«Il senso prese la forma, lei si rifiutò e poi cedette. Ne nacque il pensiero, che aveva i lineamenti di tutti e due». Karl Kraus
Stasera non ho la forza di persuadere nessuno, quindi telefono, chiedo se sei libera e quanto vuoi, mi dici facciamo cento per una cosa tranquilla, ti ribatto che non sono tranquillo per niente, sono agitato, agitatissimo, non ti preoccupare tesoro, vieni, ne parliamo quando sei qui.
E la forma mi apre la porta, vestita - anzi no, svestita, con indosso la divisa d'ordinanza, come se a me i reggicalze e il tanga neri bastassero a far nascere pensieri sensati. Saldo il conto, ma per favore, rimettiti cortesemente il pigiama a righe orizzantali made in Bangladesh, più i pedalini di cotone fatti in Cina, così ti passa il freddo con tutto quell'Oriente addosso.
Guarda che non sono venuto per prenderti, consumare i pasti freddi dell'amore; non sono io il senso, magari lo fossi, lo sto cercando, pensavo di trovarlo qui tra le pieghe del tuo forzato sorriso, o tra altre pieghe meno sorridenti.
Per cosa sei venuto allora? Per perdere e farmi perdere tempo?
Per scrivere, perdita di tempo massima, per far uscire fuori il dentro e viceversa far entrare dentro il fuori. Ma non alla missionaria, no.
Facciamolo strano: sulla tastiera, per esempio.
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