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Poi tutto diventa facilmente traducibile in una sorta di non senso - e lo cogli. Profuma, oh se profuma. Ti ci inebri. Mi do del tu perché parlo a me stesso in seconda persona, quindi se ti dico qualcosa sappi che parlo di me. A te. Te che mi leggi proprio mentre sto scrivendo e che segui lo scorrere del non senso. Sappi che ti conosco e la so più lunga di te. Non ridere. Ridi. Non ridere. Ridi.
Ricordi? Circa un cinque lustri or sono, hai mandato una plaquette poetica intitolata Il lestofante a due editori: Einaudi (Torino) e Garzanti (Milano). Einaudi ti rispose dicendo che non erano interessati (in una splendida lettera elegante scritta con i medesimi caratteri garamond che usano per i loro libri), mentre Garzanti stette sì zitto, ma con ciò non acconsentendo (e fece bene).
Da quel momento hai superato l'ostacolo e la tua roba ha avuto sempre un carattere privato (o diciamo meglio: un a tu per tu) Anche in treno con Raboni, ricordi? Nonostante il viaggio comune (in forma splendidamente casuale) su un rapido verso Milano, non osasti prendere dalla tua valigia le fotocopie elegantemente rilegate destinate in Svizzera (eri l'unico coglione a quei tempi a portare oltreconfine versi anziché mazzette) quand'egli ti chiese se per caso scrivevi e rispondesti di «sì, talvolta», e lui t'invitò a inviargli qualcosa, ma tu non inviasti niente perché avevi capito che quelle parole avevano bisogno di un risciacquo nel topexan.
Al momento scrivi per una mera funzione catartica. Anziché trapanarsi il cervello, dare aria all'encefalo tramite la digitazione. Fa indubbiamente meno male e comporta meno rischi (pur tuttavia, non essendo un medico, prendete questa indicazione col beneficio d'inventario).
C'è troppa complicità tra lo scritto e il letto; e questo addormenta. Io ritengo sia un bene. Il tasto Pubblica in alto a destra è una sorta di liberazione. Meglio: di respiro. Come quando al mattino si aprono finestre per cambiare aria. Ossigenazione, c'est tout.
1 commento:
Sorrisone complice.
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