« Ma di tutto quanto avveniva intorno a me io non mi rendevo conto che in modo saltuario e indistinto. Pareva che la stanchezza e la malattia, come bestie feroci e vili, avessero atteso in agguato il momento in cui mi spogliavo di ogni difesa per assaltarmi alle spalle. Giacevo in un torpore febbrile, cosciente solo a mezzo, assistito fraternamente da Charles, e tormentato dalla sete e da acuti dolori alle articolazioni. Non c’erano medici né medicine. Avevo anche male alla gola, e metà della faccia mi era gonfiata: la pelle si era fatta rossa e ruvida, e mi bruciava come per una ustione; forse soffrivo di più malattie ad un tempo. Quando venne il mio turno di salire sul carretto di Yankel, non ero più in grado di reggermi in piedi.
Fui issato sul carro da Charles e da Arthur, insieme con un carico di moribondi di cui non mi sentivo molto dissimile. Piovigginava, e il cielo era basso e fosco. Mentre il lento passo dei cavalli Yankel mi trascinava verso la lontanissima libertà, sfilarono per l’ultima volta sotto i miei occhi le baracche dove avevo sofferto e mi ero maturato, la piazza dell’appello su cui ancora si ergevano, fianco a fianco, la forca e un gigantesco albero di Natale, e la porta della schiavitù, su cui, vane ormai, ancora si leggevano le tre parole della derisione: “Arbeit Macht Frei”, “Il lavoro rende liberi” ».
Primo Levi, La tregua, Einaudi, Torino 1963
In queste settimane, mesi, di distruzione di Gaza, di bombardamenti e fucilazioni dell'esercito dei massacratori che fanno i videini per far vedere quanto sono bravi, potenti, ironici e lottano soprattutto per la libertà dei valori occidentali, ho pensato spesso a Primo Levi e proprio oggi, parlandone con un amico, gli ho detto che, di fronte a tanto orrore (giustificato da pochi figli e molti nipoti ché hanno la patente ufficiale di vittime rilasciata dai padri e dai nonni che furono vittime dei campi di concentramento nazisti), se fosse ancora vivo, Primo Levi non sarebbe stato zitto e/o avrebbe giustificato in alcun modo la barbarie voluta dal governo e compiuta dall'esercito israeliani; e di fronte a tale impotenza si sarebbe buttato dalle scale di nuovo.
Il mio amico ha aggiunto: «Sarebbe salito due piani più su».
8 commenti:
Come scritto a casa, su questa guerra io sono spaccato: emozioni e simpatia vanno agli israeliani, raziocinio e senso di giustizia mi portano verso i palestinesi.
Comunque, da quando subisco la feccia nordafricana, la viscida ambiguità e falsità arabe nella vita, la taqquiya quotidiana, da filopalestinese sono diventato filoisraeliano.
sì, penso che sarebbe stato intollerabile per Primo Levi ritrovarsi come ebreo dall'altra parte della barricata.
massimolegnani
(orearovescio.wp)
qui non c'è, o uomo, da essere filo o anti: c'è semplicemente da considerare «se questo è un uomo».
che bella risposta, Luca
Per quanto estraneo, ritengo solo assurdo che chi abbia provato sulla pelle tale orrore, o anche solo memoria diretta dai suoi genitori o nonni, possa riversarne oggi anche solo un'ombra su chicchessia.
Ottimo il post e ancora meglio la risposta all' Uomo InCammino. Buon Natale.
Buon Natale a te, Principe a tutti voi.
Nulla mai potrà giustificare le guerre, come disse quel tale 'La prima vittima delle guerre è la verità'. Buone feste, siamo in attesa di altri versi da parte sua.
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