alla pioggia, così, mentre avanzo
di buon passo, si bagnano
solo i ricordi di quello che ero
e potevo e resta asciutto
il disincanto per ciò che sono
e non posso, non voglio più.
E tratteggio di lacrime il suolo
per restare attaccato al presente
e, come una chiocciola, rallento,
rintano e fingo di essere in pace.
La pioggia mi ha raggiunto:
ovunque mi volga, mi rigo la faccia
ovunque cammini, trovo una pozza
e mi sento come un biscotto
inzuppato nel caffellatte.
E ricordo un dente da latte
caduto nel caffellatte
mentre leggevo i prodigi
del Marchese di Carabas.
C'era una luce soffusa in cucina
di sole trattenuto da una tenda
in quella domenica di forse giugno:
dalla parte opposta del tavolo
la spianatoia, un grembiule fiorito,
un sorriso e il palmo che raccolse
quel dente e lo tenne sempre con sé.
Era più facile correre e sudare
essere Cruijff o Rensenbrink.
E poteva anche piovere.
E si poteva anche piangere.
Erano tempi in cui essere liquidi
significava essere scorrevoli.
È adesso che si rimpozza,
come una palude.
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