C'è un modo sicuro per raccontare una storia: saperla. Dunque, se non sai la storia, inutile tentare di raccontarla, peggio: d'inventarne una come se fosse vera, ché tanto si capisce subito ch'è falsa, quindi premettere sempre che, in ogni storia scritta e non saputa, ogni riferimento a fatti o avvenimenti realmente accaduti è puramente casuale.
È stato infatti un caso ritrovare una lettera in cui si diceva che tu mi amavi, mi amavi, mi amavi: già alla terza capii che non era vero, a quell'epoca ero fresco di catechismo. Però stetti zitto e feci finta di crederci, la speranza di un pompino era dietro l'angolo e io abbastanza maturo per riceverlo senza venirti subito in bocca come un ragazzetto qualsiasi. E difatti restasti sorpresa della durata. Io non detti peso alla cosa, restai impassibile, come qualcuno che la sa lunga e non manifesta facili entusiasmi. Dovevo difendermi in qualche modo, non dare la soddisfazione di farti capire che eri la prima a farmi scoprire certe cose, altrimenti avresti preso su di me un vantaggio incolmabile.
Niente da fare, capisti subito che baravo, tu sì che la sapevi lunga: nonostante la durata, al climax sembravo una trota fuor d'acqua che si dibatte tra la tropp'aria e il ti amo ti amo ti amo. Te lo dissi tre volte, ti imitavo in tutto, ma invece di una gallina ci bussò al finestrino una signora sui quaranta, formosa, le tette palpitanti per la corsa affannata. «Aiuto, aiutatemi: un cane grosso m'insegue, fatemi salire vi prego, son tutta un tremito». E salì. E vide una cintura slacciata, delle labbra bagnate, degli occhi sognanti.
Non ricordo se il cane arrivò, né se riportammo la signora in paese. Ricordo però la tua mano che accarezzava piano la mia gamba per trattenere il tremito del piede sull'acceleratore.
2 commenti:
un cane serio sbranarla doveva
Quanto mi piacciono quelle due ultime righe...
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