un pensiero cioè da piccolo borghese soddisfatto, che nasconde sotto il tappeto del proprio salotto, la verità fondamentale che riguarda noi umani: gli uomini sono mortali, e noi siamo uomini. Di fronte a questo scandalo dobbiamo, secondo il Nostro, volgere la testa altrove, mangiare una buona scorta di abitudini, digerirle, assimilarle, enunciarle. 
Già, perché se noi umani avessimo tutti i giorni in testa la fissa che un giorno moriremo, beh, difficilmente saremmo dei buoni automi che seguono abitudini consolidate di buona educazione. Soprattutto: cominceremmo ad avere in uggia l'acquisire credenze facili, sorvegliate, “senza argomentazioni”. Chiederemmo conto di tutto, persino sulle crisi economiche che non ci appartengono vorremmo sapere altre verità. In poche parole: vorremmo andare nella direzione contraria delle abitudini. Dove? In quel luogo in cui non si sta ad aspettare di prenderlo nel culo senza volerlo. È per questo che stasera sono salito su questa cima. Stavano volando bassi.

lunedì 21 novembre 2011

Perché tutta a terra è un punto

“Si cercano un luogo di ritiro, campagne, lidi marini e monti; e anche tu sei solito desiderare fortemente un simile isolamento. Ma tutto questo è proprio di chi non ha la minima istruzione filosofica, visto che è possibile, in qualunque momento lo desideri, ritirarti in te stesso; perché un uomo non può ritirarsi in un luogo più quieto o indisturbato della propria anima, soprattutto chi ha, dentro, principî tali che gli basta affondarvi lo sguardo per raggiungere sùbito il pieno benessere: e per benessere non intendo altro che il giusto ordine interiore. Quindi concediti continuamente questo ritiro e rinnova te stesso; e siano brevi ed elementari i principî che, appena incontrati, basteranno a purgarti da ogni nausea e a congedarti senza che tu provi fastidio per le cose a cui ritorni. Che cosa, infatti, ti infastidisce? La cattiveria degli uomini? Considerati i termini del problema - e cioè che gli esseri razionali esistono gli uni per gli altri; che la tolleranza è parte della giustizia; che sbagliano senza volerlo - e considerato quanti già, dopo aver nutrito inimicizia, sospetto, odio, giacciono trafitti, ridotti in cenere, smettila, infine! O forse il tuo fastidio è anche per la sorte che, nell'ordine universale, ti viene assegnata? Ritorna col pensiero all'alternativa: «O provvidenza o atomi», e a tutti gli argomenti con cui fu dimostrato che il cosmo è come una città. O forse ti sentirai toccato dalle cose del corpo? Torna ancora a pensare che la mente non si immischia con i movimenti dolci o aspri del soffio vitale, una volta che abbia isolato se stessa e preso cognizione del proprio potere; e poi pensa a tutto quello che hai ascoltato intorno al dolore e al piacere, e su cui hai espresso il tuo assenso. O sarà forse la preoccupazione di una misera fama a fuorviarti? Guarda la rapidità dell'oblio che investe tutto, l'abisso dell'eternità che si estende infinita in entrambe le direzioni, la vacuità della rinomanza, la volubilità e la sconsideratezza di chi sembra tributare elogi, e l'angustia del luogo in cui la fama è circoscritta. Perché tutta la terra è un punto: e quale minuscolo cantuccio della terra è questa dimora? E, qui, quanti e quali sono gli uomini che ti elogeranno? Ricorda, allora, che puoi ritirarti in questo tuo campicello, e soprattutto non agitarti e non darti troppa pena, ma sii libero e guarda la realtà da uomo, da essere umano, da cittadino, da essere mortale. E tra i principî che più dovranno stare a portata di mano quando ti ripiegherai su di essi, vi siano i due seguenti. Il primo: le cose non toccano l'anima, ma stanno immobili all'esterno, mentre i turbamenti vengono soltanto dall'opinione che si forma all'interno. Il secondo: tutto quanto vedi, tra un istante si trasformerà e non sarà più; e pensa continuamente alla trasformazione di quante cose hai assistito di persona. Il cosmo è mutamento, la vita è opinione.”

