Un signore sui trentasette vide una partita. Lei aveva perso il treno a causa di un ritardo, mancata coincidenza. I controllori di accesso ai binari le credettero e le dettero, cortesemente, una pillola del giorno dopo. Lei annuì, accomodandosi in prima classe, gentilmente offerta dalla ditta. E partì. Anzi: partirono.
Durante il viaggio, soffice e silenzioso, il signore sui trentasette aprì il suo laptop, lo appoggiò sul tavolino di marmo finto e si mise a digitare lettere, numeri e varia punteggiatura sulla tastiera. Lei si sporse. Fortunatamente i finestrini erano chiusi. Lei si piegò e vide di rinterzo una pagina bianca punteggiata di caratteri Georgia on my mind. Curiosa, gli sorrise. Benché ipovedente, lui se ne accorse dal rumore delle sue labbra consistenti e dallo sfrigolio dei canini che si districarono dalla contrizione.
«Che cosa sta scrivendo» gli chiese senza tanti riguardi. E infatti l'aveva guardato solo una volta.
«Un articolo di cronaca sportiva».
«Anch'io sono una sportiva, sa?».
«Non dubitavo», rispose lui, con tono sornione «ho visto da come si piegava».
Lei non diventò rossa perché non colse al volo la patente allusione.
«E che cosa racconta la cronaca?» riprese lei, dopo l'ingenua digressione personale.
«Di una partita».
«Di me che sono partita?.
«Non capisco, scusi: cosa c'entra lei?».
«Io sono partita»
«D'accordo, ma non sto parlando di lei nell'articolo».
«Dice così perché gli piaccio».
«No, guardi: sono omosessuale».
«Non significa nulla: anche gli omosessuali possono avere inclinazioni per l'altro sesso».
«È lei che si è piegata».
«Lei è un maleducato, scortese, leggermente stronzo».
«La ringrazio per il leggermente».
«La finisca».
E lui la finì. Si tacque e continuò a scrivere l'articolo senza manifestare alcun turbamento per la presenza di lei, la partita, verso chissà dove, per ritrovare chissà chi.
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