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martedì 17 marzo 2020

Incluso il cane


Io ci provo, ci provo, ci provo ma non riesco, non riesco, non riesco a stare tranquillo, nonostante ci siano le condizioni per stare tranquillo, incluso il cane.
Certo, me la racconto - e come no, hai voglia se me la racconto - che andrà tutto bene, ma questo futuro - «Che fine ha fatto il futuro?» - sia pure schiacciato dall'angosciante presente, quando arriva?

Andrà - quando diventerà: è andata? Quando potremo metterci davanti a un tavolo a raccontarci la storia di questi tempi tristi e tribolati? E io stavo così, e passavo il tempo in quel modo... 

Il problema è che, invece, qui si stia assistendo e - soprattutto - subendo un crescendo di ansia e preoccupazioni diffuse, come se la società tutta fosse all'angolo in attesa del KO. 
Ma quando suona almeno la fine di un round?

Quando la smetteranno con il quotidiano bollettino della contabilità del contagio? Quando impacchetteranno tutti i dati nella silenziosa statistica dell'Istat?

Nel Bilancio demografico nazionale del 2018 si legge che, due anni fa, in Italia ci sono stati 633mila decessi, vale a dire poco più di 1700 morti al giorno. È un dato tranquillizzante, nevvero?



Certo, la situazione attuale è grave, la realtà oggettiva non è che la si cambia a proprio piacimento. Io vorrei soltanto che, in questi giorni dello stare a casa, si potesse, non dico nascondere la realtà: soltanto tenerla per un attimo in stand-by, e si avviasse una narrazione diversa degli eventi e, in spirito decameroniano, si riuscisse a mitigare l'effetto panico senza dover ricorrere alle benzodiazepine.

Per fortuna c'è il cane.

lunedì 23 aprile 2018

C'è decile e decile

«Si allarga il divario in Italia tra chi ha redditi più alti e chi non riesce ad arrivare alla fine del mese: il decile più povero della popolazione - secondo le tabelle appena pubblicate da Eurostat - nel 2016 poteva contare infatti appena sull'1,8% dei redditi. Complessivamente quasi un quarto (il 24,4%) del reddito complessivo era percepito da appena il 10% della popolazione. Rispetto al 2008, anno nel quale è iniziata la crisi, il decile più benestante ha accresciuto la sua quota di reddito (23,8%) mentre quello più povero ha registrato un crollo (era il 2,6%).» Ansa

Oramai, da anni, la pubblicazione di simili tabelle non scandalizza più nessuno. Così è, ma perché così sia, nessun lo sa (ci si rifiuta di saperlo). Viene sempre chiamata in causa la perdurante crisi economica, senza peraltro specificare perché essa sia permanente e insuperabile, e senza neanche spiegare perché essa precipiti un decile nella povertà e, di contro, la ricchezza di un altro decile aumenti.

A proposito: ma che cos'è, in concreto, un decile? Da un vocabolario apprendo che esso è una unità di misura statistica:

Decile: STAT Ciascuno dei valori che dividono un insieme di elementi in dieci sottoinsiemi successivi, ognuno dei quali contiene lo stesso numero di elementi.

Dunque, se non sbaglio (e se sbaglio ditemelo) il decile più povero della popolazione è costituito dallo stesso numero di individui del decile più benestante.
Eppure in Italia i ricchi sono pochissimi; mentre i poveri sono una moltitudine (redditi Irpef 2016: sotto 15 mila euro quasi un contribuente su due).
Come sta la faccenda?

sabato 6 dicembre 2014

Introfletto ergo sum

Dal 48° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, estraggo:
La solitudine dei soggetti: i dispositivi di introflessione di un popolo di singoli narcisisti e indistinti. La estraneità dei soggetti alle dinamiche di sistema risalta nel rapporto con i media digitali personali. A fronte del 63,5% di italiani che utilizzano internet, gli utenti dei social network sono il 49% della popolazione e arrivano all'80% tra i più giovani di 14-29 anni. Tra il 2009 e il 2014 gli utenti di Facebook 36-45enni sono aumentati del 153% e gli over 55 del 405%. Gli utenti italiani di Instagram sono circa 4 milioni. Delle 4,7 ore al giorno trascorse mediamente sul web, 2 sono dedicate ai social network. E il numero di chi accede a internet tramite telefono cellulare in un giorno medio (7,4 milioni di persone) è ormai più alto di quanti accedono solo da pc (5,3 milioni) o da entrambi (7,2 milioni). La pratica diffusa del selfie è l'evidenza fenomenologica della concezione dei media come specchi introflessi in cui riflettersi narcisisticamente, piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con l'altro da sé. Non è contraddittorio quindi il dato che emerge da una rilevazione del Censis secondo cui la solitudine è oggi una componente strutturale della vita delle persone: il 47% degli italiani dichiara di rimanere solo durante il giorno per una media quotidiana di solitudine pari a 5 ore e 10 minuti. È come se ogni italiano vivesse in media 78 giorni di isolamento in un anno, senza la presenza fisica di alcuna altra persona.
Dentro il generale, molte volte, il particolare soccombe o si perde, non viene contabilizzato, specificato. 
Nondimeno, come da un seme soffocato nel terreno, spunta il germoglio io e dichiara: che fortuna poter godere di almeno 78 giorni di isolamento annui. Altro che ferie.

Ma non è così. 

La solitudine: differenza tra chi la fugge e ne è condannato, e chi la cerca non avendone mai abbastanza. Mannaggia, non ritrovo il passo in cui Milan Kundera confronta la parola solitudine tra come viene detta e scritta dai francesi (e, aggiungo, dagli italiani): solitude,  e il modo in cui la scrivono e pronunciano gli spagnoli: soledad, notando - se non ricordo male - la sostanziale differenza esistenziale che si evince tra i due termini: solitude che denota chiusura in sé, contrizione, quasi sofferenza; soledad, a indicare apertura di sé al mondo, emanazione del proprio riflesso esistenziale.

Per concludere: nella media quotidiana sono calcolati anche i minuti trascorsi dentro il cesso?