A fine post precedente ho scritto “continua”. Ahimè, perché l'ho scritto? Forse perché un post che non si crede definitivamente concluso lascia una sorta di incompletezza simile a quella di un coito interrotto? Ne dubito, giacché tornare sull'argomento della «patente-a-chi-vota» non è certo un godimento, no, piuttosto il suo contrario. Ma ci torno su, ci devo tornare, perché nel post di Mantellini citato in precedenza è esplicitamente affermato che per formare la coscienza critica del cittadino devono essere mobilitati appieno «la scuola, l'educazione, l'informazione».
Io aggiungerei anche Christo, ma a parte ciò, vediamo un po' da vicino ’sti «pilastri della rivoluzione».
La scuola e l'educazione: omissis.
L'informazione, invece, riprendiamo un capoverso mantelliniano:
«Vogliamo elettori in grado di superare un ipotetico esame di cittadinanza che gli consenta di votare? L’unica strada possibile è quella di investire denaro per una vera politica culturale (Rai compresa) e forse – contro ogni tendenza – per immaginare nuove ipotesi di finanziamento pubblico all’editoria privata.»
Ora, al netto che, anche in questo caso, è difficile convenire su chi debba stabilire quale sarebbe la vera politica culturale e quale la falsa, io, se fossi amico amico di qualcuno che è direttore di un giornale on line, il quale, perdipiù, ha come moglie la direttrice di una rete televisiva pubblica, difficilmente proporrei di «investire denaro pubblico» per l'editoria privata e per la Rai, sono appelli un po’ pelosetti, suvvia: non dico non siano disinteressati, il problema è che sembrano interessati e dunque particolarmente irritanti. E poi, qualora fossero accolti dalle orecchie da mercante della politica, credo ne sortirebbero un effetto assai deleterio sugli elettori che decidessero di sottoporsi all'esame per l'accesso alla cabina elettorale, dacché che essi dovrebbero acquisire quella obiettività del cazzo, politicamente corretta soprattutto col potere costituito, quale esso sia, in particolare quello attuale, svilisci palle, chiamato anche renzismo.
Avrete capito che il continua era una scusa, per che cosa ça va sans dire.
Comunque anche Leonardo ha scritto un post sull'argomento, assai condivisibile, dal quale estraggo:
«Ricapitolando: la demagogia è antica come la democrazia e l'ha già spesso stroncata sul nascere o in seguito; l'imbecillità è una costante della storia dell'uomo, ma prima di internet avevamo meno finestre per osservarla e forse era meglio così, l'imbecillità è ipnotica. La novità - perché secondo me una novità c'è - sta nella crisi. Non quella occasionale o ciclica, ma quella strutturale che sta affliggendo l'Occidente, e che ha tante concause e spiegazioni, ma io resto affezionato alla più banale di tutte: la Cina e l'India hanno tre miliardi di bocche da sfamare e ormai sono Paesi sviluppati. Serviranno ancora generazioni prima che il costo della vita in quei Paesi si alzi ai livelli dell'Occidente - a meno che l'Occidente non si inabissi, e forse questa sarà la soluzione. Nel frattempo la popolazione mondiale continua a crescere e a spostare l'equilibrio, e poi c'è il riscaldamento globale, insomma sarà molto complicato».
Tutto bene, Leonardo, fino alla parola crisi, anzi, concedo: fino alla parola Occidente, anche se bisognerebbe aggiungerci Oriente, Settentrione, Meridione, in breve: il globo terracqueo. Da lì in poi, spiegazione assai parziale e monca del perché della crisi. Assente ogni cenno alla causa reale e determinante: la crisi del capitalismo, ovverosia la crisi del sistema economico e produttivo dominante... e qui mi fermo. E non continuo perché tanto, ammesso e non concesso io abbia la patente elettorale vidimata, difficilmente alle prossime politiche ne farò uso (mi conservo la cartuccia per il referendum di ottobre).
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