“ Una sera ritornando dall’ufficio trovai con mio stupore Haller seduto sulla scala
fra il primo e il secondo piano. Si era seduto sull’ultimo gradino e si spostò per
lasciarmi passare. Gli domandai se si sentisse male e mi offrii di accompagnarlo
fin sopra.
Haller mi guardò e mi parve di averlo quasi destato da un sogno. Cominciò a
sorridere, di quel suo sorriso grazioso e doloroso che spesso mi ha stretto il
cuore, e m’invitò a sedermi accanto a lui. Lo ringraziai e dissi che non avevo
l’abitudine di mettermi a sedere sulle scale davanti agli appartamenti altrui.
«Già, già,» disse sorridendo ancora «ha ragione. Ma aspetti un momento,
devo pur farle vedere perché non ho potuto fare a meno di sedermi qui.»
E così dicendo indicava il pianerottolo del primo piano dove abitava una
vedova. Sul pianerottolo di legno fra la scala, la finestra e la porta d’entrata era
appoggiato alla parete un armadio di mogano con sopra vecchie stoviglie di
stagno, e per terra davanti all’armadio, su due sgabellini, c’erano due vasi con
un’azalea e un’araucaria. Erano piante molto belle e tenute sempre pulitissime,
tant’è vero che lo avevo notato anch’io con piacere.
«Ecco, vede,» continuò Haller «questo pianerottolo con l’araucaria ha un
odore delizioso, non riesco mai a passare senza fermarmi un momento. Anche
da sua zia regna il buon odore, c’è ordine e massima pulizia; ma questo posticino
con l’araucaria è così pulito, così spolverato e lavato e lustrato, così immacolato
che sembra luminoso. Non posso fare a meno di aspirare quest’aria a pieni
polmoni... Non lo sente anche lei? L’odore della cera e un lontano sentore di
trementina insieme con il mogano, con le piante lavate e tutto questo profumo
formano un superlativo di candore borghese, di precisione e accuratezza, di
fedeltà e dovere compiuto. Non so chi ci abiti, ma dietro questa porta ci
dev’essere un paradiso di pulizia e di borghesia spolverata, di ordine e di
meticolosa e commovente dedizione a piccole abitudini, a piccoli doveri.»
E poiché tacevo, soggiunse: «Non creda, per carità, che io faccia dell’ironia!
Caro signore, nessun pensiero è lontano da me quanto l’intenzione di deridere
quest’ordine borghese. Io sì, è vero, vivo in un altro mondo, non in questo, e
forse non sarei capace di resistere neppure un giorno in una casa con queste
araucarie. Ma pur essendo un vecchio e un po’ sordido lupo della steppa, sono
anch’io figlio di mamma, e anche mia madre era una buona borghese e coltivava
i fiori e badava alle stanze e alle scale, ai mobili e alle tendine, e si sforzava di dare
alla casa e alla vita la massima pulizia e accuratezza, il massimo ordine. Questo
mi rammenta il sentore di trementina, questo mi rammenta l’araucaria, e perciò
mi metto qui a sedere e a guardare la piccola silenziosa oasi di ordine e sono
felice che tali cose esistano ancora».”
fra il primo e il secondo piano. Si era seduto sull’ultimo gradino e si spostò per
lasciarmi passare. Gli domandai se si sentisse male e mi offrii di accompagnarlo
fin sopra.
Haller mi guardò e mi parve di averlo quasi destato da un sogno. Cominciò a
sorridere, di quel suo sorriso grazioso e doloroso che spesso mi ha stretto il
cuore, e m’invitò a sedermi accanto a lui. Lo ringraziai e dissi che non avevo
l’abitudine di mettermi a sedere sulle scale davanti agli appartamenti altrui.
«Già, già,» disse sorridendo ancora «ha ragione. Ma aspetti un momento,
devo pur farle vedere perché non ho potuto fare a meno di sedermi qui.»
E così dicendo indicava il pianerottolo del primo piano dove abitava una
vedova. Sul pianerottolo di legno fra la scala, la finestra e la porta d’entrata era
appoggiato alla parete un armadio di mogano con sopra vecchie stoviglie di
stagno, e per terra davanti all’armadio, su due sgabellini, c’erano due vasi con
un’azalea e un’araucaria. Erano piante molto belle e tenute sempre pulitissime,
tant’è vero che lo avevo notato anch’io con piacere.
«Ecco, vede,» continuò Haller «questo pianerottolo con l’araucaria ha un
odore delizioso, non riesco mai a passare senza fermarmi un momento. Anche
da sua zia regna il buon odore, c’è ordine e massima pulizia; ma questo posticino
con l’araucaria è così pulito, così spolverato e lavato e lustrato, così immacolato
che sembra luminoso. Non posso fare a meno di aspirare quest’aria a pieni
polmoni... Non lo sente anche lei? L’odore della cera e un lontano sentore di
trementina insieme con il mogano, con le piante lavate e tutto questo profumo
formano un superlativo di candore borghese, di precisione e accuratezza, di
fedeltà e dovere compiuto. Non so chi ci abiti, ma dietro questa porta ci
dev’essere un paradiso di pulizia e di borghesia spolverata, di ordine e di
meticolosa e commovente dedizione a piccole abitudini, a piccoli doveri.»
E poiché tacevo, soggiunse: «Non creda, per carità, che io faccia dell’ironia!
Caro signore, nessun pensiero è lontano da me quanto l’intenzione di deridere
quest’ordine borghese. Io sì, è vero, vivo in un altro mondo, non in questo, e
forse non sarei capace di resistere neppure un giorno in una casa con queste
araucarie. Ma pur essendo un vecchio e un po’ sordido lupo della steppa, sono
anch’io figlio di mamma, e anche mia madre era una buona borghese e coltivava
i fiori e badava alle stanze e alle scale, ai mobili e alle tendine, e si sforzava di dare
alla casa e alla vita la massima pulizia e accuratezza, il massimo ordine. Questo
mi rammenta il sentore di trementina, questo mi rammenta l’araucaria, e perciò
mi metto qui a sedere e a guardare la piccola silenziosa oasi di ordine e sono
felice che tali cose esistano ancora».”
Hermann Hesse, Il lupo della steppa, traduzione di Ervino Pocar (Oscar Mondadori).
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