Piazza antistante un centro commerciale. Sto aspettando che arrivi una collega per bere un caffè insieme seduti al tavolo di un bar. È qualche minuto in ritardo, sicché girello guardando le vetrine dei vari negozi: un gioielliere, un venditore di telefoni, una libreria, due negozi di abbigliamento. Alla colonna che divide questi ultimi due, c'è una zona d'ombra: mi soffermo e mi volgo verso la piazza ad osservare il viavai delle persone. Arriva un giovane uomo, presumo un corriere perché ha una divisa di una nota compagnia di spedizioni, ma non ha niente tra le mani. Entra nel negozio alla mia destra e, subito, riesce insieme a una (presumo) commessa, probabilmente la sua ragazza. Sorridono, si scambiano alcune effusioni. Io, per far finta di nulla e garantirmi il diritto di stare lì in quell'unico cono d'ombra, consulto il cellulare. Leggo un messaggio della collega: «Tre minuti e arrivo». Intanto la ragazza invita il ragazzo: «Senti, tocca qui» scoprendosi la pancia, già considerevolmente nuda (praticamente si alza la maglietta fin sotto i seni), colpendosela in zona ombelico (provvisto di piercing) con un dito del ragazzo: «Senti che addominali». Lui sorride, con un velo d'imbarazzo e le dice qualcosa sottovoce, che non riesco a sentire (non ch'io faccia sforzi per ascoltare). Lei, invece, parla con voce piuttosto alta e proprio non si cura di chi ha intorno (me). E dice al ragazzo che stasera, a fine turno, torna di nuovo in palestra e che presto avrà gli addominali di marmo; inoltre, dice che alle nove ha fissato in una pizzeria per andare a cena fuori. Poi gli giunge le mani al collo, gli china la testa (lei è carina, ma bassina) e lo bacia. Io mi giro definitivamente dall'altra parte e riconsulto il cellulare. Un minuto dopo, il giovane mi passa accanto e riguadagna la guida di un furgone blu. La commessa, intanto, ha acceso una sigaretta e cammina lenta guardandosi le unghie: forse la sigaretta è la giustificazione migliore da dare alla titolare per la pausa. Finalmente, la collega arriva, si avvicina e, mentre la commessa spegne la sigaretta in un portacenere posizionato sopra un cestino di rifiuti, mi scopro l'ombelico e le dico: «Ciao cara, dài, tocca qui». E lei, ridendo: «Ma vaffanculo, va’».
3 commenti:
Tempo fa ho incrociato in rete su l'altra piattaforma un blogger che scriveva come te, toscano anche lui. Sintassi svelta, ficcante, apparentemente superficiale, surreale in alcuni casi (non in questo), anche Pieraccioni scrive così. Deve essere una questione geografica, non mi dispiace.
Mi fa piacere. Ciò nondimeno, mi piacerebbe "ficcare" di più.
"La spigola, quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come una fortezza volante quando la vedevi arrivare ancora silenziosa nel cerchio tranquillo del mattino. L’occhio fisso, di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera cinese – è vicina, vicinissima, a tiro – La Grande Occasione. L’aletta dell’arpione fa da mirino sulla linea smagliante del fucile, lo sguardo segue un punto tra le branchie e le pinne dorsali. Sta per tirare – sarà più di dieci chili, attento non si può sbagliare! – e la Cosa Temuta si ripete: una pigrizia maledetta che costringe il corpo a disobbedire, la vita che nel momento decisivo ti abbandona. Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile. La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla, e scompare in una zona d’ombra, nel buio degli scogli."
Raffaele Lacapria, Ferito a morte.
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