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sabato 4 giugno 2022

Quando la casa brucia


Fuori dalla calma ogni momento

vacilla – il senso che si dava al tempo

è senza – il cammino se ne va sospeso

come se l’appartenenza non avesse peso.


E si fluisce lentamente tra i sassi

del giugno dai muschi assetati perché

la rugiada non basta a spegnere il fuoco

dei sogni della casa che brucia.


«Resta la lingua», dice il filosofo

che ci sprona a pronunciare il nome

delle cose per quello che sono:

sono tutti figli di puttana quelli là - quelli,


quelle facce a culo che comandano

questa casa che brucia.

martedì 5 aprile 2022

Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti

« Che cos'è la verità, di cui il testimone testimonia? Non il dato nella sua fattualità non linguistica, in sé oscuro e impenetrabile, né il nome che meramente lo significa, altrettanto in sé chiuso a ciò che nomina. Eppure è proprio a queste due incomunicanti astrazioni che si dirigono i discorsi e le opinioni degli uomini parlanti, ogni volta dimentichi di ciò che è in questione nel loro essere parlanti. I parlanti si dividono così in ideologi, che caparbiamente ricercano i fatti, considerando puramente accessorio e, come si dice, superstrutturale, il loro essere nel linguaggio e in comunicativi, per i quali la notizia - il medio - si è interamente sostituito alla cosa. »

Giorgio Agamben, Quando la casa brucia, Giometti & Antonello, Macerata 2020

Che cosa significano, che cosa testimoniano i morti per le strade dell'Ucraina? Reclamano vendetta? Chiedono che i loro carnefici - chiunque siano - muoiano a loro volta? Sono loro che parlano o sono i parlanti che s'impossessano delle loro voci? Inoltre: i morti hanno voce solo se sono tanti e ammucchiati? Se sono isolati, nascosti, sparpagliati non hanno voce, quindi non testimoniano, non significano niente? Nell'Europa che voleva - un tempo, ora forse non più - dichiarare le proprie radici cristiane, c'è ancora chi ha la capacità di comprendere la frase evangelica «lasciate che i morti seppelliscano i morti»? Perché tutti quelli che comandano o diffondono notizie tengono fisso lo sguardo sui morti e non si preoccupano mai, o poco o comunque in terz'ordine, di trovare una soluzione perché ci non ci siano più morti ammazzati ma che la gente continui a morire tranquilla di morte ‘naturale’ magari dopo gli ottanta? Oppure: considerato che la guerra è una tecnica politica che produce una grande quantità di morti, perché non escogitare altre forme di combattimento meno pericolose?

I morti... fanno tanto comodo ai vivi. In particolare quando ancora non sono seppelliti o, al massimo, quando, in fila indiana, dentro carri funebri militari, nella notte ma con le telecamere che li riprendono, stanno per essere condotti al cimitero. Neanche più all'obitorio, ché non si avesse a scoprire di cosa e come sono morti, i morti. Tanto ci sono i vivi che lo raccontano e che li contano, i morti,  bollettini su bollettini, fingendo pietà.

sabato 17 luglio 2021

Un'incredibile tendenza alla farsa

 « Proprio questa incredibile tendenza della situazione-limite a rovesciarsi in abitudine è quanto tutti i testimoni, anche quelli sottoposti alle condizioni più estreme (i membri del Sonderkommando, ad esempio) concordemente ci attestano ( “A fare questo lavoro, o si impazzisce il primo giorno, oppure ci si abitua”). I nazisti avevano compreso così bene questo potere segreto insito in ogni situazione estrema, che essi non revocarono mai lo stato di eccezione che avevano dichiarato nel febbraio del 1933 ["o nel marzo 2020? non ricordo" ndb], all'indomani della presa del potere, così che il Terzo Reich ha potuto essere a ragione definito “una notte di S. Bartolomeo durata dodici anni”. »

Giorgio Agamben, Auschwitz, in Homo sacer, Quodlibet, Macerata 2018 (II edizione del 2021), pag. 794-5


La farsa democratica dello Stato di Eccezione (Stato d'Emergenza) continua a essere rappresentata. Pochi coloro che si rifiutano di esserne parte, di partecipare come pubblico plaudente. Dal Loggione, rarissimi i fischi. Fuori del teatro, le forze dell'ordine vigilano e zittiscono subito anche chi si limita a dire vergogna, vergognatevi [pezzi di merda, lo aggiungo io]. La salute prima di tutto. La salute del popolo prima ancora di tutto. E per vincere definitivamente la paura di morire, l'unica soluzione è smettere di vivere. E chissà se anche per entrare ai cimiteri - questi luoghi purtroppo poco visitati se non durante le feste dei santi e dei morti, forse perché, nell'ordinato silenzio tombale, anziché i numeri, i dati, le statistiche, siamo costretti a leggere i nomi - ci vorrà il green pass.

venerdì 18 giugno 2021

La cosa peggiore

Spero di continuare a essere di libero di fare «la cosa peggiore». Ovvero, mi auguro che fare la cosa migliore non sia imposto per legge (come alcuni autorevoli pdm sul corsera caldeggiano). 

Dal marzo 2020, da quando cioè è entrato in vigore lo Stato d'Emergenza, la sequela dei provvedimenti governativi in favore della salute del popolo sono stati, allo stesso tempo, un atto di prevaricazione continuo e costante nei confronti dei vari uno del popolo. Anche di coloro che mettevano il tricolore alla finestra e cantavano l'inno di Mameli quando l'altoparlante della macchina dei carabinieri suonava.

