Rileggo e trascrivo alcuni passi de Il processo [traduzione di Ervino Pocar] che fanno parecchia luce per le strade e le piazze buie d'Italia, d'Europa in molti casi, del mondo intero forse.
***
... riconosceva quasi all'estraneo un diritto di sorveglianza...»
«Lei non può uscire, è in arresto.»
«E perché mai?»
«Non abbiamo il compito di dirglielo. Vada nella sua stanza e aspetti. Il procedimento è ormai avviato e lei saprà tutto a suo tempo».
Che razza di gente era? Di che cosa parlavano? Che autorità rappresentavano? Eppure K. viveva in uno Stato legale, dappertutto regnava la pace, le leggi erano tutte in vigore, chi osava assalirlo in casa sua?
... nell'agitazione non riuscì a trovare subito proprio i documenti personali che cercava. Infine trovò la sua tessera di ciclista ed era già sul punto di tornare con essa dai custodi, ma il documento gli parve troppo meschino e continuò a cercare finché trovò l'atto di nascita.
«Possibile che non voglia adattarsi alla situazione e miri, a quanto sembra, a irritare inutilmente proprio noi che tra tutte le persone di questo mondo siamo forse i più vicini a lei! [...] Noi siamo impiegati in sottordine, ci intendiamo poco di documenti personali e nella sua faccenda non abbiamo altro da fare che sorvegliare lei dieci ore al giorno, e perciò siamo pagati. Ecco che cosa siamo, ma non per questo siamo incapaci di intendere che le alte autorità dalle quali dipendiamo, prima di ordinare un siffatto arresto si informano molto esattamente intorno alle ragioni dell'arresto e alla persona dell'arrestato. Errori non ne avvengono. Le nostre autorità, per quanto le conosco, e ne conosco soltanto i gradi più bassi, non cercano già la colpa nella popolazione ma, come dice la legge, sono attirate dalla colpa e devono mandare noi a fare i custodi. Questa è la legge. Come potrebbe darsi un errore?»
«Codesta legge non la conosco», obiettò K.
«Tanto peggio per lei», disse il custode.
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