Marco Aurelio, A se stesso (pensieri), Garzanti, Milano 1993, Libro IV, 3. Traduzione dal greco di Enrico V. Maltese

lunedì 18 ottobre 2010

Tutto e niente


«Alla domanda: “Insomma, che cos'è che ci rende servi nel sistema conformistico?” potremmo rispondere altrettanto bene con “tutto” e “niente”.
Con “tutto”. Infatti, basta che usciamo di casa, anzi, basta anche solo che ci svegliamo, per trovarci subito circondati da sciami di quelle sirene seduttrici che ci comandano e che costituiscono oggi il nostro mondo: dai milioni di apparecchi, modi di dire, usanze, opinioni e beahaviour patterns che mettono in mostra il loro fascino, che ci chiamano in coro assordante: “Prendimi!”, “Obbedisci alle mie voglie!”, “Lasciati coinvolgere!”, e che, ancor prima che sappiamo dove si va, già ci hanno trascinati nella loro corrente. E noi alle loro voglie ci stiamo, noi ci lasciamo trascinare, noi andiamo con loro, senza restare minimamente sorpresi dalla violenza della loro accoglienza, al contrario: nulla ci sembra più naturale che lasciarci trascinare in questo groviglio; nulla più naturale che vedere, in queste creature sireniche, il “nostro mondo”; e ci pare persino giusto che chi oppone resistenza finisca per sentire dalla bocca della psicologia, che sta sempre dentro questo groviglio, nel ruolo di giudice, ch'egli è inabile, poorly intergrated o addirittura sleale.
E tuttavia possiamo anche rispondere con “niente”. Ma ovunque tendiamo l'orecchio, non sentiamo mai la voce di un’istanza centrale, che pretenda incondizionatamente da noi che nuotiamo con gli altri in questa corrente. E se talvolta protestiamo, sbattendoci per la disperazione, che non vogliamo lasciarci trascinare con gli altri nella corrente, che non ne abbiamo bisogno, che non lo dobbiamo, che nessun dio ce l'ha ordinato – dove poi starebbe scritto che dovremmo credere, gridare e comprare insieme a tutti gli altri –, allora non abbiamo solo pienamente ragione, a volte accade persino che ci venga data ragione, che quelli che come noi vengono trascinati senza far resistenza ci diano ragione.
Cosa che tuttavia non dobbiamo fraintendere o magari approvare. Quelle vittime infatti ci applaudono non perché anch'esse si sentano inquietate dalla mancanza della voce che comanda in ultima istanza, ma al contrario perché in questa mancanza vedono la giustificazione della loro incapacità di resistenza e la fonte giuridica della loro buona coscienza. In altre parole: per quanto lo facciano senza scrupoli né freni, le vittime si agitano con gli altri solo perché vivono nella certezza di agitarsi spontaneamente; e sono così certe di questa loro illusione solo perché da nessuna parte si mostra una istanza centrale di comando, perché il deus del loro sistema resta muto e absconditus, e perché fraintendono come non-esistenza questa impercettibilità del loro dio, dunque proprio così come il loro dio si augura di essere frainteso. Infatti, in verità, quest'ultimo resta absconditus e quindi impercettibile perché sa di essere al colmo della potenza se resta celato dietro le quinte; e che, se non si fa percepire, assicura nel modo migliore la totalità del suo dominio.
Dunque:
Quanto più totale è un potere, tanto più muto il suo comando.
Quanto più muto un comando, tanto più naturale la nostra obbedienza.
Quanto più naturale la nostra obbedienza, tanto più assicurata la nostra illusione di libertà.
Quanto più assicurata la nostra illusione di libertà, tanto più totale il potere.
Questo è il processo circolare, o a spirale, che la società conformistica mantiene e che, appena essa si è messa in moto, continua automaticamente a perfezionarla».

Günther Anders, L'uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati-Boringhieri, Torino 1992 (pag. 130-132, traduzione di Maria Adelaide Mori).

