« Nella nostra epoca, ogni giorno può portare alla ribalta sistemi inauditi di coercizione, di schiavitù e di sterminio - diretti contro alcune categorie sociali o estesi a interi territori. La legalità è invece rappresentata dalla resistenza, in quanto essa rivendica i diritti fondamentali del cittadino, che sono garantiti, nella migliore delle ipotesi, dalla Costituzione, anche se spetta al singolo metterli in atto. Esistono metodi efficaci a questo scopo, e chiunque si trovi sotto tiro, dev'essere preparato ed esercitato a farne uso. Anzi, è proprio questa la principale materia di insegnamento della nuova educazione. È già importantissimo che chiunque sia minacciato si abitui a pensare che la resistenza comunque è possibile: solo in seguito, una infima minoranza che avrà fatta sua questa idea sarà in grado di abbattere il colosso, che è si poderoso, ma anche estremamente impacciato. In questa immagine, che ritorna di continuo, la Storia ha i suoi fondamenti mitici sui quali edifica costruzioni durature.
I despoti tendono naturalmente ad attribuire un significato criminale alla resistenza legale e anche al semplice non accoglimento delle loro pretese: nascono a tal fine settori ben precisi a cui viene dato l'incarico di organizzare la violenza e di propagandarla. Per lo stesso motivo il delinquente comune occupa, nella scala di valori del despota, una posizione più elevata di quella che spetta all'oppositore.
E tanto più importante, dunque, che il Ribelle si differenzi nettamente dal criminale per moralità, conduzione della lotta e rapporti sociali e che tale differenza sia viva anche nel suo foro interiore. Egli può trovare il diritto solamente in se stesso, giacché oggi non c'è docente di diritto civile né di diritto pubblico che possa offrirgli il necessario bagaglio teorico. Sarà più facile per noi imparare dai poeti e dai filosofi quale posizione è giusto difendere. »
Ernst Jünger, Trattato del ribelle, (1951), Adelphi, Milano 1990
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