È un po' di giorni che lascio la realtà al suo corso. Beh, anche prima, da tutti i giorni, da sempre, l'ho lasciata correre, tanto essa corre come suole indipendentemente dai miei desiderata, anche se, ovviamente, ci sono momenti in cui ho creduto di deviarne il corso con azioni minime, tipo uno starnuto che fa sobbalzare una signora di Chicago che ascolta Rtl 102.5 in poadcast per imparare l'italiano stronzo, intervista ai protagonisti del giorno compresa.
Mi adeguo, ovvero: ho fatto l'adeguamento, un mutuo condono, una pace abissale, tipo quella dei sommozzatori. Ho ricavato dei buoni del tesoro che ho subito commutato con quelli cattivi, aventi interessi con il segno meno, ci rimetti la pazienza. Il tempo va comunque ammazzato, senza tirare in ballo la giustizia, mica siamo americani che ci possiamo permettere la cauzione. No. Il fatto è che non riesco più a stare sul pezzo, a stare nel mezzo, in provincia di Arezzo senza esercitare quotidianamente il dono della prospettiva.
E ti vedo lontana, realtà, punteggiata come gli alberi minuscoli che fanno da sfondo al doppio ritratto dei duchi di Urbino: cari musoni, stagliatevi con le vostre a facce a culo, tanto io guardo oltre, nello sfogo.
Confido nei rapporti orali: io ti parlo, tu parli a me. Ne escono discorsi da rimanere a bocca aperta, senza fiato. Tanti omiodio, gesù, gesù.
Essere repentini, inaspettarsi. E sonnolenti, perché chi dorme può essere, legittimamente, un dormiente. E chi è dormiente, non piglia il niente.
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