C'è un momento nella vita, ma anche due o più, una successione di momenti in cui, a poco a poco, mentire diventa un modo per sopravvivere. Prendiamo per esempio La verità vi prego sull'amore: se l'amore, per sorgere, pretende verità, viceversa, per sopravvivere e non tramontare, necessita finzione. Infatti, è sufficiente leggere le strofe della ballata di Auden per rendersene pienamente conto.
Tuttavia, nel tempo della vita che scorre, per evitare di raccontare menzogne in continuazione, il modo migliore è evitare di essere diretti, glissare, cambiare discorso, fare finta di aver bisogno del bagno, fingere una telefonata, distrarre l'interlocutore col fischiettio di una canzone popolare.
Questa, secondo me, è la tattica migliore per non essere qualificato come un politico qualunque che è riuscito a farsi eleggere e, ad ogni occasione televisiva o radiofonica o "socialmediatica", pretende affermare il verbo, magari credendoci, da uomo di Bonafè (l'avete eletta voi in Europa, ricordatevi).
Ma dicevo la vita. Volevo raccontare un episodio. Uno, non una serie ammorbante di quelle in onda su netfava o altri portali del vuoto a perdere. Il titolo fa il verso al titolo di due serie tv italiane, famose nel mondo, Gomorra e Suburra. La mia s'intitola Sborra. La sigla di apertura è un prestito dagli Eli, Figli della gleba per via degli ettolitri. La storia racconta di un quattordicenne a bordo di uno scooter Piaggio, un Sì non truccato, che insegue una coetanea bionda a bordo di un Malaguti truccato. L'inseguimento dura cento metri. Lui si ferma al bordo della carreggiata e, in preda alla disperazione adolescenziale causata dal rifiuto amoroso, gli occorre un insolito fenomeno di polluzione diurna - e cola sui tarassachi in fiore. Fine.
Se proprio desiderate un altro episodio, applaudite con una mano sola.
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