È indubbio, Lucas è dentro tal processo circolare, sia concedendosi che rifiutandosi. D'altra parte il mondo è questo, non esiste un sopramondo, una posizione totalmente diacronica ove osservare, da aiuto-deus-absconditus, il procedere del mondo. Le sue tre anime si danno e si ritraggono in misura differente un po' come un geranio, un epagneul breton, o un monaco buddista. Esistere è già cosa perfetta di per sé per cercare ulteriori perfezioni.

«Tutto ciò che la mente intende sotto specie di eternità, non lo intende perché concepisce la presente esistenza attuale del corpo, ma perché concepisce l'essenza del corpo sotto specie di eternità».
B. Spinoza, Etica, Parte V, Prop. 29.

Ecco, ci siamo quasi, ci voleva un vero Benedetto a ricordare che, in questo passaggio qui, nel transuente, tutto è già presente. Ed ecco allora, affidandosi al suo intramontabile pensiero, osare di nuovo chiamare un nome senza tema di legarlo ad una religione. Così:

«La nostra mente, in quanto conosce sé e il corpo sotto specie di eternità, in tanto ha necessariamente la conoscenza di Dio e sa di essere in Dio e di essere concepita attraverso Dio».
Ibidem, Parte V, Prop. 30.

«Io credo, o Signore, aiuta la mia incredulità. Cioè, aiutami a credere o aiutami a discredere? Chi aiuta a credere? Egomen. Chi a discredere? L'altro».
James Joyce, Ulisse.

Il mondo resterà antiquato finché raggrupperemo l'altro dentro un fattore collettivo (potere, società, principi, potestà, economia, struttura, grande fratello). Dietro ogni altro c'è un volto. Aiutiamolo a togliersi la maschera per riconoscerlo, per riconoscersi face to face.

sabato 21 agosto 2010

Uno scalcinato post

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti:
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

E. Montale, Ossi di seppia.

Ecco, ora non vorrei scomodare versi inflazionati, ma essi mi servono per introdurre un discorso confuso, scaturito dalla lettura di alcuni post (citati in seguito).

Il mondo è questo. Siamo chiusi qui dentro questa sfera celeste, senza nessuna possibilità di evadere. E chi vuole evadere? E in che modo, se uno volesse, può farlo? Il suicidio potrebbe una soluzione, ma la vita (umana) è già così “corta” rispetto agli eoni. Qualcuno evade stordendosi la mente o con le droghe o con vari tipi di religione che fanno pensare in continuazione all'aldilà, fanno sperare nell'aldilà. Essere dei semplici “realisti” può essere, concedo, limitante. Persone (limitate?) che non vogliono “evadere”, vogliono stare in questa prigione chiamata Terra. Degli ingenui che si accontentano del mondo così come è. Beh, accontentarsi è una parola grossa. Diciamo che lo ricevono in dote. Ai nostri contemporanei occidentali è andata piuttosto bene in paragone ad altre epoche storiche o ad altri luoghi della terra pieni di calamità, di miseria, di persecuzione. Dunque, tutto va più o meno bene. Abbiamo tempo perfino per leggere Adorno. Oppure per usare utensili di falegnameria per costruire una sfera di legno perfettamente inutile, così per soprammobile. Molti di noi hanno, chi più chi meno, un lavoro, un reddito, un alloggio, le ferie pagate, tempo libero.