Senz'altro starò esagerando (lo spero), ma continuando di questo passo, temo che nel piccolo spazio di noi cittadini viventi e coscienti, accadrà quello che accadde al corpo vivente e incosciente di Eluana Englaro. E ciò che più mi preoccupa è che chi per la propria indole soffre di tutto quello che il potere (spalleggiato dai media e da un'opinione pubblica plasmata similmente a quella che in piazza Venezia osannava «l'ora delle decisioni irrevocabili») impone, si senta smarrito di non avere al proprio fianco un padre, un amico, dieci sodali, un cazzo di partito, anche radicale, che aiuti a resistere contro l'attuale martellante campagna militare-sanitaria di imposizione del protocollo vaccino a, b, c, d, eterologa, fottetevi.

Ma forse sono troppo pessimista, qualche Bartleby come Gianni Rivera, o centravanti come Santoro alla televisione ogni tanto c'è (mi dicono). E poi Giorgio Agamben, anche se ho poca speranza che Speranza lo legga e ci rifletta su:
«In questione non è tanto la salute, quanto piuttosto una vita né sana né malata, che, come tale, in quanto potenzialmente patogena, può essere privata delle sue libertà e assoggettata a divieti e controlli di ogni specie. Tutti gli uomini sono, in questo senso, virtualmente dei malati asintomatici. La sola identità di questa vita fluttuante fra la malattia e la salute è di essere il destinatario del tampone e del vaccino, che, come il battesimo di una nuova religione, definiscono la figura rovesciata di quella che un tempo si chiamava cittadinanza. Battesimo non più indelebile, ma necessariamente provvisorio e rinnovabile, perché il neo-cittadino, che dovrà sempre esibirne il certificato, non ha più diritti inalienabili e indecidibili, ma solo obblighi che devono esser incessantemente decisi e aggiornati.»





venerdì 29 maggio 2020

L'imperfetto equivalente

Scrive Giorgio Agamben:
I professori che accettano – come stanno facendo in massa – di sottoporsi alla nuova dittatura telematica e di tenere i loro corsi solamente on line sono il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista. Come avvenne  allora, è probabile che solo quindici su mille si rifiuteranno, ma certamente i loro nomi saranno ricordati accanto a quelli dei quindici docenti che non giurarono.
Forse «perfetto» no, ma qualcosa di «equivalente» le dittature - quale che sia la loro natura - lo hanno sempre. In un caso come questo, ai professori che accettano di somministrare lezioni online, non è richiesto di giurare alcunché, solo di procedere. Ora, da qui al considerare il rispetto della procedura un'equivalente adesione alla dittatura telematica, ce ne corre, anche perché - con tutti i limiti, le imperfezioni, le noie di vario genere - i contenuti delle videolezioni non sono sottoposti a censura preventiva. Esempio: Agamben potrebbe mettere in guardia sulla biosicurezza tutti gli studenti che parteciperanno ai suoi corsi filosofici online, docente e discenti comodamente seduti, nascondendo la loro nuda vita dalla testa in giù.

lunedì 20 aprile 2020

In bocca al lupo

La crescente ansia delle limitazioni della libertà non si esaurisce; per ora, sebbene un po' attenuata dal callo veloce delle abitudini, resta stabile, con tendenza al rialzo, soprattutto quando qualcuno avvisa che la Fesa 2 (di tacchino) non sarà una sagra della primavera, no. Piuttosto, in una fase ancora in cui la sovranità appartiene ai virologi, soprattutto a quelli che hanno più audience in tv, sarà una fase in cui l'esercizio del potere probabilmente sperimenterà nuove e maggiormente esecrabili forme di controllo che saranno introdotte per stato di necessità, mediante il tramite di decreti governativi d'urgenza.

Io non mi fido, e peno. Si sono spinti troppo avanti e sono arrivati a un punto in cui, come i demoni di Gerasa, è più facile il precipizio anziché la marcia indietro. Ma il problema è che non saranno i demoni a buttarsi di sotto, a cominciare da tutti coloro che hanno trasformato una emergenza in una tragedia, a tutti coloro che hanno diffuso e diffondono quotidiani bollettini di guerra e che spargono panico piuttosto che concio, per sfamare il popolo con verità scientifiche indiscutibili.

Se poi esagero e, a fine maggio, potremo liberamente déjeuner sur l'herbe, tanto meglio: verrò qui a dire mea culpa, mea culpa, eccetera. Ma per il momento faccio parte di una minoranza di preoccupati per qualcosa che la maggioranza non percepisce (e quindi non teme). E non sono neanche tanto le app di mappature e controllo che mi allarmano, quanto che, nei più, è già stato inoculato via etere o via social, il virus del controllo, del poliziotto dentro, del «guarda quello lì senza mascherina, come si permette?», del «e chi sarebbe quello che è venuto in paese oggi, da dove viene, dove andrà?», del «lei non rispetta la distanza sociale: guardi chiamo la volante», del «chi sono quei due che respirano qui?».

Sarà dura riguadagnare un minimo di decenza e di urbanità. Sarà difficile almeno finché non saremo liberi di starnutire con qualcuno accanto che ti dice “salute!” e non crepa.