Non sono più io, disse lui, in preda al tragico. Ho scambiato pronome, non riesco più a identificarmi con la prima persona singolare: più mi guardo e più mi sento in imbarazzo con me stesso, mi vergogno come un ladro in chiesa, ammesso e non concesso che i ladri in chiesa si vergognino. Diciamo meglio (vedete come mi riesce facile passare alla prima persona plurale?): chi siamo noi se non tanti io che non valgono il proprio assunto? Sembra una mera questione grammatica, invece è assai drammatica, altro che storie.
Tu per esempio: chi sei per giudicare? Un giudice? Hai fatto giurisprudenza oppure sei stato a scuola dai salesiani? E chi ti pagava la retta? I genitori? E chi ti pagava la semiretta? Gli zii? Chi il segmento? Euclide? Come vedi, potremmo arrivare all'infinito, dato che i punti che comprendono una retta sono infiniti. E sicché smettila di giudicare senza che nessuno ti chiami in causa per dirimere la questione, non sei Salomone, non ci sono mica due puttane che si contendono un figlio, su, non fare lo stronzo come un ministro qualsiasi: sii uomo.
Da un punto di vista sociale, una delle cose più stupide che si possa fare è parlare di televisione sui social. Finché la televisione non sarà considerata allo stesso pari di un frigorifero, il cervello si scuocerà, diventerà una pappetta che sillaba parole babbee in attesa dei consigli per gli acquisti. Di più: voi nel vostro frigo non tenete merda, vero? E perché allora la tenete dentro il televisore?
Ehi, ma tu stai giudicando, non ti sembra? No, sto constatando; tuttalpiù criticando; meglio ancora discernendo. Lo so: quattro gerundi di fila sono indigesti, sputateli pure qui in fondo a destra pensando (e cinque) alla faccia di un ministro o di un segretario di partito dell'attuale maggioranza di governo.
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«Lei sta dunque lavorando a un quadro, vero?». «Sì» rispose il pittore [...] «È un ritratto. Un buon lavoro, ma non ancora finito». Il caso veniva in aiuto a K., gli offriva per così dire l'occasione di parlare del tribunale perché era evidentemente il ritratto di un giudice. Somigliava moltissimo al ritratto nello studio del suo avvocato. Si trattava bensì di un giudice tutto diverso, un uomo grasso con tanto di barba nera, cespugliosa, che gli arrivava fino in cima alle guance [...] “Ma questo è un giudice” stava per dire K. Sennonché per il momento si trattenne e si avvicinò al ritratto come per studiarne i particolari. Una grande figura in piedi nel mezzo della spalliera fu per lui un mistero sicché chiese spiegazioni al pittore. Questi rispose che doveva essere ancora elaborata e preso dal tavolino un pastello tratteggiò leggermente i contorni della figura, ma senza che a K. risultasse più chiara. «È la giustizia» spiegò infine il pittore. «Già, adesso la riconosco» disse K. «Questa è la benda sugli occhi e questa la bilancia. Ma non ha anche le ali ai calcagni e sta correndo?»
Franz Kafka, Il processo, Cap. VII
2 commenti:
Tutto molto interessante ma il greenpass?
"Ehi, ma tu stai giudicando, non ti sembra? No, sto constatando..."
è vero, ho lasciato inevasa la risposta al post precedente, così giustamente tu, affezionato lettore e commentatore anonimo, la riproponi. Che vuoi che dica oltre a quello che detto ho già dallo scorso mi pare luglio? Non ho più voglia di sforzare il fegato a produrre un maggiore quantitativo di bile.
E, allora, provo a spiegarlo in un post successivo dove pubblicherò parole non mie.
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