Benedette parole, se foste coincise sareste lavorate al bulino e fissate, una volta per sempre, su lastre di rame o di zinco e non ballereste su lingue o pagine o schermi che sembrano fermarvi ed invece.
Impazienti di uscire di bocca o, mediante movimenti strani di dita, costrette dall'educazione a imparare le leggi grafiche mediante le quali apporvi su pagine di vario formato, consistenza e colore, voi ci usate come strumenti, non viceversa: voi ci fate dire cose e poi il contrario di quelle stesse cose che volevamo dire. Ci fate comunicare pensieri che non stanno né in cielo né in terra, ma a mezz'aria, come piccoli peti dispettosi - e silenziosi - che non sappiamo trattenere ma che poi sganciamo lo stesso, magari guardarci intorno per imputare ad altri, con uno sguardo, il maldetto (e il malfatto). «Chi le sente è un ripetente» e via a replicare sui social gli argomenti che sono sulla bocca (o sul culo) di tutti.
E allora, parole, traditemi; andate a letto con altri; queste pagine abbandonate perché più voglia non ho di fare l'amore con voi, di darvi il mio fiato per riprodurre opinioni che più non so dare, in quanto essere opinabile che del giudizio non sa che farsene, casomai disfarsene, come quella volta, dal dentista.
«Chissà se mi sono espresso», disse un barista, servendo un caffè.
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