Non è facile tentare di scrivere qualcosa che non abbia a che fare con il rifrullio di pensieri (memi) che, di questi tempi, colonizzano la mente. La lontananza dai diffusori aiuta, ma fino a un certo punto se, persino in una zona fuori campo (telefonico) e piena dei colori, dei profumi, dei fruscii dell'autunno, la mente ricade nel gorgo e storce calma e serenità, in agitazione e livore e impreca, come il Saba di Vittorio Sereni, porca... porca dicendolo «all'Italia, di schianto, come a una donna che, ignara o no, a morte ci ha ferito».
E qual era la donna?
L'ho sognata, la settimana scorsa e mi sembrava vera, premurosa, prodiga di spiegazioni per profondere, in pochi minuti, la riserva d'amore inespresso che stava sospeso da qualche parte, in un tempo lontano, messo in chissà quale soffitta sotto una coltre di polvere e ragnatele. Una donna così piccola, consumata nei tratti, gli zigomi sopratutto, come da un cesello di lacrime, similmente a gocce d'acqua che modellano le acquasantiere. E l'ho toccata, ma non mi sono fatto il segno della croce.
E poi mi sono immerso in un'aurora rallentata dal peso della nebbia per dimenticare tutto.
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