Stamani sono stato a Bagdad, per un caffè. Nella piazza davanti al bar c'era una buca, grande quasi come un cratere. A un arrotino che, nei pressi, affilava scimitarre, ho chiesto che cosa fosse quel buco enorme nel quale lui, di tanto in tanto, sputava dentro mezzo stecchino, o mezza cicca, a seconda di quello che aveva fumato.
«È stata una bomba, qualche anno fa. Una bomba americana, potente, ma profumata come un dentifricio: infatti, quando cadde, qui intorno l'abbiamo presa tutti nei denti».
Mi sono seduto in un angolo all'ombra e subito si è presentato un cameriere bengalese che capiva l'italiano a tratti, come la nebbia. Si chiama Aladino, ha i denti gialli (lui sostiene per via della curcuma) e la camicia marrone, giustificandosi che è l'unico colore che inganna le mosche. Mi ha detto che vorrebbe emigrare in Italia per lavorare come mozzo per la Sardinia Ferry. È stato un suo amico connazionale a suggerirglielo: la paga non è male, c'è vitto e alloggio compreso e ogni tanto qualche milanese che dà una buona mancia per farsi lavare i piedi perché, data la trippa, non riesce a piegarsi a sufficienza.
Il caffè non sarebbe stato neanche male, ma l'immagine dei piedi con le unghie incarnite del milanese me l'ha fatto andar giù di traverso.
Avrei voluto lasciare dieci dollari ma il titolare, tramite Aladino, ha detto che avrebbe preferito pagassi in rubli.
«Ma come, ho chiesto, non vi va più bene la moneta dei vostri liberatori?».
«Liberatori un cazzo», ha replicato in arabo una voce, in lontananza. Non conosco l'arabo, ma dal tono giurerei che ha detto proprio così.
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