«I ricordi d'amore non fanno eccezione rispetto alle leggi generali della memoria, a loro volta regolate dalle più generali leggi dell'abitudine. Poiché questa affievolisce tutto, quel che più ci ricorda una persona è proprio ciò che avevamo dimenticato (parendoci insignificante, gli abbiamo lasciato intatta la sua forza). Ecco perché la parte migliore della nostra memoria è fuori di noi, in un soffio piovoso, nell'odore di chiuso d'una stanza o nell'odore d'una prima fiammata, ovunque ritroviamo quanto di noi stessi la nostra intelligenza, incapace di servirsene, aveva disprezzato, l'estrema riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le nostre lacrime sembrano disseccate, sa farci piangere ancora. Fuori di noi? Per essere più precisi, dentro di noi, ma sottratta ai nostri stessi sguardi, immersa in un oblio più o meno prolungato. Solo grazie a questo oblio possiamo, di tanto in tanto, ritrovare l'essere che siamo stati, metterci di fronte alle cose nella stessa posizione in cui era quell'essere, soffrire di nuovo, perché non siamo più noi, ma lui, e lui amava quello che oggi ci è indifferente. Alla luce piena della memoria abituale, le immagini del passato vanno a poco a poco sbiadendo, dileguano, non ne resta più nulla, non le ritroveremo più. O, meglio, non le ritroveremmo più se qualche parola [...] non fosse rimasta accuratamente custodita nell'oblio, così come si deposita alla Bibliothèque Nationale un esemplare d'un libro che, altrimenti, rischierebbe di diventare introvabile».
Marcel Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, traduzione di Giovanni Raboni.
Nel cuore della notte - ma perché "cuore" e non "intestino"? - prendere Proust, a caso, trovare un brano siffatto, leggerlo mentre fuori imperversa (imperversa?) la bufera, è una rassicurazione contro l'inquietudine che impone d'alzarsi dal letto perché insonne. E il cuore (o l'intestino?) della notte si placa, riprende un ritmo regolare, le palpebre chiedono nuovamente di essere abbassate non prima di aver spento la luce e di essersi rannicchiati a pancia in giù.
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