domenica 28 gennaio 2018

Il giorno dopo la memoria

«Che notte, che notte quella notte. Se ci penso mi sento le ossa rotte». Tuttora le sento, aggredito dalla ferocia di un raffreddore bastardo che ha trasformato le fasi del sonno in un'unica ripresa senza pause e senza arbitro che dichiarasse il KO.
Mentre ero al tappeto, immagini confuse si proponevano alla mia attenzione, come le vecchie diapositive di una volta, viste in una stanza al buio illuminata soltanto dal fascio di luce polverosa del proiettore. Da queste immagini in sequenza, è comparso improvvisamente un pettine, nero, a denti stretti, pieni di forfora. E, dietro questo pettine, un uomo antico, vestito di nero, alto e magro come Fassino, ma con il volto incredibilmente simile a quello di Louis-Ferdinand Céline.

«Tieni, datti una pettinata prima che scatti», mi ha ordinato con gentilezza, mentre ero seduto su uno sgabello metallico girevole, con il cuscino rivestito in pelle nera, rotto su un lato e dal quale fuoriusciva gommapiuma che stavo attento a non toccare perché mi avrebbe fatto accapponare la pelle.
Pettinare. Fuori del negozio, mio padre fumava e parlava con qualcuno. Io guardavo quel pettine e pensavo su quante teste del paese era passato. Sono sempre stato schizzinoso. L'uomo antico - un reduce da un campo di lavoro nazista, come mio padre, con l'aggravante di essere ebreo - ha abbassato un attimo la testa sui meccanismi del suo apparecchio, anch'esso antico, piazzato su un treppiede e io, in quello stesso istante, mi sono girato e sono uscito a razzo dal negozio a prendere la mano di mio padre.

«Vieni, che fai», mi sono sentito richiamare da dentro. E mio padre, salutato l'amico, spento la cicca in terra, mi ha riportato dentro il negozio e rimesso sullo sgabello dicendomi «Su, non fare storie: è solo uno scatto». L'uomo antico, il fotografo, ha sorriso coi suoi denti larghi e dato il pettine a mio padre, che, presolo, lo ha guardato, mi ha guardato, ha capito, mi ha infine sistemato i capelli con mani che sapevano di fumo e «Guarda davanti la macchina, fermo, uno, due e...», clic.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

L'hai inventato tu? Ma hai una bella fantasia eh? hai provato a fare lo scrittore?
Oggi scrivono tutti, molti non sono scrittori. E' per questo che nel settore c'è un tale affollamento, forse questa ragione disarma chi invece sa scrivere. Ma io penso che se non c'è una giusta chiave pubblicitaria si scrive solo per se stessi.
Cmq tu scrivi qui io e altri ti leggiamo volentieri.
Franco

Luca Massaro ha detto...

Grazie Franco. Scrivo qui, da una decina d'anni, uno scrittore adolescente, va bene così.