«Quindi
non sono rinsavito. Non rinsavirò mai, è questo che mi tormenta. E
se per di più apro il pacco davanti a testimoni, come ora sto
facendo, se spacchetto queste frasi rozze e brutali, e molto spesso
addirittura sentimentali e banali, con una noncuranza che com'è
ovvio è maggiore di quella che uso per qualsiasi altra frase, ciò
significa che non ho pudore, che non ho un briciolo di pudore. Se
avessi anche soltanto un briciolo di pudore, non potrei scrivere
affatto, scrive soltanto chi è spudorato, solo chi è spudorato è
in grado di impacchettare le frasi e di spacchettarle e di scriverle
di getto, l'autenticità appartiene soltanto a chi è massimamente
spudorato.»
Thomas Bernhard, Il
freddo, Adelphi, Milano 1991,
traduzione Anna Ruchat (pag. 53).
Ci
pensava anche Lucas, prima, davanti allo specchio mentre si faceva la
barba e poi mentre faceva le sua solita scarsa serie di flessioni
alla Michelle Obama (arriva anche lui a 25, ma poi le moltiplica per
quattro, riprendendo fiato). Lucas pensava a quanto anch'egli si
senta spudorato,
perché quello che pensa subito lo impacchetta per vederlo scritto, e
lo pubblica – considerata la facilità oggi di pubblicare –,
giacché se fosse solo per affidare quanto scrive alle pagine di un
quaderno non scriverebbe; almeno: non scriverebbe più, lo ha già
fatto, non è servito a niente se non a vedere la sua grafia
trasformarsi nel tempo e assumere quella degli psicolabili che
scrivono a onda, su e giù senza capirci un cazzo poi di quello che
c'è scritto, onde cerebrali di un auto-encefalogramma tipico dei
viaggiatori da tavolino. Non c'è niente da fare: Lucas cerca un
pubblico, poco o tanto, uno o cento, anche solo me
che sono suo complice. Vedersi qui pubblicato nello
stesso istante in cui ritiene di avere detto tutto di quella cosa lì.
Non potrebbe, Lucas, scrivere nell'attesa di essere pubblicato da
altri. Di ogni parola sente l'urgenza – e qui sta la sua
spudoratezza. Egli impacchetta frasi scritte di getto affinché
qualcuno le spacchetti e verifichi se sono autentiche frasi che lo
rappresentano. C'è sempre questo io
noioso di mezzo che necessità di autostima, di vanagloria, di un
certificato di esistenza. Lucas va spesso all'anagrafe, infatti, per
richiedere certificati di nascita che attestino che quello
che vive è proprio lui e non un
altro, nato quel giorno di quel mese di un certo anno. Dentro un
cassetto egli colleziona lo stesso numero di certificati di quanti
sono i suoi anni. Siccome ha iniziato tardi la collezione, la
signora dell'anagrafe – non comprendendo tutta quella serie di
richiesta di certificati in un così breve periodo di tempo – tutte
le volte che lo vede si mette a ridere dalla disperazione. Gentile,
ha avuto un bel daffare nello spiegargli che con le
autocertificazioni tutti questi fogli non
servono. Ma lui non si fida di se stesso, vuole carta bollata e un
timbro sul foglio. Lucas teme le autocertificazioni: potrebbe, con
esse, essere tentato di assumere un'altra identità, inventarsi un
nome o, addirittura, copiare l'identità di un altro che non ha mai
avuto problemi esistenziali, che si alza al mattino e pensa a quale
sia il modo migliore per fregare gli altri. Lucas invece no. Lucas al
mattino si alza e pensa a quale sia il modo migliore per liberarsi
del pudore. «Scrivere», risponde.
7 commenti:
Mi son fatto +1 da solo per sbaglio, quasi peggio dei candidati che alle elezioni votano se stessi.
Il +2 è mio.
Se Anonymous dovesse bucargli la porta d'accesso, Lucas avrebbe forse una crisi d'identità (giusto il tempo di aggrapparsi alla Carta d').
Buona giornata moltiplicata per quattro ;)
(non do il +1 che non sarei credibile... qua a Milano stiamo sottozero)
bello
solo un appunto: ecco perché la brurocrazia non funziona
Con questo pezzo sei entrato meritoriamente nella mia personale classifica del "post migliore dell'anno", e ne stai occupando brillantemente il vertice. Per ora.
Grazie a tutti voi, di cuore.
@ K.
Convengo che Google dovrebbe mettere l'opzione -1
@ Melusina
È febbraio, l'anno è al suo esordio; confido in un buon piazzamento ;-)
Il post è bello per davvero. Anch'io non sono più capace di scrivere solo per me stesso: è la droga dei blog e dei social network. Eppure mi piacerebbe talvolta uscire da questa spirale, scrivere qualcosa e metterlo in un cassetto.
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