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a Formamentis, a mezz'asta
«Noi proviamo continuamente a sgusciar via da noi stessi, ma questo tentativo fallisce regolarmente, e in questo tentativo seguitiamo a incaponirci perché non vogliamo ammettere che a noi stessi non scamperemo mai se non con la morte».
Thomas Bernhard, Il soccombente, Adelphi, Milano 1985 (pag. 101, traduzione di Renata Colorni).
Io, invece, sono un artista dello sgusciamento. Lo confesso impunemente: io riesco a scamparmi, sarà la mia consustanziale leggerezza, il mio disincanto, il mio distacco, il mio riuscire quasi sempre a tenere un piede sospeso prima di immergerli tutti e due dentro le delusioni della vita. Sono, per questo, anche per fortuna genetica, poco propenso alla depressione; certo, a volte ho le palle sgonfie, come dice un mio amico prete che ho visto stamani benedire la bara di una cara parente al momento della tumulazione.
Già, ogni volta che la vita ci impone di guardare la morte, di vederla scendere dentro la tomba, ti rendi conto, guardando gli astanti, che prima o poi a tutti toccherà la stessa sorte ed inutile insistere, indietro non si torna, questa è la vita, è la morte, è la perenne constatazione che la coscienza, o tiene conto ogni tanto di queste cose, o è una coscienza zoppa, che fallisce la sua datità.
Io sono nato per sapere che devo morire e, in questo spazio tempo in cui m'è dato vivere cosciente, devo catturare più vissuti possibile per scrivermeli addosso, per ricordarli come una storia, la mia, che è quella ed è unica, così come lo è per tutti.
Non credo, forse a torto, che questa sia una specie di esaltazione dell'ego. L'ego esaltato salta addosso agli altri io come un parassita o un cannibale per nutrirsene - e io qui, invece, intendo un io che racconta se stesso tenendo conto del racconto degli altri io.
Ma tutti questi vissuti a chi interessano? Tutti questi racconti, poi, a che servono?
Servono a qualcosa le stelle? A formare costellazioni a cui noi abbiamo dato un nome perché assomigliano a qualcosa invece che a niente.
Credo nell'addizione: io + io = noi. E gli io, in quanto addendi, possono essere innumerevoli.
4 commenti:
ho letto or ora qualche tuo post. Hai un nonsocché di gesuitico. Come un'eco di un tempo lontano. Non sono poi tanto cattivi, alcuni di loro. Anzi.
Gentile Anonimo/a, mi fa piacere aver provocato queste tue impressioni che volentieri accolgo, anche se quella del "gesuitico" me la devi, per favore, spiegare.
Ho frequentato per diversi anni ambienti gesuiti. Ne ho sempre apprezzato la lucidità di ragionamento e la precisione concreta delle parole, che si affidano al significato quanto più gli è possibile per rendere un pensiero.
Nel tuo post ritrovo lo stesso procedere logico, razionale, anche nell'esplorare _con successo_ quello che per certi versi è inspiegabile: "Servono a qualcosa le stelle?".
Acume, logica diamantina, sforzo di comunicazione. Ecco tutto.
Grazie, le tue parole sono per me un premio inaspettato.
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