Matteo Renzi ha dianzi dichiarato:
«Invidio chi passa il tempo a organizzare gli scioperi, a inventarsi motivi per scioperare, non parlo dei lavoratori ma dei sindacalisti, ci sono stati più scioperi in queste settimane che contro gli altri governi. Io non mi occupo di organizzare scioperi ma di creare lavoro».
Lascio ad altri il discorso sugli “scioperi”, osservo solo ch'egli dice di occuparsi «di creare lavoro».
Ho sempre pensato che per un cattolico praticante (per un credente tout court) usare il verbo creare equivalga pressappoco a bestemmiare, essendocene - per loro - solo uno di Creatore; ma quel che penso io non vale, concentriamoci su che cosa qui vuole essere creato, vale a dire: il lavoro.
Il lavoro è qualcosa che può essere creato oppure è il lavoro l'unica attività umana che permette di creare qualcosa? E ammesso e non concesso che il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana lavori, può il suo lavoro veramente creare lavoro?
A meno che, con un decreto legge, assuma personale nel pubblico impiego a bizzeffe, senza aggravare ulteriormente la spesa pubblica (cosa che lo assomiglierebbe davvero a un demiurgo), il capo del governo non ha il potere di creare lavoro.
I suoi poteri sono limitati al favorire, attraverso degli opportuni interventi legislativi, le condizioni che rendano appetibile per gli imprenditori l'acquisto di forza lavoro.
Già, perché il lavoro non si crea, si acquista. Checché ne dica Renzi e con lui tutti i corifei che cantano le lodi del bravo imprenditore creatore di posti di lavoro, il lavoro non è una cosa creata ma comprata: esso è una merce particolare, forza lavoro che è messa in vendita dal lavoratore per necessità (leggi: per sopravvivere) quale che sia la sua mansione. La forza lavoro è la merce magica che è alla base del sistema economico e produttivo capitalistico.
Chi compra forza lavoro, la compra per produrre valore di scambio (vale a dire merce che sarà commercializzata nella speranza di trovare il suo realizzo). Ma non è solo questo che la forza lavoro produce, perché se fosse solo questo, l'acquirente, ovverosia il capitalista, seppur geniale ideatore di merci allettanti, alla lunga si ritroverebbe con le pive nel sacco di una mancata accumulazione, una sorta di stallo per intenderci. Il punto è che chi produce merce destinata al valore di scambio cerca sempre di ottenere un sovrappiù rispetto al capitale investito per la produzione (capitale costante + capitale variabile); e l'unica cosa che rende possibile il plusvalore è il pluslavoro estratto a gratis dalla forza lavoro.
Ma torniamo alla “creazione di lavoro” di Renzi. Che cosa egli crea o vorrebbe creare, in realtà? Nient'altro che le condizioni per cui la forza lavoro acquistata, tramite le nuove regolamentazioni del mercato del lavoro definite nel cosiddetto Job Act, faccia ottenere al capitale più pluslavoro di quanto essa già adesso produce; il lavoratore, cioè, sarà costretto a offrire una maggiore eccedenza del suo lavoro in rapporto a quello che sarà il suo salario. Salario che sarà (che è) a malapena sufficiente per riprodurre la forza lavoro che dovrà (che deve) necessariamente vendere per sopravvivere. Il busillis è: nel contesto di produzione e di scambio globale, quanto questo regalo ai compratori di forza lavoro li alletterà nel cercare qui in Italia il plusvalore che tanto facilmente adesso ottengono altrove?
Aspetta che telefono prima a Squinzi. E poi a Marchionne.
2 commenti:
Davanti ad articoli così magistralmente scritti sono sempre tentato di apprezzare in silenzio; e tuttavia mi resta poi il dubbio che l'autore non possa conoscere quanto qualcuno apprezzi i suoi pensieri, molto ben pensati direi, unitamente al modo ironicamente efficace con cui li scrive (quello successivo poi, "Chi va col prognato...", è da ribaltarsi sul divano, da tanto mi sono esaltato leggendolo!).
Così Luca, ogni tanto te lo devo dire: leggerti mi regala sempre bei momenti, fa bene alla mente. Grazie e non smettere, per piacere :-)
roberto
Troppo buono, Roberto.
Comunque grazie, grazie veramente. :-)
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