mercoledì 20 ottobre 2010

Tre quarti di essere

«Che fare? Non smettere di dire con forza che senza giustizia non c’è equità, che i problemi del Paese non possono più aspettare, che il Paese siamo noi. In ogni luogo, dove capiti, a cominciare da qui. Finché c’è voce c’è speranza. Allora basta con le chiacchere da bar, basta con la voglia di richiudersi nel privato». WW

Lucas si guarda intorno: è matematico, il mondo è composto da una maggioranza di brave persone che manifestano se stesse come possono o vogliono. Insomma, là fuori non tutto è buio, notte senza luna, i Jeckyll sono più degli Hyde. Lucas non crede molto nei buoni propositi, nella voglia di muovere le mani, nel fare per... Per carità, certo che ci sono persone meravigliose che riescono a consolare i passanti disperati, che portano luce nelle tenebre, che risollevano i caduti. Ma ognuno deve farlo – Lucas pensa – secondo la propria vocazione, la propria sensibilità. Lucas teme il rischio di diventare come Uolter/Celestino che voleva partire in Africa e poi si è ritrovato a scrivere lettere al Corriere della Sera. No, meglio non lanciarsi se uno non ha le physique du rôle.

«Compagni,
la questione mai si porrà a scrittori che intendano e vivano la propria missione come polene di prua, sporte sulla rotta della nave, a ricevere tutto il vento e il sale dei marosi. Punto. E non si porrà

perché essere scrittore / romanziere / narratore

vale a dire affabulante, immaginante, delirante, mitopoietico, oracolo o chiamatelo ics,
significa in primissimo luogo
che il linguaggio è, come sempre, un mezzo
ma questo mezzo è più che un mezzo,
è come minimo tre quarti
[…]
non si conoscono limiti all'immaginazione
se non quelli del verbo;
linguaggio e invenzione sono nemici fraterni
e da tale lotta nasce la letteratura,
il dialettico incontro della musa con lo scriba,
l'indicibile in cerca della sua parola,
la parola che si nega a dirlo
finché non le tiriamo il collo
e lo scriba e la musa si conciliano
in quel raro istante […]

- D'accordo, - dice qualcuno, - ma di fronte alla congiuntura storica lo scrittore e l'artista che non siano mera Torredavorio hanno il dovere […] di lanciare il loro messaggio a un livello di massima ricezione. Applausi.
- Ho sempre pensato – osserva modestamente Lucas, – che gli scrittori cui lei alludeva fossero la maggioranza, ragion per cui mi sorprende questa ostinazione nel voler trasformare una maggioranza in unanimità. Di che cazzo avete tanta paura? E a chi se non ai rancorosi e agli sfiduciati possono dar fastidio le esperienze diciamo estreme e pertanto difficili (difficili, in primo luogo per lo scrittore, e solo poi per il pubblico, è il caso di sottolinearlo) quando è ovvio che pochi soltanto le portano a termine? Non sarà, amico mio, che per certa gente tutto quello che non è immediatamente chiaro è colpevolmente oscuro? Non ci sarà una segreta e talvolta sinistra necessità di uniformare la scala di valori per poter sollevare la testa dalle onde? Dio buono, quante domande»¹.

Quante domande Lucas, quante domande. E le risposte le diano gli uomini e le donne del fare. Meno si fa, più si è. Più si è, più si diventa. Ancora un quarto d'ora e la piazza sarà piena di gente che pensa. Una minoranza, va bene, ma è già abbastanza.

¹Julio Cortázar, Un tal Lucas, Einaudi-Gallimard, Torino 1994 (traduzione di Vittoria Martinetto).

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Meno si fa, più si è?
Io sono in disaccordo: non è fare per fare, ma, cazzo, arriverà la morte e non avrà i miei occhi, perchè io sarò voltata a guardare altrove, a non rassegnarmi, a non lasciarmi andare...
fare, uscire, parlare, incazzarsi, manifestare, scrivere, agitare animi, scuotere coscienze, illudersi, cadere, rialzarsi, inveire alla luna...qualsiasi cosa, piuttosto che chiudersi in pernsieri che si arrovellano intorno al nulla, perchè noi, Luca, siamo Nulla e a questa realtà io non voglio guardarla in faccia, mi fa troppa paura

Luca Massaro ha detto...

Cara WW, nel fare, nel troppo fare, io vedo dispersione, fuga, smania di essere. Lo so: c'è "fare" e "fare", ma non essendo di natura un manicheo, mi rifugio nella mia perplessità.
E poi: sei sicura che qui, da queste parti, noi blogger marginali e privatissimi, non si faccia davvero nulla? Qualcosa accade, tu lo sai, noi non saremo mai vittime dell'inespresso.

Anonimo ha detto...

hai ragione, certo, ma in me la frustrazione e la rabbia si sfogano in iperattività (se fai un salto da me vedrai che l'attivismo può avere molti risvolti, anche piacevoli)
l'alternativa è un infarto coronarico

mai vittime dell'inespresso: questo è sicuro

(ma non c'è smania di essere: c'è il "contenimento" del proprio essere, semmai, per come la vedo io)(tendo ad essere incontinente...)