sabato 8 agosto 2020

Sentieri (correre 6)

Lunedì 3 agosto.

Mi fanno male i piedi. E lo sento stasera, non ieri sera. Indolenzimenti a effetto ritardato. Sarà perché ieri mattina (domenica) ho corso su un sentiero di montagna, molto bello e, in certi tratti, assai sassoso. È il Sentiero dei Tedeschi, circa dieci km a/r in curva di livello, tra i 1100 e i mille metri d'altitudine, immerso nei boschi del Parco Nazional. È la mia terza corsa trail (si fa per dire) e, se correre mi piace, correre tra boschi e strade di montagna mi piace ancor di più, particolarmente in questo periodo estivo. Ho iniziato il giro verso le nove, non c'era nessuno. Al via strada piuttosto larga; dopo due chilometri sentiero puro, molto stretto anche se ben tracciato (ogni tanto interrotto da qualche ruscello). In due non ci si scambia se non scansandosi a valle o a monte. Così faccio, al passare di un gruppo di ciclisti in mtb. Così fanno, due camminatori, vedendo me arrivare a passo di corsa. La diplomazia tra camminanti e corridori. Quando non si conosce una strada, non ci si rende conto bene quando finisca cosicché, al prossimo incontro, decido di chiedere. È una donna, con un collie al guinzaglio. «Scusi, quanto manca al termine?». E lei: «Two kilometres to the end». Bene, fin lì (percorrenza e inglese) ci arrivo. E ci arrivo. Solo che, al termine dell'andata, anziché ripercorrere il medesimo sentiero, ne prendo un altro che indica l'Anello della linea Gotica. Cazzo, questo sale, ammazza se sale.
Con tale pettata mi è impossibile correre. O anche: corro dieci passi e mi fermo cento secondi per respirare. Allora cammino finché non spiana, rincuorato dal fatto che, dipoi, per ricongiungermi al sentiero precedente, visto quanto ho salito, dovrò scendere. Dopo poco, arrivo a un bivio al quale mi fermo per leggere che cosa indicano i cartelli del Cai. Riecco la donna con il collie, sorridente. Mi fa i complimenti per l'impresa di essere lì (almeno credo: ho l'arabo nullo, ho scarso l'inglese come scrive Fortini in una sua Canzonetta del Golfo). Risorrido, e chiedo se anche lei andava di corsa. «No, today I'm walking, but often run too». Mi dice che posso parlarle in italiano, lo sta studiando, anche se mi risponderà in inglese («But my english is very bad», le annuncio, sì che possa essere comprensiva se rispondessi fischi per fiaschi). Ma cii si intende, insomma. Cinque minuti di conversazione (ne approfitto per recuperare) dalla quale apprendo che lei è Rachel, australiana (un'australiana nel mezzo di un bosco toscano, apperò), sposata (il marito inglese è un professionista del trail), con prole, e che abita al momento nei dintorni, svolgendo quest'attività qua

La saluto e riprendo il cammino.

La discesa di ricongiunzione è assai impervia e con ciottoli grossi e appuntiti. Reimmesso nel Sentiero dei tedeschi, trovo una comitiva in mtb: pedalano lenti, più del mio passo e dunque li supero e arrivo, di buona lena, alla fine. 


Mercoledì 5 agosto, pomeriggio.

Ciclopedonale. Quattordici chilometri, mio record di percorrenza. 

Venerdì 7 agosto.

Sentiero 80. Da Ponte alla Fabbrica, lungo un torrente chiamato Gorgone, sino al Passo della Calla. 6+6. km (a/r). Dislivello notevole: dai poco più di seicento metri alla partenza, sino a quasi milletrecento in cima al passo. Percorso interamente all'ombra, fresco, pista sassosa, a tratti umida, compreso l'attraversamento (facile) del corso d'acqua. È un bel correre qui, anche se io non disdegno qualche sprazzo di sole. Quando sono tornato a dove avevo lasciato la macchina, mi sono messo a guardare la briglia del Gorgone d'epoca fascista (credo) sotto la quale una splendida pozza d'acqua fredda, sebbene accaldato, non mi invitava certo a fare il bagno (a senso, la temperatura esterna sarà stata poco sopra i venti e quella dell'acqua forse poco sopra i dieci gradi). Mentre mi cambiavo le scarpe un po' infangate, ecco che arriva una macchina che gratta sotto a causa dello scalino tra l'asfalto della statale e il parcheggio del posto. Scende un signore che indica alla moglie (che è alla guida) di proseguire, oramai la grattata è fatta. Conosco entrambi i signori, ci salutiamo. La signora (sebbene sui sessanta, è ancora una bella donna) dice che, siccome le fa caldo, tanto caldo, è venuta a fare un bagno nella pozza suddetta. M'invita anche a seguirli, ma il marito - sebbene sorrida - non dice niente, sta zitto e per me chi tace sta zitto e basta. 
Ma dove ho lasciato Murakami? Affacciato sul fiume Charles, a Cambridge, Massachusetts. Sono passati dieci anni - scrive - dall'ultima volta «ed è il caso di dire che di acqua sotto i ponti ne era passata tanta. Soltanto il fiume non era cambiato. La sua corrente impetuosa avanzava verso la baia di Boston [...] come un'idea che non conosce esitazioni dopo aver superato tante verifiche, se ne andava in silenzio verso il mare, senza fretta, senza mai riposarsi». Tralasciando tali patetiche forme di lirismo, secondo voi i fiumi con la corrente impetuosa avanzano in silenzio? Secondo me no. 

[un po' di foto sparse dei tre giorni]

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