Sono stato a vedere The Cleaner di Marina Abramović, una mostra che ripercorre cinquant'anni della storia dell'artista, allestita a Palazzo Strozzi (anche se, secondo me, la sede più giusta avrebbe dovuto essere il cortile dell'Istituto degli Innocenti, data l'ossessiva esposizione di un corpo che si fa continua violenza per essere adottato dallo sguardo dello spettatore).
Mi è piaciuta molto questa fisicità a tratti disturbante, equivalente a uno sfregio sulla lavagna del corpo, o a mera carne in cerca di tenerezza, oppure ancora a un urlo ossessivo in cerca di ascolto e di sfinimento. Ecco: lo sfinimento. Molte, forse tutte le performance sono caratterizzate dallo sfinimento corporale, dall'estremo sacrificio dei sensi, che espande nell'artista e, di riflesso, nello spettatore, la possibilità di sentire il dolore del mondo, anche e soprattutto mediante la sofferenza auto-inflitta:
«Attraverso la sofferenza l'artista trascende il proprio spirito», scrive la stessa Abramović, nel suo Manifesto della vita di un'artista.
Nello stesso, si può altresì leggere: «L'artista dovrebbe essere erotico» e lei lo è, tanto che, sdraiato sul divano di legno davanti a un video in bianco e nero in cui lei si pettina furiosamente i capelli con una spazzola d'acciaio, ho avuto un'erezione.
Se mi masturbassi, sarei scambiato per un performer oppure denunciato per atti osceni? Mi stavo chiedendo questo, quando, accanto a me, è passata una performer che teneva uno scheletro tra le mani. Era diretta al Piano Nobile (adibito alle re-performance) e così ho capito che non era il caso di scoprire i pantaloni le carte, dato che io ero ancora nel seminterrato della Strozzina.
Prima di salire, però, mi sono posto un'altra domanda, a seguito della performance Thomas Lips proiettata su doppio schermo: a sinistra, al suo debutto nel 1975 (bianco e nero)
e l'altra del 2005 (a colori),
nella quale l'artista compie le seguenti azioni estreme: mangia un chilo di miele; beve un litro di vino;
si disegna, con una lametta, una stella a cinque punte sul ventre (che il sangue farà chiaramente rossa); si autoflagella con una frusta; si sdraia su una serie di blocchi di ghiaccio disposti a forma di croce, mentre una stufa elettrica appesa sopra di lei impedisce al sangue di coagularsi.
tutto finché Marina, sfinita, perde i sensi e gli spettatori chiamano i soccorsi o la portano in ospedale.
Ma oltre l'evidente valore simbolico (eucaristico e politico) della prestazione, io mi sono chiesto anche: in trent'anni, senza interventi di chirurgia plastica, possono crescere così tanto le poppe di una donna adulta?
Infine, il piano nobile, dove appunto, oltre alle installazioni, si svolgono alcune delle re-performace presentate da alcuni giovani istruiti dalla stessa Abramović tramite il suo apposito Istituto di riproposizione artistica. Tra queste installazioni viventi, ne segnalo una, che ha lasciato un cruccio non ancora risolto. Per accedere dalla prima alla seconda sala, occorre passare da una porta ai cui stipiti si trovano un uomo e una donna, uno di fronte all'altra, completamente nudi. Chiaramente, l'unico modo per oltrepassare senza toccarli, è fare un passo di lato guardando in faccia o dando le spalle a uno dei due. Non c'era molta gente in quel momento e nessuno si decideva a passare. Ho rotto così gli indugi e, senza tanto pensarci, ho deciso di guardare in faccia la donna (bel seno). Solo dopo, all'uscita, mi sono accorto che dare di spalle all'uomo comportava anche qualcos'altro.
2 commenti:
Donna impegnativa, artista impegnativa, mostra impegnativa... Bravo che ci sei andato.
temerario.
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