Riporto per intero un commento di Lord Sumption, scritto qualche giorno fa per il Times e tradotto da Milano Finanza, perché, con chiarezza estrema, esprime un sentire che io ho subito avvertito, fin dal primo momento, dalla prima restrizione delle libertà personali che sono (dovrebbero essere) a fondamento della società liberale e democratica. E, credo - non so quanto a torto -, che non solo Signori si nasca, ma anche liberali (o libertari) o quantomeno allergici a ogni forma di sopruso che il potere - di qualsiasi tipo, anche di quello che ti dice di fare le cose per il tuo bene, anzi proprio ancor più di quello - impone ed esercita con l'uso e la prerogativa della Forza (legge, sanzione).
Per scelta e per diminuire il livello di ansia e terrore trasmessi dai megafoni mediatici, non ho potuto tener conto dei celerini in paillettes e lustrini e mascherina vip, a cominciare dalla truppe scelte della 7 o della Rai, Sky e Mediaset. Ne vedo solo i riflessi sulle pagine di "amici" social che riportano, retwittano o condividono.
Dei blogger - oramai una sparuta pattuglia - solo Malvino e Olympe de Gouges ravvisano con acume e grande chiarezza, la pericolosità estrema della situazione, la tragicommedia in corso della commistione politica, sociale, mediatica, sanitaria.
Prendo a esempio solo uno come il Giglioli che dalla sua comoda poltrona di telelavoro e stipendio fisso (forse lauto, ma non importa) decanta lodi alle misure restrittive, parla di fine maggio facendo paralleli con il Piave, si fa paladino delle chiusura delle attività economiche perché tutti i lavoratori sarebbero a rischio - e mai, dico, mai a uno così, che gli si presenti un grillo parlante a dirgli, ma sei proprio sicuro, non cominci a temere niente? Oppure trionfa solo il maoista che in te?
E penso a tutti quelli de sinistra che applaudono le forze dell'ordine se vedono arrestare uno che corre.
E penso a tutti i delatori che filmano e denunciato se uno esce da solo con il cane e fa quattrocento metri anziché la metà.
Io penso a tutto questo e ho più paura, letteralmente più paura di questo che del virus.
Perché il virus almeno non può essere tacciato di imbecillità, di ottusità, di cretineria, di stronzaggine e cattiveria. Si è fatto di un'emergenza sanitaria, un disastro sociale. A cominciare dal considerare l'emergenza uguale in ogni regione e provincia, come se fosse realmente in corso lo stesso tipo di allarme sanitario dalla provincia di Enna a quella di Bergamo.
E mi fermo perché sono stanco di spiegare cose che o si sentono oppure no. Non voglio convincere nessuno. Con tutti i distinguo del caso, e senza offendere le vostre sensibilità da Giorno della memoria (un giorno, poi basta), vi dico che vivete, voi che osannate i decreti d'urgenza, sia pure in sedicesimo, il medesimo condizionamento autoritario che vissero i nostri nonni e bisnonni ai tempi del fascio. Avete bisogno di uno che conduca e che vi dia limiti e che vi faccia arrivare i treni in orario (ma ricordate che domeniche e festivi il trasporto pubblico è sospeso). Io continuerò finché posso a ripetere che, per questo, basta un capostazione.
«"L'unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa - un terrore senza nome, irragionevole, ingiustificato, che paralizza gli sforzi necessari per convertire la ritirata in progresso". Le parole sono di Franklin D Roosevelt. La sua sfida era la recessione, non la malattia, ma le sue parole hanno una risonanza più ampia.
La paura è pericolosa. È il nemico della ragione. Sopprime l'equilibrio e il giudizio. Ed è contagiosa. Roosevelt pensava che il governo facesse troppo poco. Ma oggi è più probabile che la paura spinga i governi a fare troppo, dato che i politici democratici corrono a nascondersi di fronte al panico pubblico. Il coronavirus è l'esempio più recente e dannoso?
