martedì 15 dicembre 2015
Muti come pesci
venerdì 30 dicembre 2011
La fatica del sole
Denaro ritrovato nel Titanic |
lunedì 28 novembre 2011
Scalare il monte Pascal
821-252 Car il ne faut pas se méconnaître, nous sommes automate autant qu'esprit. Et de là vient que l'instrument par lequel la persuasion se fait n'est pas la seule démonstration. Combien y a(-t-)il peu de choses démontrées? Les preuves ne convainquent que l'esprit, la coutume fait nos preuves les plus fortes et les plus crues. Elle incline l'automate qui entraîne l'esprit sans qu'il y pense. Qui a démontré qu'il sera demain jour et que nous mourrons, et qu'y a(-t-)il de plus cru? C'est donc la coutume qui nous en persuade. C'est elle qui fait tant de chrétiens, c'est elle qui fait les Turcs, les païens, les métiers, les soldats, etc. Il y a la foi reçue dans le baptême de plus aux chrétiens qu'aux païens. Enfin il faut avoir recours à elle quand une fois l'esprit a vu où est la vérité afin de nous abreuver et nous teindre de cette créance qui nous échappe à toute heure, car d'en avoir toujours les preuves présentes c'est trop d'affaire. Il faut acquérir une créance plus facile qui est celle de l'habitude qui sans violence, sans art, sans argument nous fait croire les choses et incline toutes nos puissances à cette croyance, en sorte que notre âme y tombe naturellement. Quand on ne croit que par la force de la conviction et que l'automate est incliné à croire le contraire ce n'est pas assez. Il faut donc faire croire nos deux pièces, l'esprit par les raisons qu'il suffit d'avoir vues une fois en sa vie et l'automate par la coutume, et en ne lui permettant pas de s'incliner au contraire. Inclina cor meum deus
Perché non possiamo negare di essere al tempo stesso automi e intelletto. Da ciò viene che il mezzo della persuasione non è la sola dimostrazione. Ci sono ben poche cose dimostrate! Le prove convincono solo l'intelletto, è l'abitudine che rende le nostre prove più forti e più credute. Essa orienta l'automa, che trascina l'intelletto senza che questo ci pensi. Quale dimostrazione c'è che domani farà giorno e che noi moriremo, ma c'è qualcosa a cui crediamo di più? È dunque l'abitudine che ce ne persuade. È lei a fare tanti cristiani, turchi, pagani, professioni, soldati, ecc. È a lei infine che dobbiamo ricorrere una volta che l'intelletto ha visto dov'è la verità, per abbeverarci e impregnarci di questa credenza che ad ogni istante ci sfugge; sarebbe davvero troppo faticoso averne sempre davanti le prove. Bisogna acquisire una credenza più facile, che è quella dell'abitudine, che senza violenza, senza artifici, senza argomentazioni, ci fa credere le cose e inclina ogni nostro impulso verso questa fede, così che la nostra anima vi si abbandona spontaneamente. Se si crede solo per la forza della convinzione, mentre l'automa spinge in direzione contraria, non è sufficiente. Dobbiamo dunque far credere le nostre due parti, l'intelletto con le ragioni che gli basta aver visto una volta nella sua vita, e l'automa con l'abitudine, non permettendogli di andare in direzione contraria. «Inclina cor meum deus»
lunedì 21 novembre 2011
Perché tutta a terra è un punto
lunedì 18 ottobre 2010
Tutto e niente
sabato 21 agosto 2010
Uno scalcinato post
E. Montale, Ossi di seppia.
Ecco, ora non vorrei scomodare versi inflazionati, ma essi mi servono per introdurre un discorso confuso, scaturito dalla lettura di alcuni post (citati in seguito).
Il mondo è questo. Siamo chiusi qui dentro questa sfera celeste, senza nessuna possibilità di evadere. E chi vuole evadere? E in che modo, se uno volesse, può farlo? Il suicidio potrebbe una soluzione, ma la vita (umana) è già così “corta” rispetto agli eoni. Qualcuno evade stordendosi la mente o con le droghe o con vari tipi di religione che fanno pensare in continuazione all'aldilà, fanno sperare nell'aldilà. Essere dei semplici “realisti” può essere, concedo, limitante. Persone (limitate?) che non vogliono “evadere”, vogliono stare in questa prigione chiamata Terra. Degli ingenui che si accontentano del mondo così come è. Beh, accontentarsi è una parola grossa. Diciamo che lo ricevono in dote. Ai nostri contemporanei occidentali è andata piuttosto bene in paragone ad altre epoche storiche o ad altri luoghi della terra pieni di calamità, di miseria, di persecuzione. Dunque, tutto va più o meno bene. Abbiamo tempo perfino per leggere Adorno. Oppure per usare utensili di falegnameria per costruire una sfera di legno perfettamente inutile, così per soprammobile. Molti di noi hanno, chi più chi meno, un lavoro, un reddito, un alloggio, le ferie pagate, tempo libero.
