- Cosa devo dirti che non ti ho detto?
- Niente, mi sembra che tu non abbia trascurato niente.
- Dunque, a questo punto, è inutile aggiungere alcunché.
- Alcunché sì, lo puoi aggiungere.
- L'ho aggiunto, infatti, sicché sono a posto.
- Sì, sei a posto. Puoi andare, hai la coscienza tranquilla.
- Che ne sai tu della mia coscienza?
- Parlavo in senso generale, come per rassicurarti sul fatto che quello che dovevi dire lo hai detto e quindi chi vuol capire, capisca; e chi non vuol comprendere non comprenda.
- Esatto. Io sono e voglio restare un maestro ignorante, giacché
«[...] è appunto questa paroletta, questa parola d'ordine degli illuminati - comprendere - a fare tutto il male possibile. È questa parola ad arrestare il movimento della ragione, a distruggere la sua fiducia in se stessa, a sviarla dal proprio cammino spezzando in due il mondo dell'intelligenza, instaurando la cesura tra l'animale che procede a tastoni e il signorino istruito, tra il senso comune e la scienza. Dacché è pronunciata questa parola d'ordine della dualità, ogni perfezionamento nel modo di far comprendere - questa grande preoccupazione dei metodici e dei progressisti - è un progresso dell'abbrutimento».
Jacques Rancière, Il maestro ignorante, Mimesis, Udine 2008
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