Repetita iuvant: quanto di seguito è un semi riscrittura de L'arte di correre di Murakami Haruki.
8. Nessuno mi chiede a cosa penso mentre corro. Le persone che non mi fanno questa domanda di solito se ne fregano se corro, quanto corro e dove corro. Comunque, ogni volta che non me lo chiedono, vi rifletto da solo profondamente. Già: a cosa penso mentre corro? Boh. Se devo essere sincero, non me lo ricordo nemmeno a cosa penso quando corro. Non è vero. Me lo ricordo. Penso: sto correndo, adesso avanzo senza fatica. Adesso avanzo con fatica. Adesso aumento il passo. Adesso rallento il passo. Adesso: se trombassi di più, correrei meno (come diceva Madonna a Bruce Springsteen? Lui è born to run io invece sono born to fuck. Io non sono Madonna, ma non sono nemmeno Bruce Springsteen). Poi, verso la fine, penso: quanto manca alla fine?
Nei giorni freddi, in una certa misura penso: certo ch'è freddo. Nei giorni caldi penso: certo ch'è caldo (pensare al meteo è una costante dei corridori, in particolare dei corridori scrittori). Quando sono triste penso a Firenze lo sai, non è servito a cambiarla, la cosa che ho amato di più è stata l'aria. Quando sono felice penso a Rudy Marra, apro le finestre al cielo, guardo su nell'universo. In una certa misura. Quale misura? Come ho già scritto (ho già scritto?) mi succede anche di tornare con la mente a corsa ad avvenimenti passati, così, alla cazzo di cane. A volte, anzi no: quasi mai, mi vengono in mente delle idee per i libri che non scriverò. «Tuttavia, posso affermare che non ho pensieri molto coerenti». Infatti.
Quando corro, corro. Così come quando cammino, cammino. Anche quando sto fermo, sto semplicemente fermo. E così via. In teoria nel vuoto, scrive Murakami. In pratica nel pieno, scrive Massaro (ho le palle piene di leggere questo libro e sono al primo capitolo). «In quella sospensione spazio-temporale, pensieri ogni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio cervello. È naturale, perché nell'animo umano non può esistere il vuoto assoluto. Il nostro spirito non è abbastanza forte per concepire il nulla, e inoltre non è coerente». E scrive libri, Murakami. E scrive post, Massaro. Insomma, i pensieri che si avvicendano nella mente di Murakami mentre corre sono semplicemente dei derivati del nulla, mentre quelli che rimbalzano nella mente di Massaro mentre corre sono meno semplicemente derivati delle palle piene. Gli uni si formano intorno al nulla; gli altri intorno sennò mi viene l'orchite.
Ecco il lirismo di Murakami:
«Somigliano alle nuvole che vagano nel cielo. Nuvole di grandezza e forma diverse che arrivano, e se ne vanno, semplici ospiti di passaggio. Ciò che resta è soltanto il cielo, che è sempre lo stesso. Che è qualcosa che esiste, e al tempo stesso non esiste. Che ha una sostanza e al tempo stesso non ne ha. Noi non possiamo fare altro che constatare la situazione - l'esistenza di quell'immenso contenitore - e accettarla».
Ecco il lirismo del Massaro:
«Ma vaffanculo, Murakami. I pensieri non somigliano alle nuvole, non sono ospiti, ma un flusso di informazioni prodotte dal cervello dopo che, a sua volta, ha assorbito informazioni prodotte da altri cervelli e dal mondo esterno in generale, rielaborati anche e soprattutto sulla base della condizione storica, sociale e psicofisica dell'individuo che li alberga. Dunque, il cielo non c'entra un cazzo, e poi che un meteoropatico dica che il cielo sia sempre lo stesso è un controsenso. E il resto sono puttanate metafisiche: arivaffanculo».
2 commenti:
oh, perdona l'invadenza, ma: l'hai comprato proprio, 'sto libro?
No, l'ho preso in prestito in biblioteca, ma ad agosto sono andati in ferie e me l'hanno prorogato sino a fine mese. Ancora un po' di uggia e poi, via.
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