C'è
stato un giorno, non mi ricordo quale, forse era autunno ma potrei
anche sbagliarmi, in cui percorrendo il tratto consueto lavoro casa,
in auto, ascoltando chissà quale canzone, per me inedita, canzone
che toccò qualche corda del simpatico tra petto ascella e
cartilagine auricolare, che ebbi la netta sensazione di innamorarmi
di qualcuno senza sapere chi fosse, uomo donna cane, era tutto
incerto, finché convenni che si trattasse di una aspirante
veterinaria, in procinto di sostenere una tesi sugli equini e il loro
standard riproduttivo. Era bella, lo sentivo, anche se non l'avevo
mai vista di persona, soltanto letta, tra le righe di un commento a
una mia vecchia poesia che mai avrebbe sperato, la poesia, di farsi
apprezzare da una studiosa di genetica equestre.
Fui
incuriosito dai suoi apprezzamenti. Scrisse che i miei versi
trottavano e galoppavano insieme. Io ci credetti e le detti briglia, tanto che intavolammo un discorso via chat che in pochi giorni ci fece
raccontare tutto di noi, persino del vestito che indossavamo per la
cresima. Lei era vestita con una tonaca bianca, da suorina, mi disse, mentre io avevo un
giubbino di velluto e una faccia emaciata tale che sembrava mi
stessero per dare le stimmate. Lei rise e mi chiese della Verna, di
San Francesco e se c'ero mai stato a Sasso Spicco. Io le dissi di
sì, con la prima fidanzata, quella vera, quella che mi fece
sentire la profondità dell'essere, per capirsi, allusioni poco
raffinate, lo ammetto, ma non potevo fare altrimenti, in qualche modo
dovetti accennarle che io e la mia ragazza, al tempo, facevamo l'amore spesso, in auto, defilati nel parcheggio del Santuario, i finestrini appannati, tanto che se un
frate ci avesse bussato per sapere se eravamo vivi, la mia ragazza –
ricordai – era pronta a disegnarle un fallo, il mio, come una
madonnara dionisiaca. «E anche tu avresti disegnato
qualcosa?», mi chiese la laureanda in veterinaria. E io, per darmi
un tono, le scrissi: «Sì, il suo sorriso. Post coitum». Peccato
non sapesse il latino, o non se lo ricordasse, o la sua educazione
rigida imposta dal padre federmaresciallo delle poste le impedisse di
credere che esisteva qualcosa che si chiamasse godimento svincolato
dalla riproduzione. Comunque proseguimmo il discorso, prima sui
massimi sistemi, io credevo ancora nel centrosinistra, mentre
lei era una genericamente antisistema, un po' destrorsa forse, chissà. Puttanate. Ma cosa non si ascolta, cosa non si
scrive per amore o presunto tale. Ci si adatta, si fanno digressioni,
si parla persino della raccolta differenziata. Ora che ci penso, un
nesso c'era se attaccai bottone sulla raccolta differenziata. Dato che non la vedevo - non voleva usare la videocamera - io immaginavo la laureanda avente lo stesso colore degli
occhi e la stessa intensità della responsabile dell'azienda di
raccolta rifiuti della mia città, che ebbi modo di conoscere a un
convegno dove eravamo entrambi relatori, lei per ovvi motivi, io
perché mi fu commissionato di scrivere una poesia sull'inquinamento
e la difesa dell'ambiente, una poesia inutile, che però fece ridere
gli astanti e conquistarmi la grazia dello sguardo di topazio della
responsabile, avrei potuto restare a guardarla per un'ora, glielo
dissi, lei me ne concesse mezza, fu come toccare la metà del
cielo. E così immaginavo la mia interlocutrice di tal fatta, e mi domando soltanto adesso quale esercizio di immaginazione lei facesse per immaginare me. Per la verità le inviai una foto, una specie di selfie fatto con una reflex giapponese, in cui abbracciavo la statua di Charlie Chaplin, e lei rise dicendomi che non si capiva quale dei due fosse veramente Charlot. Non ricordo se ne fui lusingato, credo di no, ma pazienza, non potevo certo risponderle che in quel momento ce l'avevo più duro della statua, non mi avrebbe creduto, figuriamoci, poi una che aveva a che fare con l'apparato genitale equino, quale equivoco, quale amore avrei mai potuto aspettarmi, fu meglio abbandonare subito la partita, non che fosse un gioco, o un sollazzo, era soltanto un altro modo per capire che innamorarsi, anche per un minuto, anche per illudersi di riprovare la medesima sensazione della prima volta in cui lo siamo stati, non è mai un gioco a somma zero.
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