Questo discorsetto inutile per introdurre un corposo post di Eschaton, letto il quale mi sono, lì per lì, sentito una merda. Certo, capisco la raffinatezza del suo ragionamento, che non vuole essere semplice critica ma constatazione di un dato. Tutto vero, per carità. La nostra società occidentale dei consumi è impossibilitata a uscire da se stessa pena la sua scomparsa. Date le prospettive intorno (comunismo cinese-coreano-cubano, autoritarismo feroce alla Putin o alla Chavez o alla Gheddafi, teocrazie varie – anche se noi italiani stiamo sperimentando un bel paradosso democratico che speriamo presto si concluda) possiamo tranquillamente dire: lunga vita al capitalismo, al sistema liberal-democratico! Ma il capitalismo deve necessariamente essere, a volte, molto spesso anzi, così stronzo? Esistono versioni di mercato meno cannibali delle attuali? I ricconi sono emendabili? La grande messe economica che fa girare il sistema attuale – possibile sia necessariamente destinata a fottere il mondo così come lo conosciamo, abbastanza tranquillo per permetterci a tutti di vivere? C'è qualche speranza di perfezione? Forse sì, sentite Sylvie CoyaudNoi donne siamo perfette, ovvio»). La terra di noi se ne frega, lo sappiamo: la natura è indifferente dacché qualsiasi cosa è natura. Anche questo pc sul quale scrivo per me è natura, per capirsi.

Sto perdendomi e allora vado, a quel post di Giulio Mozzi che mi ha costretto a quasi due giorni di pensiero fisso sulla sua domanda finale, che riporto:

«come hanno definito e ridefinito l’altro, le forze che oggi sono all’opposizione, in questi ultimi vent’anni?»

Due giorni di pensiero frammentario mi portano a questa timida risposta: l'altro non esiste dato che tutto intorno è altro. Anche il mio corpo. Io sono soltanto quella breve connessione cerebrale che mi fa percepire come estensione: vedere il mio corpo che si muove e cammina è già vedere l'altro.

Banalità: l'altro siamo noi, ma anche noi siamo altro. Tutto quanto intorno è altro. Altritudine. Mi tocco un braccio: è veramente mio? Dentro il mio corpo le cellule sono mie? Cosa sono esattamente? Estensione? Ma l'io è troppo piccolo per contenere alcunché. Se io sciolgo, solo per un attimo, l'io nell'estensione del corpo, o dei corpi, o del mondo, ecco che mi percepisco a mala pena come punto. E un punto è per definizione la cosa non estesa, senza superficie (sono molto euclideo). Per diventare figura, faccia, volto, l'io deve collegarsi ad altri punti. Io sono nulla, l'altro è tutto.

Basta. È bene che esca. Un po' d'aria fresca, lo specchio della luna sul lago, sigaretta, una giovine donna che porta il bianco cane a spasso. Ha un bel culo, non il cane. Sono i momenti in cui vorrei essere un personaggio di Philip Roth. Non lo sono.

Ecco ritornano i versi di Montale per ricordarmi che l'unica cosa che so è sapere ciò non sono, ciò che non voglio.


sabato 9 gennaio 2010

Chiaro e luminoso come il mattino



«Nan-po chiese a Nu-yu: "Signore, tu sei vecchio, ma il tuo sguardo è quello di un bimbo. Come mai?"
"Ho appreso il Tao" rispose Nu-yu.
"Si può apprendere il Tao?" chiese Nan-po.
"Ah! Come si può?" replicò Nu-yu.
"Non sei l'uomo giusto per questo. Pu-liang: io possedevo la capacità del saggio, ma non conoscevo gli insegnamenti. Conoscevo tutti gli insegnamenti ma non avevo la sua capacità. Eppure dovevo insegnargli. Occorsero tre giorni prima che fosse capace di trascendere questo mondo. Dopo ch'egli ebbe trasceso questo mondo attesi sette giorni ancora, e poi fu capace di trascendere tutte le cose materiali. Dopo ch'egli ebbe trasceso tutte le cose materiali, attesi altri nove giorni, e fu capace di trascendere tutta la vita. Avendo trasceso tutta la vita egli fu chiaro e luminoso come il mattino. Essendo divenuto chiaro e luminoso come il mattino egli fu capace di abolire la distinzione fra passato e presente. Avendo abolito il passato e il presente, egli divenne allora capace di entrare nel regno dove non è né vita né morte...»

Chuang-tse

da A Source Book in Chinese Philosophy, a cura di Wing-Tsit Chan, Princeton University Press 1963 (pag. 195)
[Ho trovato questo brano in R. Smullyan, 5000 a.C., Zanichelli, Bologna 1987]