mercoledì 13 aprile 2022

Un rêve Ardant

Per circostanze poco chiare, anzi: del tutto oscure, mi trovavo in auto con quello che avrebbe dovuto essere mio suocero (ma non era), per andare a un appuntamento che ci avevano dato certi loschi figuri per risolvere non so bene quale controversia o sgarro che colui che avrebbe dovuto essere mio suocero (ma non era) avrebbe fatto a loro. Dopo aver parcheggiato la macchina, accompagnati da un anziano signore dall'aria apparentemente mite, saliamo le scale di una palazzina situata in una periferia semibuia di qualche imprecisata città. Io ero un po' diffidente a entrare in quella casa, ciò nonostante sembrava non ci fosse altra scelta se non la fuga. 

Nell'appartamento, tuttavia, niente sembrava contribuire ad aggiungere, o a togliere, preoccupazione per l'intera faccenda. Una parziale rassicurazione me la dava la presenza di un ex compagno di studi delle medie, un ragazzo simpatico che di soprannome chiamavano tutti il Lupo.

Nella casa tutti siamo restati in piedi, tranne il Lupo, che si fumava una sigaretta appena rullata, tranquillo, con il gomito e il posacenere sul tavolo. L'anziano signore, sul quale un ghigno sinistro ha preso il posto dell'aria mite, ha iniziato a farneticare qualcosa di un mancato accordo o di un danno subito da riparare. Non so perché, ma ho temuto che egli, da un momento all'altro, potesse tirare fuori un'arma, non necessariamente da fuoco, piuttosto un coltello o non so. Mi sono quindi allontanato e mi sono avvicinato al Lupo che continuava a fumare, indifferente. Un po' troppo vicino, ahimè, giacché lui, facendo finta di porgermi la mano, mi ha punto sul dorso della mia con una puntina che teneva nascosta tra indice e medio della sua non impegnata dalla sigaretta; l'ho guardato dicendo «Cazzo fai?». Lui, con aria sconsolata, ha risposto: «Mi dispiace», e forse preso da un rimorso, mi ha dato un piccolo foglietto con le scritte minuscole, ripiegato come un bugiardino, che subito ho aperto per leggere: “Veleno di geco del Madagascar”.

«Cazzo è?».

«Se non trovi un antidoto, tra dodici ore, purtroppo, morirai».

«Che cosa mi hai fatto? Perché lo hai fatto?», niente: domande inutili.

Senza attendere alcuna risposta, sono scappato via, solo, senza badare a colui che credevo fosse mio suocero, ma non era; in breve, ho raggiunto il Pronto Soccorso ma non avendo effetti visibili altri dal panico, mi hanno assegnato un codice verde e di mettermi in attesa. Attesa di che? Porca puttana, ho un veleno in corpo, che cosa devo attendere? Mi sono ricordato, allora, che vicino a dove mi trovavo abitava un pranoterapeuta, che si riteneva avesse poteri particolari: la disperazione fa credere a tutto. Così, a passo svelto ma senza correre per non aumentare il battito cardiaco più del necessario, sono andato da questo “dottore”.

In pochi minuti ho raggiunto il quartiere dove credevo abitasse; e infatti l'ho trovato seduto in un terrazzo condominiale in compagnia di altre persone, un po' distaccato mentre leggeva un libro. Da sotto il terrazzo gli ho fatto dei cenni e lui, un po' contrariato, si è alzato e mi è venuto incontro, ma la voce, la voce: non riuscivo a parlare. Allora gli ho mostrato il biglietto e la mano punta che stava diventando viola. Si è allarmato, mi ha preso per un braccio e trascinato verso il suo studio per mezzo di uno strano ascensore che saliva lentamente i piani a spirale. Lo specchio interno rifletteva le nostre figure e, d'un tratto, la sua faccia è diventata quella di Fanny Ardant che ha spalancato un sorriso prima che chiudessi gli occhi e poi li riaprissi per capire che era un sogno.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

e va bene, avrebbe dovuto essere tuo suocero: ma alla fine l'hai sposata? Odio quando i sogni si concludono così in fretta


MB

PS
anche nei sogni non c'è più il Pronto Soccorso di una volta.. hai ragione e scusa la nota politica: neanche una grave pandemia può aiutare a ripristinare il Titolo V della Costituzione (sistema sanitario da nazionale a regionale, distrutto, governo di centrosinistra se non sbaglio era, guarda caso, 'tecnico'). Ma questo purtroppo per moltissimi non è un sogno: è un incubo.

Anonimo ha detto...

Odio tutti i gechi, da Antananarivo alla Novaja Zemlja, dalla Mauritania al Saskatchewan,se mi entra un geco in casa non ha bisogno di veleno, muoio per trombosi coronarica occludente. Per questo ho approntato tutte le difese del manuale di sopravvivenza.. Aglio, caffè, pepe, palline di naftalina. granelli di RettilOut, una coppia di Felis silvestris, un barbagianni e un gufo, un lanciafiamme autocostruito. due pistole Walther a aria compressa e una carabina a mirino laser. E d'estate dormo con un occhio solo.

Luca Massaro ha detto...

@ MB
Fanny sposata? Forse, un domenica se la risogno te lo dirò.

@ Anonimo
Poveri gechi, se potessi li condurrei tutti verso la mia dimora, tanto sono rettili amici che non sputano fuoco come quella testadicazzo che comanda.
(nondimeno grazie di aver esposto così superbamente le tue motivazioni)

Marino Voglio ha detto...

non ti si può lasciare da solo una settimana.

Luca Massaro ha detto...

Caro Marino, mi manca assai leggere le tue ricche spietatezze