Questo discorsetto inutile per introdurre un corposo post di Eschaton, letto il quale mi sono, lì per lì, sentito una merda. Certo, capisco la raffinatezza del suo ragionamento, che non vuole essere semplice critica ma constatazione di un dato. Tutto vero, per carità. La nostra società occidentale dei consumi è impossibilitata a uscire da se stessa pena la sua scomparsa. Date le prospettive intorno (comunismo cinese-coreano-cubano, autoritarismo feroce alla Putin o alla Chavez o alla Gheddafi, teocrazie varie – anche se noi italiani stiamo sperimentando un bel paradosso democratico che speriamo presto si concluda) possiamo tranquillamente dire: lunga vita al capitalismo, al sistema liberal-democratico! Ma il capitalismo deve necessariamente essere, a volte, molto spesso anzi, così stronzo? Esistono versioni di mercato meno cannibali delle attuali? I ricconi sono emendabili? La grande messe economica che fa girare il sistema attuale – possibile sia necessariamente destinata a fottere il mondo così come lo conosciamo, abbastanza tranquillo per permetterci a tutti di vivere? C'è qualche speranza di perfezione? Forse sì, sentite Sylvie Coyaud («Noi donne siamo perfette, ovvio»). La terra di noi se ne frega, lo sappiamo: la natura è indifferente dacché qualsiasi cosa è natura. Anche questo pc sul quale scrivo per me è natura, per capirsi.
Sto perdendomi e allora vado, a quel post di Giulio Mozzi che mi ha costretto a quasi due giorni di pensiero fisso sulla sua domanda finale, che riporto:
«come hanno definito e ridefinito l’altro, le forze che oggi sono all’opposizione, in questi ultimi vent’anni?»
Due giorni di pensiero frammentario mi portano a questa timida risposta: l'altro non esiste dato che tutto intorno è altro. Anche il mio corpo. Io sono soltanto quella breve connessione cerebrale che mi fa percepire come estensione: vedere il mio corpo che si muove e cammina è già vedere l'altro.
Banalità: l'altro siamo noi, ma anche noi siamo altro. Tutto quanto intorno è altro. Altritudine. Mi tocco un braccio: è veramente mio? Dentro il mio corpo le cellule sono mie? Cosa sono esattamente? Estensione? Ma l'io è troppo piccolo per contenere alcunché. Se io sciolgo, solo per un attimo, l'io nell'estensione del corpo, o dei corpi, o del mondo, ecco che mi percepisco a mala pena come punto. E un punto è per definizione la cosa non estesa, senza superficie (sono molto euclideo). Per diventare figura, faccia, volto, l'io deve collegarsi ad altri punti. Io sono nulla, l'altro è tutto.
Basta. È bene che esca. Un po' d'aria fresca, lo specchio della luna sul lago, sigaretta, una giovine donna che porta il bianco cane a spasso. Ha un bel culo, non il cane. Sono i momenti in cui vorrei essere un personaggio di Philip Roth. Non lo sono.
Ecco ritornano i versi di Montale per ricordarmi che l'unica cosa che so è sapere ciò non sono, ciò che non voglio.
sabato 9 gennaio 2010
Chiaro e luminoso come il mattino

«Nan-po chiese a Nu-yu: "Signore, tu sei vecchio, ma il tuo sguardo è quello di un bimbo. Come mai?"
"Ho appreso il Tao" rispose Nu-yu.
"Si può apprendere il Tao?" chiese Nan-po.
"Ah! Come si può?" replicò Nu-yu.
"Non sei l'uomo giusto per questo. Pu-liang: io possedevo la capacità del saggio, ma non conoscevo gli insegnamenti. Conoscevo tutti gli insegnamenti ma non avevo la sua capacità. Eppure dovevo insegnargli. Occorsero tre giorni prima che fosse capace di trascendere questo mondo. Dopo ch'egli ebbe trasceso questo mondo attesi sette giorni ancora, e poi fu capace di trascendere tutte le cose materiali. Dopo ch'egli ebbe trasceso tutte le cose materiali, attesi altri nove giorni, e fu capace di trascendere tutta la vita. Avendo trasceso tutta la vita egli fu chiaro e luminoso come il mattino. Essendo divenuto chiaro e luminoso come il mattino egli fu capace di abolire la distinzione fra passato e presente. Avendo abolito il passato e il presente, egli divenne allora capace di entrare nel regno dove non è né vita né morte...»
Chuang-tse
da A Source Book in Chinese Philosophy, a cura di Wing-Tsit Chan, Princeton University Press 1963 (pag. 195)
[Ho trovato questo brano in R. Smullyan, 5000 a.C., Zanichelli, Bologna 1987]