Non
so più come allontanarmi. Non esistono modi, qui, in questa
conduzione. Quella specie di scorrere tranquillo tanto tranquillo non
è. Cosa cerchi. Appunto, niente. Mi do del tu per perdere il filo
della persona. Più si cresce e più ci si concentra sulla persona
sbagliata: se stessi. È un guaio, ma è inevitabile. Ci hanno dato
un corpo per servirlo, soddisfarne bisogni e fare a meno di quelli
superflui sarebbe il meno, le palle piene non sarebbero un problema
con l'estensione del dominio dei sogni. Il corpo ha delle necessità
da soddisfare e di cui non ti puoi dimenticare. Sempre all'appello,
peggio di una caserma. Anche il riposo non è un riposo ma un
faticoso dovere. Il meno sono i denti, fosse tutto come i denti,
potessi lavarmi il cervello come i denti sai che bella igiene
mentale. Mi uscirebbero petali al posto di parole per decorare al
meglio la presente inquietudine. Le corone di fiori dovrebbero essere
per i vivi. Così le pompe: vitali. Eppure mi manca il quadro
generale sul senso dello scorrere. Per ora tanta cornice, metri su
metri a perimetrare un alcunché che, al momento, con qualche
forzatura, potrebbe assomigliare a un Rothko. Se qualcuno volesse collezionarmi si faccia avanti, mi appenda al posto di quelle tristi
imitazioni invetrate che fanno tanto ospedaliero. Datemi una chance,
guardatemi ogni tanto, riflettete su di me il vostro pensiero
diuturno (e notturno). Leggetemi Isaia¹ (30, 15) che mi dà
tanta energia al còre:
Così
parla il mio signore Iah
Nell'impassibilità
Nel
non-agire
sta
la vostra salvezza
Nell'imperturbabilità
Nel
non-temere
giace
la vostra forza
__________________
¹ Versione
di Ceronetti, Adelphi, 1981
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