Le epidemie non sono una novità. La peste bubbonica, il vaiolo, il vaiolo, il colera, il tifo, la meningite, la meningite, l'influenza spagnola hanno avuto un pesante tributo ai loro tempi. Una generazione precedente non avrebbe capito l'attuale isteria per Covid-19, i cui sintomi sono più lievi e la cui mortalità in caso di malattia è inferiore a qualsiasi di questi.
Che cosa è cambiato? Da un lato, siamo diventati molto più avversi al rischio. Non accettiamo più che giri la ruota della fortuna. Diamo per scontata la sicurezza. Non tolleriamo tragedie evitabili. La paura ci impedisce di pensare ai costi più remoti delle misure necessarie per evitarle, misure che ci possono portare a disgrazie ancora più grandi e di natura diversa.
Abbiamo anche acquisito un irrazionale orrore della morte. Oggi la morte è la grande oscenità, inevitabile ma in qualche modo innaturale. I nostri antenati hanno vissuto con la morte, un fatto sempre presente che hanno compreso e contestualizzato. Hanno vissuto la morte di amici e familiari, giovani e vecchi, generalmente in casa. Oggi la morte è nascosta negli ospedali e nelle case di cura: lontana dalla vista e dalla mente, innominabile fino a quando non colpisce.
Sappiamo troppo poco di Covid-19. Non ne conosciamo la vera mortalità a causa delle incertezze sul numero totale di infetti. Non sappiamo quanti di coloro che sono morti sarebbero morti comunque - forse un po' più tardi - a causa di altre condizioni di fondo.
Ciò che è chiaro è che Covid-19 non è la peste nera. È pericolosa per chi soffre di gravi condizioni mediche, soprattutto se è anziano. Per altri, i sintomi sono lievi nella stragrande maggioranza dei casi.
Il primo ministro, il segretario della sanità e il principe di Galles: tutti hanno preso la malattia e stanno bene e rappresentano il modello normale. I decessi, molto pubblicizzati ma estremamente rari, di giovani in forma sono tragici, ma sono fuori dal comune.
Eppure, i governi hanno adottato, con il sostegno dell'opinione pubblica, le misure più estreme e indiscriminate. Abbiamo sottoposto la maggior parte della popolazione, giovane o anziana, vulnerabile o in forma, alla detenzione domiciliare a tempo indeterminato. Ci siamo impegnati ad abolire la socializzazione umana in modi che portano a un disagio inimmaginabile.
Abbiamo dato alle forze dell'ordine poteri che, anche se rispettano i limiti, creeranno un modello di vita autoritario del tutto incoerente con le nostre tradizioni. Abbiamo fatto ricorso alla legge, che richiede una definizione esatta, e abbiamo bandito il buon senso, che richiede un giudizio.
Queste cose rappresentano un'interferenza con la nostra vita e la nostra autonomia personale che è intollerabile in una società libera. Dire che sono necessarie per fini sociali più ampi, per quanto preziosi possano essere, è trattare gli esseri umani come oggetti, meri strumenti di politica.
E questo prima ancora di arrivare all'impatto economico. Abbiamo messo centinaia di migliaia di persone fuori dal lavoro e bisognosi di credito universale.
Recenti ricerche suggeriscono che stiamo già spingendo un quinto delle piccole imprese verso il fallimento, molte delle quali avranno impiegato una vita di onesta fatica per arrivare fino a quel punto. Si prevede che la proporzione salirà a un terzo dopo tre mesi di blocco. Le generazioni a venire saranno gravate da alti livelli di debito pubblico e privato. Anche queste cose uccidono. Se tutto questo è il prezzo per salvare vite umane, dobbiamo chiederci se ne vale la pena.
La verità è che nelle politiche pubbliche non ci sono valori assoluti, nemmeno la conservazione della vita. Ci sono solo pro e contro. Non permettiamo forse di circolare con le automobili, tra le armi più letali che siano mai state concepite, anche se sappiamo con certezza che ogni anno verranno uccise o mutilate migliaia di persone? Lo facciamo perché riteniamo che sia un prezzo che vale la pena pagare per muoversi in velocità e comodità. Ognuno di noi che guida è una parte tacita di quel patto faustiano.
Un calcolo simile sul coronavirus potrebbe giustificare un periodo molto breve di blocco e di chiusura dell'attività, se aiutasse la capacità di assistenza critica del sistema sanitario a recuperare il ritardo. Può anche darsi che misure di distanziamento sociale severe siano accettabili, in quanto applicate solo alle categorie vulnerabili.
Ma se gli scienziati iniziano a parlare di un mese o anche tre o sei mesi, entriamo in un regno di sinistra fantasia in cui la cura ha preso il sopravvento come la maggiore minaccia per la nostra società. Nella migliore delle ipotesi, le misure di isolamento sono comunque solo un modo per guadagnare tempo. I virus non se ne vanno e basta. In definitiva, usciremo da questa crisi quando acquisiremo una qualche immunità collettiva, o di gregge. È così che le epidemie si estinguono. E quel momento arriverà, in assenza di un vaccino, solo quando una parte sufficiente della popolazione sarà esposta alla malattia.
Non sono uno scienziato. La maggior parte di voi non è uno scienziato. Ma possiamo tutti leggere la letteratura scientifica, che è perfettamente chiara, ma ha evidenti limiti. Gli scienziati possono aiutarci a valutare le conseguenze cliniche dei diversi modi di contenere il coronavirus. Ma non sono più qualificati di noi per dire se valga la pena di mettere sottosopra il nostro mondo e di infliggergli gravi danni a lungo termine. Tutti noi abbiamo la responsabilità di mantenere il senso delle proporzioni, soprattutto quando molti stanno perdendo il loro.»
6 commenti:
...se te metteno davanti all'alternativa fra diventa' fascista e diventa' no-vax, che fare?
(be' fascista comunque no)
be' fascista comunque no
(anche perché - ma non frantinde', non è che lo sia - i novax i vaccini non li vogliono per sé, mi sembra, mentre i fascisti l'olio de ricino lo vogliono da' agli altri)
Di quest'articolo, in buona parte senz'altro condivisibile, come un chiodo mi resta conficcato: "Abbiamo fatto ricorso alla legge, che richiede una definizione esatta, e abbiamo bandito il buon senso, che richiede un giudizio."
Quanto buon senso e quanto giudizio riscontri, realisticamente, tra gl'Italiani?
Ma più di una volta in questi giorni mi sono chiesta se non sono solo una donnetta impaurita.
Non lo so, cara Siu, non lo so; ma vorrei fidarmi, vorrei credere che - sotto l'aspetto della profilassi (distanziamento sociale e uso dei dispositivi di protezione ove necessario) - abbiamo imparato a comportarci bene. Spero non sia un pio desiderio.
xsiu Il buon senso nasce dall'esercizio al giudizio, all'indagine, alla conoscenza, alla pratica adatta a sviluppare capacità analitiche, oggi, spero meno di ieri, il genitore, il tutore, l'educatore non perde tempo ad argomentare sufficientemente le regole. La deriva autoritaria è sempre la più facile, ma è anche quella che ci fa restare dove siamo, se non arretrare nel regno delle paure, delle insicurezze, dei pregiudizi, delle necessarie ipocondrie a tutela di interessi privati. Quel "nessuno ha il diritto di obbedire" non è ancora abbastanza fecondo, il controllo ad ogni costo, genera una moltitudine di guardiani ciechi.
... quando parla di gran tradizioni di libertà, secondo me si sopravvaluta.
e comunque, vogliamo la libertà? si ma regalata da qualcun altro.
(me compreso che sempre gran peones sono)
Posta un commento